POETI E SCRITTORI DEL GARDA E DINTORNI

| 1 agosto 2010

Appuntamenti letterari, interviste agli autori, recensioni di libri: ogni mese, questa rubrica offrirà un ventaglio di eventi dedicati alla cultura e una vetrina delle opere più interessanti dei nostri autori gardesani.

OCCHI VERDI AD EST
di Giuliana Bernasconi
Questo mese ci spostiamo a Oriente, con “Occhi verdi ad est, cento poesie stile giapponese”, silloge scritta e illustrata dalla poetessa bresciana Giuliana Bernasconi, con la prefazione di Velise Bonfante. Sono raccolti in questo volume, edito da Editrice La Rosa, 72 pag, svariati ed eleganti haiku. Ricordiamo, per chi non lo sapesse, che l’haiku è un componimento di tre versi composti il primo e l’ultimo da 5 sillabe, il secondo da 7. Gli occhi verdi del titolo, sono quelli della poetessa che si immerge nel fascino della cultura orientale, lasciandosi guidare nella composizione dei suoi versi dalla saggezza dell’I Ching. Le prime quattro sezioni del libro sono dedicate alle quattro stagioni: delicate immagini primaverili, di campanili, rondini, fiori e farfalle si diffondono all’inizio del libro, dove fiorisce Haru, La Primavera. “D’Agosto festa /solo
un campanello/ di bicicletta”: Natsu, l’estate, è inaugurata da aquiloni, lucciole, dune, angurie e dalla presenza del mare. Seguono le foglie gialle di Aki, l’autunno, con i suoi ombrelli, i suoi scoiattoli, i melograni… Fuyu, l’inverno, viene inizialmente ammirato dall’interno di una serra con bonsai, gustando, in un altro haiku, una minestra che si raffredda. Lentamente lo sguardo spazia anche all’esterno e appaiono montagne innevate, cappotti e camini. Il libro termina con le due parti chiamate Piccolo Kigo e Senryu; qui l’andamento contemplativo dei versi di questo haiku, sembra dare il senso di tutta la silloge: “Ancora cerco/ nel mistico disegno/ un’orma, un segno” Se questa ricerca si orienti verso l’intimo della poetessa o verso il mondo esterno, poco conta: tutto si confonde e si lega nell’immaginario dell’autrice che sa racchiudere attraverso la sua scrittura, elegante e chiara, un intero mondo fatto di risvegli, silenzi e fili d’erba.

IL COLORE DELLE STAGIONI
di Dino Rosa
Tornano le stagioni anche nella silloge inedita di Dino Rosa, poeta dialettale mantovano, purtroppo scomparso. “Il colore delle stagioni” è il suo opuscolo, donatoci dal figlio, un affezionato lettore di Dipende. E’la semplice vitalità delle tradizioni contadine, ad emergere dalle sue poesie: dalla fede in Sant’Antonio, protettore degli animali, alla rustica calma di un bue descritto in un suo componimento, dalla tempesta che devasta il frumento, al Natale dei poveri, “cun scarpe rote, a sircà la carità”. E poi la raccolta delle uova con le ingenue domande dei ragazzi che si chiedevano quante ne servissero per comprare una bicicletta; il ricordo della madre, la contemplazione del castello costruito dai Gonzaga e di nuovo immagini contadine, come i polli, la polenta, i cacciatori o i versi dedicati alle vecchie tradizioni: “Le pu bèlè abitudini ie endade a scumparì”. Ma la sensibilità del poeta si estende al di là della realtà contadina, con poesie dedicate all’agra vita dei “vu cumprà” e ai bambini del Biafra. Le ultime cinque poesie, Il vedovo, La vecchietta, Amore, Mare e La fame sono in italiano; è però attraverso il dialetto che Dino Rosa ha saputo descrivere meglio il suo ambiente rurale e la generosità dei suoi sentimenti. In particolare questi versi della poesia I hobby de la zent sembrano, più di altri, ritrarlo bene: “E tante, tante altre specialità / che me go gnà en ment de numinà, toeute le pasiù, iè malatiè / cusò disif dei ansian che recitò le puesie?”

Di: Elisa Zanola

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