Desenzano d/g (BS): L’ultima preghiera di Attilio Rizzetti – I ragazzi della Malintesa

| 1 settembre 2007
Avanzi-Fotox-Cal.2014-075 Desenzano

I ragazzi della Malintesa, che nell’anteguerra con ricca immaginazione avevano trasformato il porto vecchio in una piscina olimpionica, due galleggianti in un catamarano per viaggi avventurosi sul Garda, stanze spoglie in grandi terrazze balaustrate dove festeggiare il Capodanno, appena finita la seconda guerra mondiale, si proposero di ripetere le allegre esperienze passate. Per questo furono organizzate partitelle al solito campetto della Migola, fu portato a splendore il Malin, la rinnovata imbarcazione con vela e fiocco, unica nel suo genere sul Lago e si intrapresero gite in belle località gardesane allora misconosciute, diventate rinomate successivamente grazie a una attenta promozione turistica. Ma lo spirito con cui si partecipava a queste imprese non era più quello di un tempo. Superati i vent’anni e vicini alla trentina, ciascuno di loro si impegnava per l’inserimento nel mondo del lavoro: chi impiegato di banca, chi capo tecnico nelle Ferrovie dello Stato, chi disegnatore tecnico alla OM di Brescia, chi nella direzione di una fabbrica, chi piccolo e fortunato imprenditore. Ognuno però lavorava in località diverse: Salò, Bergamo, Brescia, Verona, Milano, quindi era inevitabile che ci si vedesse solo nel periodo estivo o nelle feste. L’ultimo a raggiungere il proprio ambito lavorativo fu Battista Galeazzi, che alla fine del 1947 raggiunse l’Argentina. L’ultima avventura secondo i vecchi canoni della Malintesa si era svolta nel luglio del 1946, quando gli amici di sempre: Stefano Avanzi, Battista Galeazzi, Mario Pedrini, Attilio Rizzetti, Guido Vanoni, col Malin avevano fatto il giro del Lago di Garda. Era stato un viaggio un po’ scomodo, ma memorabile per l’aver bordeggiato rive tanto amate; poi gli incontri erano diventati biennali in occasione dei ritorni nella casa dei genitori di Battista Galeazzi ed erano scampagnate in località a loro care. L’estate del 1949 fu l’ultima stagione del Malin; ritinteggiato di bianco, faceva ancora un bel vedere quando il vento gonfiava la vela triangolare e il fiocco, contro cui spiccavano i costumi colorati delle ragazze, la cui amicizia non era mai mancata al Club della Malintesa, e i corpi abbronzati dei giovanotti. Purtroppo alla fine della stagione calda un piccolo incidente segnò la fine dei galleggianti, elementi base del ‘veliero’. Non ci fu più altra barca, ma gli amici più legati tra loro si diedero ad altri sport. A partire dal 1950 la grande passione divenne l’automobilismo e tutti gli anni in cui fu fatto il Circuito del Garda, gli appassionati tifosi ex marinai del Malin gridavano al passaggio delle auto sportive dai tornanti di Salò. Inoltre in inverno si prese a raggiungere le vicine piste innevate per provare a sciare e malgrado le iniziali e frequenti ‘sculatade’, alcuni si dedicarono a questo sport sulla neve. Ma un’altra tacca intanto veniva posta sulla ruota della vita. Non era più tempo di allegre, goliardiche e brevi amicizie con le ragazze sempre vicine a loro. Si sentiva il bisogno di crearsi una famiglia e, nei primi anni ’50, tutti fecero una scelta ben precisa e in anni successivi si sposarono. Le feste al celibato creavano nuove occasioni per incontri conviviali e per improvvisati cori che sempre finivano col coronare ogni riunione degli amici. Stefano, Peppo, Mario, Attilio e poi Battista convolarono a nozze entro il 1953. La storia della compagnia di ex ragazzi poveri, ma belli (tutti i ragazzi sono belli anche i più nasuti o occhialuti) avrebbe potuto concludersi in questi anni, se non fosse stata sempre presente nelle lettere dall’Argentina di Battista e nelle conversazioni di Fanino e di Attilio, che annualmente organizzavano almeno un incontro di vecchi amici. La Malintesa era sempre partecipe alle cerimonie nuziali. Fecero a tempo opportuno la loro comparsa, nel ménage delle varie famiglie da poco costituitesi, le prime automobili