MANERBA DEL GARDA (Bs) URI CAINE
in concerto l’estate scorsa
Cammina con passo spedito, sale svelto sul palco, la fedele Polo XL sformata, una bottiglietta d’acqua, una manciata di fogli, e sugli applausi del pubblico attacca veloce il tema in do della Sonata “easy” K 545. Pronti? Via. Scatta a razzo Uri Caine, leggendario pianista statunitense protagonista di “Solitaire”, a Manerba, presso il Palazzetto dello Sport, nell’ambito della rassegna estiva “Armonie sotto la Rocca”. Gli bastano poche note per trasformare Mozart in un personaggio à la Magritte, destrutturato, politonale, surreale, ironico, incandescente. La mano destra lascia filtrare lacerti di melodia, la sinistra gioca a basket, si scatena in frammenti di blues, di boogie. Le due braccia sembrano appartenere a due pianisti diversi. Torrenziale la creatività, estrosamente bollente la miscela che sa preparare al volo. A quale immenso serbatoio attinge? Nella sua composizione istantanea puoi trovare di tutto, Rachmaninov e Disney (La carica dei 101), “Bohemian Rhapsody” dei Queen e un recitativo verdiano, vitalità, parodia, dolcezze, hamburger e pane azzimo. Americano nel midollo: libertà al primo posto, un godere infantile dei suoni come un bambino accaldato lecca un gelato. Il suo divertimento diventa contagioso. La smisurata abilità respira di vera passione. Schiva le secche di un esibizionismo autobiografico, evita la retorica del labirinto. L’eclettismo non scade in superficialità. Energia, entusiasmo comunicativo. Chi si aspettava un Bach futuribile, lo stupefacente ologramma dell’incisione Winter & Winter del 2000, sarà rimasto a bocca asciutta. Uri non si ripete. Uri depista, Uri confonde, Uri sconcerta. Parte una scolastica progressione armonica (una Follia barocca?), ma Caine gradualmente infittisce, devia, alza cortine fumogene, con gragnole di accordi nella regione grave, echi, grappoli di note, sprazzi free, acide marcette, walking-bass, muri percussivi. Un cortocircuito continuo. Chiamate un elettricista! Il quarto brano, su tema spagnoleggiante, evoca polvere, canicola, fiesta, olè. C’è più musica in un minuto di Caine che nella discografia di Ludovico Einaudi. In uno scambio di figurine, sei Allevi non valgono uno Uri. Il pubblico approva con grida di piacere. Un song di Gershwin gli esce dalle dita come “O sole mio” a un pizzaiolo napoletano. Si materializza un Mozart in gel, borchie, cuffiette: una sghemba Marcia alla turca macina un furioso cromatismo interno, piccole eruzioni cutanee, un magma ondoso che ribolle. Vetrosa “Summertime”. La selva delle citazioni è fittissima. Sbirciamo i fogli volanti abbandonati al termine del concerto: “Lasciatemi morire” di Monteverdi, scarabocchi. E poi Disney, arie d’opera, Aranjuez, minuetti, corali. Questo è vero melting pot in musica. Il suono balza, salta, zampilla, aggredisce. Sprizza fuori come i colori dai tubetti di Bacon. Uri Caine è un pianista sull’oceano, ma non viaggia in transatlantico. Dalla sua barchetta squillano luci, incantesimi, fuochi d’artificio, storie della musica tascabili, lampi e accensioni a non finire. Giocoliere felice, danzatore del ventre ancora innamorato del pubblico. Intrepido, vorace, egocentrico, stregonesco, smaliziato. Caine aizza il suo Steinway e lo scatena verso il pubblico. Indossa gli abiti degli incantatori verbali, dei taumaturghi. Manda bagliori, sfrigolii, attriti. Spalanca la diga.
Si salvi chi può.
Di: Enrico Raggi
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