Milano – RESTITUZIONI 2016 – La bellezza ritrovata

| 26 giugno 2016
Restituzioni 2016 - 1

Caravaggio, Rubens, Perugino, Lotto e altri 140 capolavori restaurati.

Risale al 1989 la prima edizione del progetto “Restituzioni”, sostenuto dal gruppo bancario Intesa-Sanpaolo, inizialmente legato al territorio veneto ma in seguito ampliatosi a tutta l’Italia. Grazie a questa iniziativa capolavori d’arte che versavano in condizioni precarie, selezionati dalle Soprintendenze del nostro Paese, venivano nel tempo restaurati e restituiti alla collettività in tutta la loro bellezza, attraverso selezionate esposizioni temporanee, permettendo in tal modo al grande pubblico di conoscerle ed apprezzare i risultati di tali interventi. Iniziata a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, questa importante iniziativa si è poi estesa in altri centri italiani ottenendo sempre grandi riscontri di pubblico e critica. In tempi più recenti è andata costituendosi la denominazione “Gallerie d’Italia”, Polo museale e culturale di Intesa Sanpaolo che riunisce tre spazi storici della Banca: il sunnominato vicentino, Palazzo Zevellos Stigliano a Napoli e a Milano, in Piazza della Scala, un tempo sede principale della Banca Commerciale Italiana, scelto ora per la XVII Edizione di “Restituzioni”. L’attuale mostra temporanea comprende oltre 140 opere fra pitture, affreschi, mosaici, sculture, manufatti tessili, oreficerie restaurate nel corso degli anni 2014 e 2015 e tornati a nuova vita. Un viaggio lungo i secoli nella storia dell’arte, un percorso nelle diverse tecniche artistiche, un approccio alle metodologie di restauro. Per la prima volta sono presenti anche beni provenienti da Paesi esteri in cui hanno sede le banche straniere del gruppo Intesa San Paolo ma non solo: per la prima volta viene data al pubblico la possibilità di osservare un vero e proprio laboratorio di restauro. Il percorso di visita è a libera scelta, ma, tralasciando per una volta l’aspetto cronologico, possiamo iniziare con la scultura greca chiamata “Cavaliere Marafioti”, (420-400 a. C. circa) del Museo archeologico di Reggio Calabria (dove si trovano i celebri “Bronzi di Riace”) che apre, scenograficamente, la mostra; questo gruppo di terracotta decorava il tetto del tempio dorico scoperto a Locri in località Casa Marafioti (da qui il nome abituale) in una zona collinare sovrastante la città allora greca e prossima alle mura. Il personaggio a cavallo sopra una “sfinge” si ritiene possa rappresentare uno dei due “Dioscuri” della mitologia (Castore o Polluce). Il percorso, quindi, si snoda intorno alla sala centrale, in senso orario. Incontriamo così subito, per dirla in linguaggio sportivo, uno dei più grandi “campioni” della storia dell’arte: il Caravaggio con il ritratto del Cavaliere di Malta, da Firenze, eseguito nel 1608, quando il Merisi era giunto sull’isola per sfuggire alla condanna a morte a Roma per l’omicidio di Ranuccio Tomasoni; si riconosce il suo stile, tipicamente in chiaroscuro con una fonte di luce misteriosa che inonda il personaggio, molto probabilmente identificabile con il Gran Maestro Alof de Wignacourt. Segue la tappa “slovacca” della mostra, con l’esposizione di tre rilievi lignei, di mano ignota, con Episodi della Passione di Cristo, provenienti dal Monte Calvario di Banská Štiavnica, un “gemello” mitteleuropeo dei nostri “Sacri Monti”, con un percorso in salita, affiancato da cappelle stazionali, culminante in una chiesa dedicata alla Resurrezione. Si prosegue nell’epoca romana in terra padana, con una testa di Antonino Pio del Museo Archeologico di Parma (da Velleia, sull’Appennino piacentino), con due lastre di sarcofagi da Mantova e con un mosaico pavimentale ritrovato sotto una via centrale di Ravenna: queste opere, tutte di epoca imperiale, tra il I e il II secolo, intendono celebrare la grandezza di Roma anche nelle sue colonie settentrionali. Spicca poi per bellezza e manifattura la “Croce di Chiaravalle”: capolavoro dell’oreficeria veneziana del Duecento restaurato con grazia da argentieri milanesi nel penultimo decennio del Seicento; secondo la tradizione fu lasciata all’Abbazia di Chiaravalle da Ottone Visconti che vi morì nel 1295. Ricordiamo, che proprio nel complesso cistercense, gli affreschi di scuola giottesca all’altezza del Tiburio erano stati oggetto di un lungo ed ottimamente riuscito intervento di restauro, con finanziamenti inizialmente statali ma completati con l’importante contributo proprio di Intesa San Paolo, per il ventesimo anniversario del progetto “Restituzioni”, integrato da un’imponente pubblicazione, con immagini riprodotte ad altissima definizione per mostrare i minimi dettagli dei soggetti rappresentati: un’opera d’arte essa stessa. Compiendo un gran “salto” temporale tra Medioevo e Rinascimento, incontriamo la Madonna lignea in trono di Celano, del 1130 circa, con la “fioritura” gotica internazionale del ricco e monumentale polittico di Vittore Crivelli da Porto Sant’Elpidio, del 1480 circa, in cui il fondo dorato bizantino dello sfondo degli scomparti fa da contraltare alle figure, già memori dell’arte dei Bellini, e alle prospettive della predella, già rinascimentali. Uno dei “gioielli” in mostra a Gallerie d’Italia è la serie dei disegni autografi di Sebastiano Ricci, provenienti dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, che illustrano perfettamente