Personaggi VITA E SENTIMENTO NEL RICORDO DI PINO BELTRAMI

| 1 luglio 2000

Ritorno alla terra. A quel solco di aratro inebriato dal profumo dell’uva. Finisce così la stagione di Atanasio Giuseppe Beltrami, chiamato al ricordo nel segno di Pino.
Stop alla confluenza materiale, per raggiungere il pensiero solenne e misterioso di una nuvola maestosa. E Manerba si inchina al cospetto dell’ultimo tragitto di questa quercia secolarmente scolpita nel grande spazio degli uomini veri. Tracce di gloria, mascherate nel tempo di esistenza, ritagliano i loro affetti nel saluto di commiato del grande Pino. E la memoria riprende campo. Sostenuta da una vita, improntata ad un’immagine di inconfondibile personalità. Chi scrive ne argomenta il primo contatto, con la ruvida e dolce stretta di mano di presentazione. Artiglio pesante. Tenero nel suo abbandono robusto e capace di annichilire in perdita di dimensione dell’altro convenuto al simbolo del saluto. Mare magno di composta esperienza, raccolto in quel gesto rituale, in quel momento così poco scontato. Come poco avvezza alle dinamiche normali è stata la sua storia. Trascritta su un pezzo di legno forte attaccato con saggezza alle regole della terra. Ed alla esclusiva esperienza tradotta nella cura dei campi, della vite e dell’ulivo. Fino a scorrere con animo risoluto, nel saggio progredire del vino, nettare ammaestrato dalla riconosciuta abilità del Pino cantiniere e nel mito dell’olio di avamposto gardesano in anticipo sul Mediterraneo. Poi c’era tutto il resto. Fatto di ferro rovente a scolpire erba e terreno. Esaltato nel rito della caccia, concepita con la fedeltà e l’onore del cacciatore di foresta. Ora la lepre del crocicchio di campagna, resta quieta ad attendere quel vecchio amico che accompagnava le sue tensioni. Ora il vento ricoprirà la leggenda di quei due metri tutti d’un pezzo, felici del canto in compagnia e del bicchiere levato in onore del gesto semplice che arriva diritto al cuore. E la vigna, compagna di spirito e di lavoro, abbandonerà i suo tralci invitanti, orfana di chiaretti e mosti dal delizioso sapore in armonia col gusto senza fronzoli. Improvvisa, la falce è arrivata. Chiamata al cospetto del destino nel modo più diretto. Alla fine del lavoro. Dopo che il passo dell’erba di prima estate aveva conosciuto per l’ultima volta un braccio forte e amico. Passo breve e misterioso. Passo sicuro e obbligato, non incerto nell’uguaglianza che lo identifica. Passo solitario e vigile. In quella terra del ritorno che ascolterà con attenzione la voce ruvidamente nitida del grande spirito del nostro Pino.

Di: Giuseppe Rocca

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