Milano – W. EUGENE SMITH – “Usate la verità come pregiudizio”
Nuova sede e nuova importante mostra per il Centro Culturale di Milano.
A pochi passi dal Duomo, in rientranza da Corso Vittorio Emanuele, troviamo Largo Corsia dei Servi, parte dell’arteria che nella romana “Mediolanum” portava verso Nord-Est, il primo tratto della strada che a Milano congiungeva piazza Duomo alla Porta Orientale (l’attuale Porta Venezia). Prese in seguito il nome di Corsia dei Servi (secoli XVII e XVIII) dal convento dei “Servi di Maria”, che officiavano la chiesa di Santa Maria. Alessandro Manzoni, nei “Promessi sposi”, sulla base dei fatti storici a cui si è ispirato, colloca proprio qui il “forno delle Grucce” assaltato dal popolo in rivolta. L’antica Corsia dei Servi fu regolarizzata ed ampliata negli anni Venti e Trenta del XIX secolo: le vecchie case di origine medievale furono sostituite da palazzi di maggior prestigio in stile neoclassico. Dal 24 Settembre scorso l’edificio al numero civico 4 firmato Studio Caccia Dominioni a fianco della Chiesa di San Vito al Pasquirolo (che diede i natali al grande artista Michelangelo Merisi, il “Caravaggio”, già ripristinata da San Carlo Borromeo e rilanciata dal Card. Martini durante mandato da Arcivescovo) ospita il Centro Culturale di Milano, importante Istituzione milanese che, dopo anni di attività nella sede storica di Via Zebedia, nella centrale Piazza Missori, trascorso un periodo, potremmo dire, “tra color che son sospesi”, ha finalmente trovato un nuovo spazio, praticamente nel “cuore” cittadino. Da anni il CMC ha dato spazio a mostre fotografiche spesso su grandi artisti italiani ed internazionali, viventi e no, in particolare sulla fotografia storica; come primo evento del nuovo corso si prosegue questa tradizione con W. Eugene Smith (1918-1978), uno dei più grandi maestri della fotografia di reportage. L’esposizione, ideata da Camillo Fornasieri, Direttore del CMC, curata da Enrica Viganò, con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano, presenta 60 stampe originali grazie alle quali possiamo ripercorrere al meglio la carriera del fotografo americano, attraverso i suoi cicli più famosi, realizzati tra il 1945 e il 1978, provenienti dalla collezione privata di H. Christopher Luce di New York. Sono documentati i suoi “saggi fotografici”, ovvero i reportage di racconto sociale o di denuncia, nei quali Smith ha attraversato i periodi della depressione, della guerra, della ricchezza del dopoguerra e quello della disillusione, dalle fotografie scattate sui teatri della seconda guerra mondiale, dalle battaglie nel Pacifico fino a Okinawa, dove venne gravemente ferito, alla serie del “Country Doctor” (1948), commissionatagli dalla rivista “Life”, che racconta la vita quotidiana del dottor Ernest Ceriani, un medico di campagna nella cittadina di Kremmling a ovest di Denver. Il percorso continua con le serie “Nurse Midwife” (La levatrice) del 1951, in cui segue le vicende di Maude Callen, una levatrice di colore, per testimoniare le difficoltà nell’esercitare il suo lavoro nel profondo sud degli Stati Uniti e, al contempo, per approfondire temi connessi alla discriminazione razziale. Nello stesso anno “Life” pubblica il suo reportage condotto in Spagna, a Deleitosa, un piccolo centro contadino di non più di 2.300 abitanti, sull’altipiano occidentale dell’Estremadura. “Cercherò di conoscere a fondo un villaggio spagnolo – aveva dichiarato Eugene Smith – per descrivere la povertà e la paura provocate dal regime di Franco. Spero di realizzare il migliore reportage della mia carriera”. Quello che risultò fu un quadro di una società rurale arcaica, in preda a gravi difficoltà economiche dovute al pesante regime franchista. Sono qui presenti anche le fotografie di “A Man of Mercy” (Un uomo di carità) dedicate al lavoro e alla comunità di Albert Schweitzer (il famoso medico curante nell’Africa Equatoriale Francese), o il ritratto panoramico e singolare della città di Pittsburgh del 1955-58. Chiudono idealmente la rassegna gli scatti su Minamata (1972-75), la città giapponese devastata dall’inquinamento di mercurio che la “Chisso Corporation” versava nelle acque dei pescatori e che portava gli abitanti a soffrire di una terribile malattia nervosa – “Minamata illness” – che prese il nome proprio da quello della città. E’ presente l’immagine più famosa di questo ciclo, definita la “Pietà del Ventesimo Secolo”, che raffigura la bambina Tomoko mentre fa il bagno tra le braccia della madre. I visitatori possono quindi cogliere la freschezza delle immagini da lui stesso stampate, di cui molte firmate e unite ai passe-partout, originali anch’essi e annotati con commenti dall’autore e, al tempo stesso, comprendere l’arte e la ricerca iconografica del “metodo di Smith”, vero “mago” della camera oscura. I temi dei suoi reportage, lo stile della la sua vita, i suoi appunti sul campo, sono al centro di una serie di incontri con fotoreporter e giornalisti quali Mario Calabresi, Massimo Bernardini, Franco Pagetti, Paolo Pellegrin, che s’interrogheranno sulla funzione dell’immagine e dell’informazione, della libertà e della verità dell’arte e sul