le capacità grafiche del grande artista bellunese: schizzi e bozzetti preparatori per pale d’altare, affreschi e tele di argomento storico-letterario, eseguite da Sebastiano dal 1706 al 1725. Anche Lorenzo Lotto ha un posto di rilievo in mostra, con la bellissima “Adorazione del Bambino” da Loreto, del 1554/55, ancora particolarmente influenzata dal periodo a Bergamo e dall’arte veneta, specie nel paesaggio di sfondo, nonostante l’epoca tarda, legata al suo soggiorno marchigiano. Ne segue un “viaggio” tra Barocco, Barocchetto e Ottocento, in cui svettano opere come l’ “Annunciazione” del francese Regnier da Venezia, la Visione di S. Andrea Corsini del settecentesco fiorentino Vincenzo Meucci (proveniente dalla cripta della chiesa di Santa Maria delle Selve nel Comune di Lastra a Signa) la “Pentecoste” di Domenico Fiasella da Sestri Levante, il “Martirio di San Pantaleone” del classicista bolognese Gaetano Gandolfi (dalla chiesa dei Gerolamini di Napoli), il “Ratto delle Sabine” di Luca Giordano e il “Raffaello con la Fornarina” del milanese Valaperta, fortemente influenzato dai modi romantici di Francesco Hayez (artista oggetto di una grande esposizione, sempre qui, nei mesi scorsi). Nel catalogo dell’ Esposizione di Belle Arti tenutasi a Brera nel 1866, alla relativa didascalia era così riportato il titolo completo: “Raffaello negli ultimi giorni di vita, affranto dal male e spossato dalla fatica del lavoro, cerca nelle braccia della Fornarina quel riposo che la vita gli contende.” Un discorso a parte lo merita Rubens, con il suo originale “Cristo risorto”, del 1615 circa, da Firenze: l’opera è in formato quadrato, segno, quindi, di una devozione privata, ma, ancor più originale è la scelta di un Cristo non trionfante appena uscito dal sepolcro, come lo aveva raffigurato Piero della Francesca, ma seduto, quasi perso, che sembra chiedersi “cosa faccio adesso che sono risorto?”, un Cristo meditabondo, tipico di quella devozione “apocrifa” fiamminga, a cui gli angioletti retrostanti sembrano quasi fare scherzi in attesa di una sua reazione. Questo capolavoro faceva parte, insieme ad altre di Rubens, della quadreria nelle stanze del Gran Principe Ferdinando de’ Medici, ed è conservato ora alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti. “A Viadana ancora, dove egli si fuggì con Francesco per la guerra, fece in San Francesco luogo de’ Zoccoli, così giovinetto come era, in una tavolina, una bellissima Nunziata; (…)” Con queste parole il grande pittore e critico Giorgio Vasari descrive il dipinto “Annunciazione” del mantovano Girolamo Mazzola Bedoli (Viadana, 1500 ca-Parma, 1569) datandolo intorno al 1521 quando, al tempo della guerra tra Francesco I e Carlo V che coinvolse anche Parma, l’artista si rifugiò a Viadana con Francesco Mazzola (il “Parmigianino”) e lavorò per la chiesa dei francescani di quella città. Con questa opera, prestata per l’occasione dalla Pinacoteca Ambrosiana, arriviamo alla parte finale della mostra tornando in pieno alla grande epopea del Rinascimento dove spicca un drammatico “San Bernardino” dello scultore modenese Antonio Begarelli, da Pavullo nel Frignano. La conclusione è affidata a due capolavori, come la “Crocifissione” di Perugino per il cenacolo di Foligno a Firenze, del 1496/1503, in cui un Cristo sofferente ma, molto probabilmente, già morto, affiancato da due figure: la Vergine e S. Gerolamo, quasi rassegnate, e il “San Pietro” del ferrarese Francesco del Cossa (1470-73) da Brera, in cui la figura del Santo, rugosa e meditabonda, ha, come sfondo, un paesaggio quasi naturalistico nel suo essere brullo e popolato solo da uccelli. Nella nostra visita incontriamo anche tre costumi teatrali espressione della “Commedia dell’Arte italiana, appartenenti ad un vasto repertorio di maschere, oltre cento costumi completi dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, già Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari; l’insieme fu selezionato per la Mostra di Etnografia Italiana del 1911 tenutasi a Roma in Piazza d’Armi (odierno quartiere Prati) per celebrare il cinquantenario dell’Unità d’Italia. Qui “Arlecchino”, “Cantatrice” e “Magnifico” – come riportato nella scheda di presentazione – tre figure del passato,  ci rallegrano nei colori ritrovati, in attesa di riavere la voce e ritrovare i salti, i balzi e gli sberleffi che dovevano animarle un tempo. Ritengo perciò ben giustificate, riferendomi a questi oggetti, le ultime parole del grande storico dell’arte Carlo Bertelli (curatore scientifico con Giorgio Bonsanti) a conclusione del suo contributo nel catalogo prodotto da Intesa-Sanpaolo: “(…) Per un programma come questo, conta a volte tanto salvare un costume di marionetta quanto un vaso apulo, in un piano di conservazione di contesti. Microstoria e grande storia sono sempre storia. Conservare e conoscere il passato sta diventando oggi una forma appassionante di resistenza. Ogni restauro che viene presentato e fatto conoscere assume oggi il ruolo di presidio di civiltà.”

Gallerie d’Italia – Piazza della Scala 6, Milano; fino al 17 Luglio 2016; www.gallerieditalia.com; Orari: da martedì a domenica 9.30 -19.30; (ultimo ingresso ore 18.30); giovedì: 9.30 – 22.30; (ultimo ingresso ore 21.30); Biglietto; intero € 5, ridotto € 3; Numero verde gratuito: 800.167619

Fabio Giuliani

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