Milano – SOTHEBY’S ITALIA – 1968-2018: 50 anni in Italia
“Pochi ma buoni…anzi, ottimi…!
Una delle Case d’Asta più famose a livello internazionale, nata nel Regno Unito nel 1744, con sede principale a Londra e diverse filiali sparse in tutto il mondo; dal 1968 anche in Italia a Milano, attualmente nello storico Palazzo Serbelloni, dove periodicamente vengono proposte esposizioni di opere poi destinate all’incanto, in particolare dedicate all’arte moderna e contemporanea. Per festeggiare il 50° anno della sua presenza nel nostro Paese, non un’asta ma una mostra, contenuta per numero di pezzi ma di qualità e valore, incontrati nel corso degli anni dagli esperti dell’Istituzione, mai apparse nei cataloghi d’asta perché dichiarati di interesse nazionale dalle Sovrintendenze, quindi sotto tutela. Qui l’attenzione è rivolta principalmente su un gruppo di sculture, dall’Antichità Romana per arrivare fino alla metà del ventesimo secolo. Vediamole in sintesi. È di epoca Traiana (98-117 d.C.) il busto funerario romano in marmo di Quintus Socconius Nedymus, scolpito da un unico blocco di marmo con la testa girata verso destra ed un viso espressivo caratterizzato dal naso aquilino e dai corti capelli ondulati che cadono sottili sulla fronte. L’uomo indossa una tunica e sulla base del busto reca tre righe d’iscrizione latina: “Quinto Socconio, liberto di Quinto, della tribù Palatina, fece questo per se stesso.” Passiamo al “Libro d’Ore Corsini”, in latino e francese, del 1415-1420, con 48 piccole miniature raffiguranti segni zodiacali e le attività dei mesi, e 49 grandi miniature con suggerimenti per una sana alimentazione; un capolavoro del Maestro della Bibliothèque Mazarine, una delle più importanti figure della miniatura quattrocentesca in associazione con un altro importante artista e suo frequente collaboratore, il Maestro di Egerton. Il “Rinascimento” è rappresentato dal magnifico busto in terracotta invetriata e smaltata, realizzato nel 1470-75 ca. da Luca e Andrea Della Robbia, indiscussi Maestri su questa particolare tecnica. “Il ‘Busto di Bambina’ che qui presentiamo – scrive Giancarlo Gentilini nella scheda pubblicata nel volume che accompagna la mostra – costituisce fuor di ogni dubbio un vertice per la sconcertante verità fisionomica, la complessità emotiva e la straordinaria inedita invenzione della sofisticata cuffietta ricamata a racemi”. L’opera, proveniente dalla collezione dei conti Guicciardini, è stata esposta al pubblico unicamente in occasione della mostra “Lorenzo il Magnifico e le Arti” allestita a Palazzo Strozzi nel 1949. Sempre a questa epoca risale il “Cassone Nuziale” di Manifattura Lucchese – già in collezione Contini-Bonaccossi, Villa Vittoria, Firenze – in legno di pioppo, gesso rilevato, dorato e dipinto, stemmi di legno intagliato dorato e dipinto, databile probabilmente attorno al 1497. Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573) progetta il disegno per il piano ottagonale del “Tavolo Guicciardini”, (impiallacciato e intarsiato in legni rari ed esotici; piede in legno di noce intagliato con lumeggiature dorate; perno di ferro dorato e argento cesellato, inciso con smalti colorati), eseguito da Fra Damiano Zambelli da Bergamo (1480 ca.-1549) e dal fratello Stefano (piede intagliato). Questo celebre oggetto d’arredo rinascimentale è stato al centro della mostra “At Home in Renaissance in Italy” allestita a Londra nel 2006 al Victoria and Albert Museum. L’opera, com’è noto, appartenne a Francesco Guicciardini (1483-1540), celebre politico e scrittore fiorentino, amante delle arti. Egli ricevette il tavolo, come si può leggere nel testamento del 1540, dai frati del Convento di San Michele in Bosco di Bologna, durante il periodo in cui Guicciardini fu governatore della città su incarico papale. Passiamo al magnifico “Busto di Urbano VIII Barberini”, bronzo databile al 1658 e proveniente dalla collezione Corsini di Firenze. Il ritratto è nella collezione dei Principi