linguaggio dei media oggi. Il catalogo di questa mostra rappresenta il vol. 9 della serie “I Quaderni del CMC”, ed è pubblicato, come i precedenti da Admira Edizioni. Alcune note biografiche. William Eugene Smith (Wichita, 1918-Tucson, 15 ottobre 1978) è stato un fotografo documentarista statunitense. Cominciò a fotografare giovanissimo, ma degli scatti dell’allora quattordicenne Smith non rimase traccia: fu lui stesso distruggerli anni dopo, giudicandoli troppo scarsi. Qualche anno dopo iniziò a collaborare con il giornale della sua cittadina e, nel 1936, fu ammesso alla Notre Dame University dove un corso di fotografia fu istituito appositamente per il promettente giovane fotografo. Abbandonata l’università, inizio a collaborare con il settimanale Newsweek, da cui fu allontanato per aver rifiutato di lavorare con le macchine Graphic 4×5. Nel 1939 viene contattato dalla rivista Life, con cui inizia una collaborazione che lo porterà, nel corso degli anni successivi, a coprire come fotografo di guerra il teatro bellico del Pacifico: alcune delle immagini scattate durante queste operazioni divennero vere e proprie icone della seconda guerra mondiale, e dimostrarono la capacità di Smith di raccontare la storia in fotografia. Il 23 maggio 1945 venne ferito al volto dall’esplosione di una granata: nei due anni successivi fu costretto a dolorosi interventi e a una lunga riabilitazione, in un periodo in cui si domandò più volte se avrebbe mai ripreso a fotografare. La fotografia “A walk to Paradise Garden” fu la prima realizzata dopo la malattia, e simboleggiò perfettamente la rinascita dell’autore unita alla speranza del mondo dopo il termine del secondo conflitto mondiale. Negli anni successivi Smith torna a collaborare con Life e realizza alcuni dei reportage più celebri pubblicati dalla rivista statunitense: su tutti “Spanish Village”, in cui è raccontata una cittadina spagnola in pieno franchismo, e “Country Doctor”, narrazione fotografica dell’attività di un medico generico nella campagna americana. Il rapporto con Life finì per deteriorarsi, e con esso – più in generale – crollò la fiducia di Smith verso il sistema dell’informazione americano. Nonostante questo, nel 1971 realizzò uno dei suoi reportage più riusciti, “Minamata”, in cui fotografò i tragici effetti dell’inquinamento da mercurio in Giappone. Grazie all’interessamento di Ansel Adams, ottenne nel 1976 una cattedra all’Università dell’Arizona, ma una grave forma di diabete lo portò prima al coma e successivamente alla morte, che lo colse nel 1978. Ora un po’ di storia doverosa sulla sede organizzatrice. Il “Centro Culturale di Milano” nasce nel 1981. Alcuni studenti e giovani professori delle Università di Milano prendono sul serio il desiderio e la proposta di don Luigi Giussani di dare vita a un luogo libero e di incontro. Il Fondatore di “Comunione e Liberazione” ha poi seguito fino ai suoi ultimi anni quest’opera. Ai suoi inizi, il Centro prende il nome di “Centro Culturale San Carlo”, avendo la sua prima sede in corso Matteotti presso la Basilica di San Carlo al Corso. Negli anni ‘80 la sua storia viene segnata da alcuni incontri significativi, come quelli con don Luigi Giussani, Giovanni Testori, Augusto Del Noce, con gli scienziati Giampaolo Bellini, Giovanni Prosperi, con gli storici Régine Pernoud, Jean Leclercq. Da subito grandi artisti, scienziati, filosofi e scrittori da tutta Italia e dal mondo partecipano con entusiasmo a questo tentativo, paragonando la loro esperienza con tale novità culturale. Il volto pubblico del Centro è caratterizzato dall’accoglienza ed ascolto del ‘fiume’ dei dissidenti provenienti dall’Unione Sovietica e dall’Est Europa con la collaborazione della “Fondazione Russia Cristiana”, dallo stretto rapporto con il neonascente “Meeting di Rimini per l’Amicizia tra i Popoli”, dal magistero di Giovanni Paolo II, dal dialogo e incontro con tanti intellettuali del mondo laico e dalla propria presenza nel cuore dei dibattitti contemporanei. Nei primi anni ’90 assume un nuovo nome diventando “Centro Culturale di Milano”, proprio mentre la città si ferma nella crisi della politica ed emergono nuove sfide culturali e globali. Si trasferisce in via Zebedia 2, presso un palazzo storico, dove, secondo lo storico della letteratura Dante Isella, si riunivano i circoli intellettuali di fine Settecento. Il resto è storia di oggi…e, auspichiamo, di un domani sempre prolifico per le proposte diversificate e qualificate che il CMC possa fornire ai milanesi e non solo mantenendo viva nel tempo la sua tradizione e gli scopi per cui è nato e cresciuto.
Centro Culturale di Milano – Largo Corsia dei Servi 4, Milano; fino al 4 Dicembre 2016; orari: da martedì a venerdì ore 10-13 e 15-19; sabato e domenica ore 16-20; Ingresso gratuito, donazione suggerita € 5; Visite guidate, Scuole e Gruppi: “Opera d’Arte”, Tel. 02 45487400; visite guidate per i singoli visitatori tutti i giovedi alle ore 13.15 senza prenotazione: € 5 + donazione suggerita; Informazioni e prenotazioni: Tel. 02 86455162; sito Internet: www.centroculturaledimilano.it
Fabio Giuliani
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