L’INTERVISTA ALL’UOMO DELL’ORGANETTO: AMBROGIO SPARAGNA

| 1 settembre 2010
AMBROGIO SPARAGNA

L’aria condizionata fa appena il solletico. Clima bollente ovunque, sulla pelle e nei visceri. Voci, suoni, piedi che tengono il tempo, ritmiche manate sulle cosce, uno scalmanato che balla, una gioia contagiosa. Ci troviamo di fronte a uno dei più grandi musicisti italiani di musica popolare, Ambrogio Sparagna, in monacali ciabatte e canottiera fantozziana, col suo fedele organetto (una specie di fisarmonichina a bottoni), che sta provando per un concerto serale. Nessun artista che desideri un vero suono folk può prescindere dalle sue ance, pizziche e percussioni. Etnomusicologo (Università di Roma, con Diego Carpitella), per tre anni maestro concertatore del Festival “la Notte della Taranta”, ha collaborato con Dalla, De Gregori, Branduardi, Teresa De Sio, Giovanni Lindo Ferrretti, Lucilla Galeazzi, organizzato spettacoli con Franco Battiato, Piero Pelù, Carmen Consoli, Gianna Nannini. Vederlo all’opera è già spettacolo: una forza della natura. Aizza i coristi, li scuote, li stuzzica, li immobilizza con uno schiocco di dita; poi precisa pronunce, sillabazioni, accenti. Balla laterale come gli antichi egizi, assesta violenti colpi di tacco al pavimento, si scalda le natiche a tallonate, mugugna, grida le dinamiche che vuole ottenere (le mani sono occupate da quella magica scatola sonora), sorride, chiude gli occhi e si gode solo lui sa cosa. Finite le prove, sembra svuotato da ogni energia, parla calmo, sottovoce, pesando le parole, in pace con il mondo e con se stesso. Dov’è finito l’indemoniato di prima?
Maestro Sparagna, la sua lettura della musica popolare sembra andare oltre i soliti cliché: non più analisi sociologiche o di lotta di classe, ma una storia di uomini, amori, dolori, speranze. “Prima della politica mi interessa l’etica. Cerco l’uomo. Il mio lavoro vuole recuperare le vere radici della musica popolare, che affondano dentro una prospettiva comunitaria e solo da quel contesto possono passare ad altri uomini. Non nasciamo né cresciamo da soli. Viviamo dentro rapporti. Con la mia musica voglio raccontare la dignità umana, a prescindere dalla classe sociale, dal grado di istruzione o da altre variabili”.
Uno Sparagna folgorato sulla via di Damasco? “Non appiccicatemi etichette. Non pretendo di convincere nessuno. Col mio lavoro cerco il volto di Dio e quello dell’uomo. Ho sempre vissuto la fede come il cammino di un solitario. Sono pieno di contraddizioni, di dubbi, di incertezze. Mi irritano i luoghi comuni, in special modo quelli che riguardano le convinzioni personali. Ognuno ha il suo profilo e vi si riconosce. Sono stato scout, ho fatto parte delle Comunità di Base, ho attraversato varie esperienze umane. Ma sempre mi ha incuriosito chi vive la vita come ricerca, con letizia, certezza, capacità di confronto, calore umano. Mi interessa il volto che sta dietro alla musica. Desidero che l’amore per la musica diventi comunione, gioia da condividere. Il dramma di oggi è la solitudine. Con la mia musica combatto contro la disperazione, getto ponti”.
Ha lavorato con grandissimi musicisti: cosa ha imparato? “Ho capito meglio che ciò che interessa all’ascoltatore non è la retorica musicale, ma la poetica. Io tento di mettere a disposizione del pubblico proprio questa poetica. In questo lavoro incontro inaspettati compagni di cammino e faccio scoperte impreviste: al Meeting di Rimini, per esempio, ho visitato la mostra sulle Reducciones del Paraguay e vi ho notato le stesse preoccupazioni umane ed educative di S. Alfonso Maria de’ Liguori, un grandissimo musicista napoletano di cui ho eseguito molte cose. La mia ricerca è trasversale. Cerco l’uomo e la sua storia

Di: Enrico Raggi

Tags: ,

Commenti

Salvato in: Musica, PERSONAGGI
×