IL RACCONTINO MODERNO E’ BELLO, MA QUANTA NOSTALGIA…
Mi sono ritrovato ad osservare il mare, il mare della mia Genova, un mare non esattamente caratteristico, colorato di risacca e di riflessi argentati, ma un mare all’interno del bacino portuale, maleodorante di oli e di rifiuti di ogni genere, un mare verosimilmente e paradossalmente olezzante, persino invitante, come solo chi nasce in questi luoghi può conoscere e fors’anche apprezzare. Me ne stavo seduto all’ombra dei variopinti ombrelloni della Locanda “da Nurin”, nei paraggi dell’acquario oramai celebrato come il più famoso del mondo e in una zona decisamente votata al turismo ed al terziario, ammirando compiaciuto la vasta zona pedonale che è stata creata: Musei, gallerie d’arte, ritrovi, sale congressi, bar e ristoranti fanno da cornice a questa monumentale opera d’architettura moderna. Ma…… in mezzo a cotanta bellezza, a siffatta modernità tecnologica, eretto come un obelisco o forse meglio come un totem, l’inconfondibile, caro “mancinone”: una vecchia, vecchissima gru idraulica con enormi maglie di ferro in luogo delle comuni funi d’acciaio, che serviva un tempo a sollevare carichi eccezionalmente pesanti. L’avevano lasciato ancora lì, al suo posto, a testimoniare di un tempo ormai lontano, a spiegare a tutti che proprio lì, in quella zona, qualche lustro fa, esisteva il porto commerciale, con la sua gente, i suoi rumori, l’andirivieni instancabile dei “camalli” e degli spedizionieri, urlanti di fervore lavorativo o semplicemente di genuina allegria. E mi sono ritrovato in un attimo a rivivere quegli indimenticabili momenti della mia gioventù, quando da giovane apprendista, facevo parte anch’io di quella truppa rumorosa. Come in un film, ho rivisto tutto: le vecchie linee ferroviarie e le interminabili file di vagoni merci cigolanti sotto la spinta di nerissime locomotive a carbone, lo scalpitìo degli zoccoli di poderosi cavalli da tiro, che movimentavano carri e vagoni, il rumore incessante dei motori ausiliari delle navi e dei verricelli di bordo, fumanti per le pressioni idrauliche esercitate e per lo sfregamento dei cavi d’acciaio, il tipico e romantico scampanellare delle biciclette, assai numerose a quei tempi. E anche gli odori mi arrivavano ancora ben distinti: il profumo inconfondibile delle focacce appena sfornate o delle farinate ancora fumanti, l’odore del pesce appena pescato e messo in bella mostra dai pescatori che, dopo essere attraccati alla banchina, ne facevano immediatamente oggetto di commercio depositando la merce sulle vecchie carrette a mano e pesando il tutto con le loro lustre, romantiche stadere; il penetrante odore dello sterco equino, e della biada frammista a fieno che i vecchi carrettieri davano da mangiare alle povere bestie affaticate appendendo al loro collo un contenitore di juta spesse volte riciclato da usatissimi sacchi di caffè. Adesso tutto sembra quasi silenzioso: gli unici rumori che si percepiscono sono le grida di bambini, il vociferare di turisti e di nostalgici come me, il rumore di fondo della città, il ticchettio sempre più frenetico dei passi della gente… Già, la gente… tutti esseri che come me invecchieranno e che si ritroveranno a descrivere questo luogo di fronte, chissà, a quale panorama…
Di: Paolo Passalacqua
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