Corsini, giuntovi nella seconda metà del XIX secolo per via matrimoniale, in seguito alle nozze di Anna Barberini e Tommaso Corsini, celebrate nel 1858. Eccoci poi di fronte ad un’eccezionale coppia di “Nature Morte” del napoletano Paolo Porpora che risale al suo soggiorno romano, documentato con certezza dal 1650; la straordinaria dimensione di queste tele permette all’artista partenopeo di rappresentare con maestosità un trionfo di frutta e di fiori, arrichendo le composizioni con citazioni classiche. “Fiori, frutta e un bassorilievo in un paesaggio” e “Vaso di fiori con frutta, funghi, una fontana e un uccello in un paesaggio” (olii su tela, cm 160×190 ciascuno); hanno una storia espositiva che inizia alla Royal Academy di Londra nel 1982, prosegue a Torino, in Palazzo Reale e nel 1984-85, sono al centro della celebre mostra Civiltà del Seicento a Napoli, al museo di Capodimonte. Per i secoli XVII e XVIII vediamo dipinti di Luca Giordano, Abraham Brueghel e Giuseppe Nuvolone oltre che un trumeau lombardo ed un tabernacolo piemontese realizzato da Luigi Prinotto. L’arte del Novecento considera alcune vere eccellenze, come “La Concezione”, altorilievo in marmo in parte dorato, firmato da Adolfo Wildt, esposto qui insieme ai bozzetti preparatori realizzati dall’artista. L’opera non è frutto di una commissione bensì il prodotto di una visione surreale e fortissima dell’artista; una rappresentazione espressionista che si esprime soprattutto “nelle forme del bambino, negli occhi sferici allontanati ai margini della testa della madre, nella anatomia esasperata del padre” come scrive Paola Mola nel suo “Adolfo Wildt, 1868-1931, Milano” nel 1989. Ed io aggiungo che ritengo l’opera simbolica: un monito di diritto naturale; me lo fa pensare il bambino dorato ad indicarci che il prodotto della loro unione è un gioiello prezioso, i suoi capelli a raggiera a voler significare che il figlio è il “Sole” della vita. L’opera, notissima, proviene (già) dalla collezione milanese di Vanni Scheiwiller e fu subito esposta alla Biennale di Venezia nel 1922, sino alla recente mostra “Post Zang Tumb Tuum” presso la Fondazione Prada a Milano. Wildt fu anche docente di Scultura all’Accademia di Brera e tra i suoi migliori allievi spiccò Lucio Fontana, argentino di nascita ma ben presto italiano di adozione, in particolare nell’ambiente artistico milanese. Prima dei suoi celebri “Tagli” e “Buchi” sulle tele, realizzò anche bellissime e singolari sculture figurative, per cui il famoso critico Enrico Crispolti (scomparso pochi giorni fa) scrisse il volume “La carriera barocca di Fontana” indovinando appieno la sua poetica. Personalmente, dopo essere stato metaforicamente “folgorato” da un suo “Crocefisso”, sempre proposto da Sotheby’s Milano nell’ultima asta, lo stesso effetto mi fa ora il suo “Arlecchino”, mosaico policromo datato 1948, proveniente dal Cinema Arlecchino di Milano ed oggi, dopo la chiusura della storica Sala, in collezione privata. Nel giugno del 1947, Strehler aprì il sipario del Piccolo Teatro con la famosa commedia di Goldoni “Arlecchino servitor di due padroni”. Subito dopo lo spettacolo, il protagonista della Commedia dell’Arte divenne così popolare a Milano, che un cinema centralissimo fu battezzato “Arlecchino” e per la decorazione interna venne chiamato Lucio Fontana, il quale realizzò così un’opera di grande impatto collocandola nell’atrio del cinema di Via San Pietro all’Orto: il costume di coloratissimi mosaici del suo Arlecchino pareva evocare l’arte dei film in technicolor. A chiusura del percorso troviamo una “Natura morta” di Giorgio Morandi, tra principali protagonisti di riferimento del ventesimo secolo, di cui avevamo ammirato alcune opere anche nella tornata d’asta di Arte Moderna e Contemporanea del 28-29 Novembre scorso.
Sotheby’s – Palazzo Serbelloni, Corso Venezia 16, Milano; fino al 20 Dicembre 2018; Tel. +39 02 295001;
Fabio Giuliani
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