Musica: è bresciano il “Julian Bream italiano” Giulio Tampali

| 5 aprile 2016
tampali

L’avevamo rinchiuso negli sterilizzati laboratori della musica contemporanea dimenticandoci del suo cuore urgente. Invece il bresciano Giulio Tampalini ha il sole nella chitarra. Raggi che rimbalzano dalla cassa dello strumento. Sono una festa di luce i suoi quattro cd freschi di stampa (Brilliant Classics) intitolati a Francisco Tárrega: il calore che si alza dalla terra, profumi che stordiscono, biancori accecanti. Oppure, ascoltiamo le altre recenti incisioni dedicate alla Spagna (Llobet, Albéniz, Granados): suoni nel vento, mare e cielo che si congiungono all’orizzonte come due chitarre speculari, un azzurro così limpido che vien voglia di berlo. O, ancora, sorprende la fusione di espressione e costurzione dell’integrale chitarristica di Mario Castelnuovo ‒Tedesco in via di completamento.

Maestro, si riconosce più nel moderno puntiglio tecnico o nell’aristocratica poesia della Vecchia Europa? «A lungo ho eseguito in concerto autori come Berio, Henze, Donatoni, Carter, con passione e dedizione assoluta. Un pubblico sempre più ampio e numeroso, ha ampliato la mia proposta al repertorio storico e tradizionale, classico e romantico. In entrambi i casi, offro uno sguardo nuovo e ricco di scoperte. Propongo comunque, ogni anno, almeno cinque/sei brani in prima esecuzione assoluta».

Quando la sentono suonare, scrivono di «slancio musicale, freschezza creativa, il sole in tasca»: ma la chitarra non era uno strumento «minore»? «Lo credeva anche il mio insegnante di Teoria e Solfeggio del Conservatorio di Brescia. Preferisco sorridere e annuire piuttosto che tentare di raccontarne i meravigliosi “tesori nascosti”. Tengo aperte tutte le porte: realizzo cd, sono revisore di musiche chitarristiche, didatta, concertista, marito, padre di due splendidi bambini. Quando un figlio mi chiede “papà, adesso giochiamo?”, è un’emozione impagabile».

Ha ricevuto il «Premio delle Arti e della Cultura» del Circolo della Stampa di Milano istituito nel 1988 da Indro Montanelli. «E’ la prima volta che premiano un chitarrista, perché “avvicino un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo all’arte delle sei corde”, hanno scritto».

In marzo registrerà brani di Mario Gangi, forse il primo grande chitarrista italiano, a lungo attivo nell’Orchestra della Rai. «In febbraio è un lustro dalla sua morte e mi sembrava doveroso ricordarlo: fu uno dei maggiori protagonisti dello scenario chitarristico del Novecento. Nel 1954 fu dedicatario ed esecutore del “Concerto dell’Argentarola” di Ennio Porrino e presentò al mondo “Nunc” di Goffredo Petrassi. La sua poetica creativa, che all’epoca sembrava reazionaria, era invece portatrice di una ventata di modernità».

Cosa si impara a suonare in duo con Mario Marzi, Giovanni Sollima, Andrea Noferini, Simone Zanchini e altri mostri sacri? «Assorbi naturalezza e chiarezza di idee, pervieni a una sintesi estrema. Trovi un luminoso equilibrio tra pensiero ed emozione».

Fra qualche mese torna in tournée in Inghilterra. «E’ un appuntamento fisso da almeno quindici anni. Recentemente ho eseguito in anteprima il “Cahier des chansons anciennes n. 4” del compositore torinese Alfredo Franco. C’è stata anche un’intervista con concerto in diretta presso BBC Radio 3. E il celebre liutaio Philip Woodfield, che mi onoro di aver fatto conoscere in Italia, mi ha consegnato una sua nuova chitarra. Un critico mi ha definito il “Julian Bream italiano”. Un accostamento che mi imbarazza e mi onora».

Di Enrico Raggi

 

Dal Dipende di Primavera 2016 www.giornaledelgarda.info/giornali/160322-0649-231primavera2016.pdf.

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