Orzinuovi (BS) ANTONIO LIGABUE VENTI ANNI DOPO

| 1 settembre 2003

Si terrà fino al 28 dicembre nella Rocca San Giorgio di Orzinuovi la mostra antologica dedicata all’artista di origini italosvizzere Antonio Ligabue (1899 – 1965). Curata da Marzio Dell’Acqua e Vittorio Sgarbi, con l’organizzazione di Augusto Agosta Tota, la mostra risulta essere più completa rispetto quella di 20 anni fa, grazie alla presenza di 21 disegni, 15 sculture in bronzo e soprattutto di 43 dipinti non esposti precedentemente. Proprio l’esposizione di un numero di opere così elevato (in tutto circa un centinaio) permette di gettare una luce nuova sulle molteplici ombre che ancora circondano la figura di Ligabue. Artista geniale e autodidatta, è difficile collocare Ligabue in una sola corrente pittorica. Egli stesso preferì seguire l’impulso di creare, senza preoccuparsi di elaborare una poetica precisa all’interno della quale ricondurre la propria produzione artistica. Ne consegue che elementi di espressionismo, di fauvismo e di arte naive si fondono omogeneamente per dare vita ad opere bellissime, emotive e personali. E c’è molto di personale nei quadri di questo artista sofferente e solitario, che subì diversi ricoveri in manicomi e case di cura ad opera di persone che credeva amiche. Ciò si intuisce dai numerosi autoritratti, nei quali l’artista si raffigura con abiti dimessi, il volto emaciato e con un dolore interno che silenziosamente affiora dagli occhi. Come Van Gogh, anche Ligabue fu consapevole del dolore e dell’angoscia presenti nella Natura e nell’Uomo: tale consapevolezza si riversa nelle sue opere e viene rappresentata con tratti decisi, accostamenti cromatici forti, con soggetti di paura e di violenza. Una violenza però naturale, ancestrale, quasi istintiva. Come quella presente nei quadri raffiguranti paesaggi esotici e animali feroci (tigri, leoni, pantere) colti, questi ultimi, nel momento dell’agguato alla preda. E, tornando alle sue ossessioni, ecco che forse la preda è lui, Ligabue, mentre i predatori sono quegli uomini che lo fanno continuamente soffrire. Tuttavia non bisogna credere che Ligabue si sia limitato a trasfigurare soltanto il proprio dolore. Anzi. Sensibile e innamorato della terra che lo ospitò dopo l’espulsione dalla Svizzera, egli volle manifestare il proprio amore raffigurando il paesaggio che si mostrava ai suoi occhi: gli orizzonti della Pianura Padana, la vegetazione del Po e soprattutto le scene di vita quotidiana nei villaggi di campagna. Ecco, allora, l’ispirazione necessaria per raffigurare il combattimento dei galli nell’aia, l’aratura con i buoi, il ritorno dei contadini dai campi sul far della sera. E poi le diligenze, le botteghe degli artigiani, le chiese con i campanili, il saluto galante tra una dama e un militare a cavallo. Sicuramente al visitatore non sfuggiranno i dettagli minuziosi presenti in tutte le opere di “Toni el matt” – come affettuosamente lo chiamavano i pochi amici – perché è in essi che risiede la genialità dell’artista: pur non recandosi mai all’estero, riuscì a rappresentare la flora e la fauna di paesi remoti e sconosciuti fin nei più piccoli particolari. Fervida immaginazione o pura casualità? Comunque sia, Ligabue era consapevole del proprio talento; profeta di se stesso, dipinse il grande Napoleone dandogli però le proprie fattezze: presagio che anche lui, povero artista, un giorno sarebbe divenuto famoso in tutto il mondo? Uno spazio della mostra è invece dedicato alle opere scultoree di Ligabue. Autodidatta anche in questo campo, iniziò modellando il tivèr (l’argilla del Po) senza l’aiuto di strumenti, senza nemmeno fare cuocere i propri lavori. Fu l’incontro provvidenziale con Alceo Dossena a fargli scoprire le varie tecniche e a permettergli di raffinarsi. Ad eccezione di un volto umano, nelle sculture ritornano i soggetti animaleschi dei quadri, ma questa volta minore è lo spazio lasciato alla deformazione delle figure. Certamente Ligabue tentò di superare i limiti strutturali imposti da elementi plastici quali l’argilla o la cera d’api, ma non sempre riuscì nell’intento. Così la torsione di un busto o l’estensione di un arto – sebbene siano di un realismo estremo – fanno sorgere il sospetto che tale realismo non fu ricercato dall’artista, ma fu subìto ad opera della materia. L’ultima stanza, infine, raccoglie alcune opere scultoree e pittoriche di Marino Mazzacurati e di Cesare Zavattini, amici stretti di Ligabue e tra i pochi ad intuirne il talento fin dal principio. Se il primo incoraggiò Ligabue alla pittura – mostrandogli l’uso del pennello, le tecniche e la miscela dei colori – il secondo riuscì nel compito più difficile, vale a dire promuovere nel mondo le opere di un artista oscuro dal lato umano, ma straordinario dal lato artistico.
“Venti anni dopo: Antonio Ligabue. Dialogo padano con Marino Mazzacurati e Cesare Zavattini”. Orzinuovi, Rocca di San Giorgio. Orario: 10 – 12.30 / 14.30 – 19.30 (lunedì chiuso). Sabato e domenica 10 – 19.30 continuato.
Prezzi: Intero 8 euro, ridotto 6 euro. Info 030/9444136.

Di: Pier Andrea Marca

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