Desenzano del Garda: Rina Soldo

| 12 marzo 2017
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Rina Soldo (1899-1982), valente paesaggista, ha ripreso, in non pochi quadri, scorci di Desenzano del Garda.

Alcuni desenzanesi ricordano ancora la sua presenza, soprattutto per gli anni dopo la guerra. Dicono che scendevano lei e la sorella Berta a Desenzano il martedì mattina presto, con un furgone di conoscenti di Salò, venditori ambulanti sui mercati. Questo perché caricavano sull’automezzo abbastanza capiente tutto il necessario per dipingere, quindi: cavalletto, tavolozza, colori, cartoni e tutti quegli utensili, che accompagnavano sempre lei, così meticolosa e perfezionista nell’impegno di raffigurare, di rappresentare, di dipingere. Qualcuno ricorda anche il suo aspetto. Era alta, magra, spigolosa; sorridente, quando le si chiedeva del suo dipingere o si parlava di un suo quadro magari in mostra davanti agli interlocutori. In quei momenti i suoi occhi scuri diventavano ridenti e la sua espressività era coinvolgente. Nessuno, neppure gli ammiratori della sua arte, sapeva dell’angustia che le procurava il lavorare con i pennelli, il progettare, il rifinire un quadro. Angustia che la facevano esplodere a volte in gesti d’ira. Sebbene i conoscenti, i desenzanesi non ci pensassero, lei consapevolmente sceglieva la stagione, il mese, il giorno per le sue spedizioni. Aveva i suoi punti di riferimento che di volta in volta frequentava. Ora era la vetrata di Maria Pongiluppi Curuz all’ultimo piano di un nuovo edificio alle Rive, ora la finestra dei coniugi Zamboni in Piazza Malvezzi in un vecchio edificio, sempre all’ultimo piano, sopra il Caffè “Italia”. Rina si intratteneva anche alla Locanda Du Lac in via Anelli. Restava a Desenzano due o tre giorni, poi con bozzetto, attrezzatura, con sempre accanto la sorella Berta, ritornava a casa, alla “Ginestra” di Barbarano di Salò, dove si sarebbe dedicata all’impegno della rifinitura. La Desenzano degli anni ’50 era diversa da quella del 2000. Erano ancora evidenti i segni del passato vivere. Alla Maratona c’erano i binari di un treno che arrivava una volta al giorno. La stazione-magazzino era colorata di giallo e tre erano i ferrovieri che, oltre ad accudire la zona delle rotaie e degli scambi, svolgevano le operazioni di scarico e carico. Sulla darsena prospicente la diga si vedevano le baracche in legno ad uso della Navigarda, benché non ci fossero più i facchini dell’anteguerra e le delimitazioni in cemento dell’area del porto fossero state abbattute. Il lungolago era semplice ed a uso quasi esclusivo dei desenzanesi che vi lavoravano e alla domenica pomeriggio passeggiavano, così per godersi il lago. Il mercato del martedì era ancora racchiuso tra i portici, Piazza Malvezzi, Piazza Cappelletti e un tratto della Via Parrocchiale. Qui ci sarebbe stato ancora per pochissimo tempo il mercato dei pennuti, con galline, anatre che starnazzavano e coniglietti grigi ancora ritenuti parte integrante del menù quotidiano. Sotto il campanile alcuni ambulanti non avevano neppure l’attrezzatura di un bancone e mettevano in mostra la loro merce su teli bianchi stesi sull’asfalto. Davanti al Bar dei Combattenti venditori di pesce, di formaggi, di verdura si davano da fare gridando brevi frasi come: “ Vardì che bel el me bertagnì!”oppure: “Varda, varda che bei limù che gò!”, ma anche: “Tastì el me grana! El ga mia el fughì”. Le macchine transitavano su Via Anelli, per la Piazza Ulisse Papa, su Via Cesare Battisti e gli affezionati del martedì di mercato non andavano oltre il bar Trento, il Caffè Bosio, la Liquoreria Chesi. Però c’erano già i segni di uno sviluppo commerciale e turistico, di un nuovo modo di vivere.Rina Soldo non ha dipinto persone, ma paesaggi. I paesaggi desenzanesi sono il risultato di frequentazioni ad esposizioni di livello nazionale ed europeo. I suoi viaggi, i suoi soggiorni sono andati da Milano a Venezia, da Torino a Parigi, dalla Svizzera alle Fiandre, dall’Alta Savoia alla Liguria. Si avverte in essi un percorso artistico di tutto rispetto. Le forme, le linee, i colori vanno al di là del puro naturalismo. Allo stesso tempo non cadono in un soggettivismo debordante, che deforma. Emblematico è il quadro Desenzano il faro del 1945, dove a destra e a sinistra gli edifici, nei loro profili di cui si sottolineano i tratti verticali, fanno da quinte teatrali a un faro in lontananza e a una barca, della quale si intravede la prua. Nel quadro sono ammirevoli le due corpose masse laterali, separate da uno spazio libero e arioso, che oggi nella realtà non si percepisce più, e sullo sfondo un evanescente faro a cui fa da contrappeso la vela di un barcone. I colori sono tenui, solo le linee verticali appaiono accentuate. Il raffigurato dà l’idea di una quotidianità semplice, tranquilla, aperta verso lo spazio lontano, ma ancorata ad una storia antica, familiare però, e ancora rassicurante.

 

Amelia Dusi

 

Da Dipende Giornale del Garda 235 Primavera 2017 www.giornaledelgarda.info/giornali/170311-0954-235pagineaffiancate.pdf

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