e non mancava la presentazione agli amici. Con la Topolino dal tettuccio apribile di Stefano Avanzi in giugno si fece una gitarella a Tignale, le cui strade non erano ancora asfaltate. La giornata trascorsa a Maderno, raggiunta col battello nel luglio del 1953, vedeva ancora mogli e mariti ritratti in atteggiamenti camerateschi, giovanili, spensierati. Nelle successive fotografie delle gite dell’anno successivo già si ammiravano i bei bambini da poco nati dalle coppie novelle: due ragazzini della famiglia Avanzi, due bambinelle della famiglia Rizzetti. Però non era scomparsa l’allegria amichevole del gruppo, che diventava in questo modo ancora più variegato e domestico; i volti e l’abbigliamento tradivano negli adulti la raggiunta maturità e le responsabilità, ma c’era ancora voglia di stare insieme, di cantare in coro. Naturalmente ognuno portava avanti esperienze diverse, conosceva nuove persone, coltivava vecchi e nuovi interessi. La conquista della casa di proprietà, costruita secondo gusti ed esigenze personali, permetteva nuovi ambienti per dedicarsi ai propri passatempi e non si era più costretti ad adattarsi in stanze prese in affitto. In questo modo Stefano aveva più spazio per il riordino delle sue fotografie, che aumentavano di numero e per dar seguito alla passione per la storia di Desenzano. Quest’ultimo interesse venne da lui coltivato con un progetto ben preciso, in seguito alle conversazioni che aveva avuto con Luigi Laini e altri amici. Non solo ricercò documenti sul passato del paese natale, non solo lesse articoli e saggi degli storici locali dei primi anni del secolo come Ulisse Papa e Carlo Brusa, ma ebbe l’intuizione di fotografare la vecchia Desenzano con gli edifici e le strutture antiche e i personaggi caratteristici, proprio prima che il paese conoscesse il grande sviluppo edilizio degli ultimi decenni di fine secolo e si trasformasse in città. A casa, sul grande tavolo della sala, con grande pazienza, alla sera, in album ordinatissimi, con disposizione a tema, realizzava importanti documentazioni. Un esempio riuscitissimo per coerenza di organizzazione delle immagini e del commento scritto è l’album relativo all’abbattimento del muro con nicchie del vecchio orto di casa Bianchi in via Sant’Angela Merici, già muraglia con ingresso alla chiesa di San Francesco del periodo prenapoleonico. Ma molteplici sono le tematiche del passato di Desenzano illustrate con foto scattate da Stefano Avanzi, a volte in collaborazione col fotografo Fontana; vi sono anche disegni a china o ad acquarello dell’amico Attilio Rizzetti, già di suo appassionato estimatore delle bellezze paesaggistiche del Lago.
Nel 1962 ritornò per una visita agli anziani genitori e al paese nativo Battista Galeazzi e fu l’occasione per una serie di incontri di ex amici della Malintesa e degli aggregati. Durante i convivi come sempre si cantò ‘La gondola nera’, ma si distinsero in particolare come solisti per la grande voce e l’intonazione Bruno Cordini, prodottosi con ‘Gioventù sei tanto bella’ e Attilio Rizzetti con la canzone popolare ‘El Burtulì de Lomesane’. Attilio tra tutti gli ex ragazzi era quello che aveva mantenuto un carattere giovanile ed entusiasta. Con un forte senso dell’amicizia come Battista Galeazzi, era fraternamente cordiale con quelli del Club Malin, ma si affiatava con sempre nuove conoscenze che condividessero alcuni dei suoi interessi. Spontaneo e sempre positivo, non tardava a farsi voler bene e stimare, anche perché era generoso del suo. E il suo più suo era l’amore per il disegno, per la pittura. Senza problemi per un amico faceva un disegno, un acquarello o una pittura con i pastelli a cera. La fama della sua disponibilità a regalare dipinti si diffondeva e diversi si rivolgevano a lui per un ritratto o dei genitori o dei figli. Bastava che gli dessero le fotografie e lui nel suo studio impostava il disegno. Non faceva solo piccoli quadri, ma anche grandi tele per ricorrenze pubbliche a favore della comunità: per le chiese, per le associazioni