Brescia 2001 MUSICA CLASSICA TRA BARZELLETTE E CAPOLAVORI
A Brescia se ne vedono di tutti i colori, alcune molto simpatiche. C’è stato un artista che ha suonato con un microfono auricolare come Claudio Baglioni, abbronzatura e gel alla Bennato, allegria da Enrico Papi, storielle tipo Piero Angela. Una chimera!
Altrove si è invece svolto un pomposo 1° Festival di Musica Sacra (tutto maiuscolo, mi raccomando!), dove è stato eseguito, in un luogo sacro, il mozartiano “Concerto per clarinetto”, scritto per Anton Stadler, approfittatore, scroccone, grande mascalzone, ma bravo musicista, chiamato anche “faccia di ribes”, amico di Wolfgang, suo compagno di bevute e di bordelli. Non ho capito dove stia il Sacro…
In mezzo a tanta sacertà è stata eseguita anche la “Musica per i reali fuochi d’artificio” di Handel: anche qui non trovo molta sacralità. Però, filologicamente parlando, fonti d’epoca assicurano che Handel con la mano sinistra levata alta verso il cielo indicasse i fuochi pirici, mentre con la destra palpasse il sedere dell’amica. Non Sacro, ma certo un bel profano… Un suggerimento: perché l’anno prossimo non eseguire la “Ballata del Corpo Sciolto” di Roberto Benigni?
Passando a cose più serie, un avvenimento musicale bresciano importante è stato l’esecuzione delle Sette Ultime Parole di Cristo in Croce, capolavoro sacro di Franz Joseph Haydn. Artefice dell’operazione, l’orchestra “Vox Aurae”, diretta dal M° Giancarlo De Lorenzo. A Brescia (il concerto è avvenuto nel Duomo) è stata rispettata fino in fondo l’origine del brano, con introduzione teologica affidata al Vescovo. Scriveva Haydn: “Circa 15 anni fa mi fu chiesto da un canonico di Cadice di comporre della musica strumentale sulle sette parole di Gesù sulla croce. Nella cattedrale di Cadice, infatti, vigeva l’abitudine di eseguire un oratorio ogni anno durante la Quaresima. Dopo un preludio appropriato, il vescovo saliva sul pulpito, declamava la prima delle sette parole e pronunziava un sermone su di essa. Terminato di far ciò, discendeva dal pulpito e si prostrava dinanzi all’altare. Questa pausa era riempita dalla musica. Quindi il vescovo pronunziava la seconda parola, poi la terza, e così via, la musica continuando a seguire le rispettive prediche. Si voleva accompagnare il popolo a rivivere la Passione, con l’aiuto della musica, con la lettura del Vangelo, con la predica, con gesti, con colori (paramenti), profumi (l’incenso), con una specie di sacra rappresentazione, in un tutto liturgico, per educare, istruire, edificare, secondo la più pura tradizione della Chiesa cattolica. Si tratta di una creazione audacissima: otto adagi di fila, otto movimenti dal passo lento, senza nessuna concessione all’effetto, otto pezzi nudi, spogli. Haydn afferma una natura trasfiguratrice della musica: compie una sintesi di secoli di storia, e lo fa con quest’opera, il compimento di un processo che la civiltà musicale settecentesca attendeva da tempo. E’ la composizione di un uomo che si è posto davanti a Cristo e ha raccolto il suo dolore. Questa è anche musica della Misericordia: senti il grido di Cristo e la tenerezza di Dio, qui sempre intrecciati, Mai l’uno è senza l’altro. Grido e tenerezza si fondono, nelle Sette Parole.
Abbiamo ascoltato un’esecuzione che proveniva dal mondo operistico e strumentale napoletano (Vinci, Leo, Durante), nel senso pieno ed ampio del termine. Innanzitutto attenta ad un bel suono, cantante, cantabile. (Haydn era dotato di potenza ed incanto melodico: chi se lo dimentica sbaglia dimensione). De Lorenzo è stato attento ad una pronuncia calda, mutevole, screziata, ricca di nuances, con amplissima paletta dinamica, dove gli sforzati erano ogni volta suoni pieni e rotondi, affondati nella corda, perciò ricchi di frequenze, di vibrazioni, ampi di armonici, suoni che iniziavano davvero da un pianissimo delicato oltre misura per crescere – sulla stessa nota – di volume, con dolcezza soffice. Solitamente il suono cosiddetto filologico è secco, gracchiante, stitico, con un fraseggio asmatico, fatto di frasette brevi ed irrelate, che non sa pensare ad una fraseologia estesa e regale. Questo Haydn – come suonato dal gruppo Vox Aurae – era un capolavoro di compostezza e di calore, con linee modellate come un respiro. Di fronte a direttori d’orchestra che studiano in aereo (Daniele Gatti, fra questi), De Lorenzo ha invece svolto un lavoro capillare, mirato ad ottenere la massima varietà, in pagine dove non è scritto nulla, ma tutto va pensato e fondato. Un solo esempio, per tutti: Consumatum est, alle battute 88-89, c’è un movimento cromatico all’unisono: abbiamo sentito accenti ogni due crome, non scritti, ma di effetto drammaturgico stupefacente. L’orchestra d’archi, con un lavoro del genere, diventava qualcosa di intimo e di forte al tempo stesso. Haydn si trasformava in musicista della ragione e della Misericordia.
Di: Enrico Raggi
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