combattentistiche, per gare ciclistiche, per il Comune. Moltissime furono le pergamene per premiazioni o per omaggi che gli venne chiesto di ornare con la sua elegante calligrafia, i suoi disegni dalle linee nette e sicure a china o tratto – penne. Nel disegnare aveva una bravura eccezionale, riconosciutagli fin dai suoi anni giovanili nel Collegio dove era stato messo dopo la morte prematura del padre. Questa abilità naturale l’aveva poi coltivata con la scuola a Fermo e con la lunga esperienza di disegnatore meccanico all’OM, dove studiava e preparava particolari dei meccanismi per motori o per attrezzature diverse. Notevole era il suo ‘occhio’ per la prospettiva, che si rilevava non solo nei disegni tecnici professionali, ma anche nei disegni a mano libera per gli amici. Basta fermarsi a osservare i buoi da lui disegnati per illustrare il carro dei monatti durante la peste di Desenzano del 1630 o per altre immagini di carattere storico, per cogliere lo sforzo, la pazienza, la vitalità di quei nobili animali rappresentati. Col tempo divenne sempre più bravo anche nel dare il colore. Ciò è evidente nelle sceneggiature per le due Compagnie teatrali di Desenzano: la Famiglia Artistica Desenzanese di Luisa Mariotto e la Compagnia Teatrale Città di Desenzano di Giorgio Callegari; le realizzava del tutto gratuitamente. Si sentiva ricompensato con un invito a cena o a una semplice merenda. Sapeva apprezzare il piatto regionale, come le modenesi tigelle o pasta e fagioli, fatto dalla padrona di casa oppure l’occasionale spuntino con pane e salame e un bicchier di vino, purché consumato in un clima sereno e conviviale. Quando andò in pensione nel 1973, a parte il soggiorno in Corea per addestrare tecnici su mandato della sua industria, si dedicò anima e corpo alla sua passione di sempre: il disegno, la pittura. Al mattino svolgeva una attività sportiva: nuoto, bicicletta o sci secondo le stagioni, i periodi; poi raggiungeva casa e scendeva nello studio tra fogli, pennarelli, immagini che aveva nella mente o aveva trovato sui libri. Mai pensava alla ricompensa. Godeva invece nel mostrare l’opera appena ultimata ad amici e nel sentirne i commenti. Alla sera raggiungeva il gruppo dei compagni della Corale di San Giovanni in Capolaterra di Desenzano, che teneva, ai tempi d’oro, tre prove alla settimana. Spesso era invitato a cena in famiglia dagli amici come Fanino Avanzi, Giorgio Callegari, Adriana, Angelica o altri. Ai colleghi del gruppo con cui si accompagnava nelle uscite di cicloturismo, a volte raccontava le dure esperienze della guerra, quando ad esempio in Russia, dove stette per quasi due anni, aveva patito più che di freddo, di fame, e là sarebbe morto se non fosse arrivato miracolosamente un pacco inviato da sua madre con un vasetto di miele; quello, sorbito un cucchiaino al giorno, lo aveva salvato. Era un buon amico per tutti i suoi conoscenti e sapeva essere cordiale e coinvolgente con tutti, stabilendo rapporti diversi con persone di diversa età e di diverso temperamento. Aveva un vero culto per l’amicizia. Quando arrivò precocemente la Nera Signora con la falce in mano, si rivolse come a un amico a San Luigi Gonzaga, di cui aveva fatto un quadro e per questo era a lui familiare, e gli diceva sovente, mentre il male lo aggrediva sempre di più: “San Luigi, dammi il tempo per ancora un quadro o due!”. Non ci fu più tempo; la sua voglia di vivere commuove ancora gli amici tutte le volte che lo ricordano.

In concomitanza con la festa dell’Anitra (30 agosto – 2 settembre) si è tenuta presso l’oratorio Giovanni XXIII, in Capolaterra a Desenzano, una mostra rievocativa delle opere pittoriche e dei disegni di Attilio Rizzetti. Il lavoro di catalogazione e reperimento delle opere è stato curato da Adriana Ferro. La mostra, particolarmente significativa, raccoglieva per la prima volta contemporaneamente oltre 30 dipinti dell’autore (molti provenienti da collezioni private).

Di: Amelia e Pia Dusi

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