Leggi: LA GIUNTA COMUNALE, funzionamento e anomalie

| 1 marzo 2011
Esterino Caleffi

Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?

L’articolo 48 del testo unico per gli enti locali stabilisce che la giunta, organo di governo del comune, insieme al consiglio e al sindaco, “collabora” con quest’ultimo “ed opera attraverso deliberazioni collegiali”.

Ciò significa che coadiuva il capo dell’amministrazione nella realizzazione del programma di governo sottoposto al corpo elettorale e dallo stesso approvato e, nel termine fissato dallo statuto comunale, ma comunque all’inizio del mandato amministrativo, presentato dal sindaco al consiglio, in adesione a quanto prescritto dall’articolo 46 del citato testo unico. Questo articolo parla di “linee programmatiche relative alle azioni ed ai progetti da realizzare nel corso del mandato”, le quali altro non sono che il programma presentato al corpo elettorale e sul quale è stato espresso il prevalente consenso popolare.
Il richiamato articolo 46 dice anche che la presentazione del programma al consiglio comunale avviene dopo avere “sentita la giunta”, la quale non può apportarvi sostanziali modificazioni, che sarebbero per altro in contrasto con l’impianto programmatico presentato ed approvato dall’elettorato.
A tutto concedere può soltanto rendere ammissibile qualche aggiustamento, frutto di fattiva collaborazione e riguardante più che la sostanza del programma: i tempi, gli strumenti e le metodologie operative attinenti alla realizzazione dello stesso. A questo proposito viene da fare una riflessione in ordine alla possibilità di apportare al programma di governo rilevanti mutamenti in corso di mandato. In un mondo che cambia velocemente non si possono ritenere immutabili linee programmatiche che valgono per il lungo periodo di cinque anni, tale è infatti la durata del mandato amministrativo, ma, pur essendo chi scrive d’accordo sulla necessità che gli eletti realizzino quantohanno promesso senza ulteriori passaggi rispetto a quelli stabiliti dalla legge, nel caso ipotizzato di un intervento assai rilevante, per esempio per il territorio, sarà, più che opportuno, necessario presentare il tema alla popolazione affinché in pubbliche assemblee, il più possibile partecipate (o con referendum ), si esprima in proposito e solo successivamente sottoporre l’argomento al consiglio comunale per la presa d’atto della volontà popolare nel caso di diniego o per la deliberazione di modifica del programma nel caso di consenso. Questa sarebbe vera e non formale partecipazione della popolazione in tutte le sue componenti!
Fatta questa digressione, si ritorna al tema in trattazione, con ulteriore richiamo al già citato articolo 48, che, al secondo comma, definisce le competenze della giunta in questo modo: compie tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo (per tali si intendono quelli individuati dal testo unico quali titolari della funzione di indirizzo dell’attività dell’ente) che non siano riservati dalla legge al consiglio comunale e che non ricadano nelle competenze del sindaco, sulla base di previsioni legislative e statutarie; collabora con il sindaco nell’attuazione degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso.
Dal quadro normativo sopra delineato emerge che la giunta comunale ha funzioni di collaborazione con il sindaco (che presiedendola la dirige) nella realizzazione del programma approvato, come si è già detto, dal corpo elettorale e passato al vaglio del consiglio all’inizio del mandato amministrativo, e non, invece, compiti di gestione, come, del resto, si è già avuto modo di evidenziare nell’articolo pubblicato su questo periodico, nel mese di dicembre 2010, alle pagine 54 e 55, nel senso che la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane , strumentali e di controllo, mentre agli organi di governo del comune (consiglio, giunta e sindaco) spettano i poteri di indirizzo e di controllo politico  – amministrativo (articolo 107 del testo unico locale).
Questo principio di precisa suddivisione tra le funzioni di indirizzo e di controllo da una parte e i compiti di gestione dall’altra è, dunque, sancito in modo inequivocabile nell’attuale ordinamento locale, in vigore da oltre venti anni e ciò nonostante ancora oggi vi è, molto spesso, confusione di ruoli con gli organi di governo, o addirittura singoli componenti di essi, che si ingeriscono nella gestione, con l’adozione di provvedimenti che per ciò stesso rischiano l’annullamento se portati all’esame dei giudici amministrativi. A quest’ultimo riguardo interessa qui evidenziare l’ingiustificato rilievo al quale assurgono, molte volte, singoli componenti della giunta, la quale deve, invece, operare attraverso deliberazioni collegiali, come si è detto in apertura, non trovando l’azione singola alcun supporto nella legge. E proprio sul modo di operare della giunta è apparso sul quotidiano economico il Sole24ore, del 17 maggio 2010, a pagina 15, un efficace intervento di Mauro Bonaretti e Renato Ruffini dal titolo “Trasformiamo le giunte comunali in Cda (consigli di amministrazione) leggeri” I due autori auspicano che in sede di approvazione del nuovo codice per le autonomie locali si preveda di:
a) trasformare le giunte in organi collegiali ristretti i cui componenti non abbiano deleghe specifiche, configurando una sorta di Cda o comitato di indirizzo;
b) potenziare alcune figure dirigenziali, facendo sì che collaborino con il sindaco attraverso la formalizzazione di mandati fiduciari per l’attuazione delle politiche e assicurando la loro selezione secondo modalità trasparenti e basate sui requisiti professionali,
c) nominare la rimanente parte dei dirigenti solo per concorso pubblico.

In sostanza, viene messa in discussione l’attribuzione di deleghe operative agli assessori, i quali concentrandosi soltanto sulle materie loro delegate, alla ricerca di visibilità, vengono a perdere di vista la produzione di equilibrate politiche e strategie amministrative.
L’estensore di questa nota, anche per la pluridecennale esperienza maturata nella gestione degli enti locali (comuni e province), condivide del tutto l’impostazione data al tema dai due autori dell’articolo, ma, al tempo stesso, non può fare a meno di osservare che il vigente ordinamento locale non tratta di deleghe e, soprattutto, parla in modo chiaro ed insistito di collaborazione della giunta al sindaco nella realizzazione
del programma e come questa operi attraverso deliberazioni, che sono atti tipici di un organo collegiale e viene, pertanto, da osservare che quanto auspicato esiste già nell’ordinamento vigente. Cosicché, ciò che accade nella pratica quotidiana non va attribuito alle norme, bensì alla loro non corretta applicazione e non tanto, si badi bene, per l’attribuzione delle deleghe in sé, che per l’autonomia statutaria potrebbero anche starci, quanto per la enfatizzazione che delle stesse ne viene fatta, con la conseguenza che in molti casi si arriva ad una vera e propria mancanza di coesione decisionale e a dannose interferenze tra indirizzo politico- amministrativo e gestione. Situazioni molto negative per gli enti e che sono bene riassunte, con benefici suggerimenti per la loro eliminazione, nell’articolo citato più sopra e riportato sul menzionato quotidiano economico:“Ancora oggi siamo un paese dove la politica continua ad interferire sulla gestione e dove ancora non si è affermata una classe dirigente professionale e autonoma. Il problema di fondo è che oggi non possiamo probabilmente più permetterci gli assessori così come sono, e neppure dirigenti ben pagati chiamati a fare un lavoro meramente esecutivo; i primi devono concentrarsi sulle strategie e non inventarsi ruoli che non sono istituzionalmente chiamati a ricoprire; i secondi debbono assumersi le responsabilità decisionali per le quali sono pagati”. Conclusivamente, si è dell’avviso che tanto di ciò che avviene in modo anomalo in molte amministrazioni pubbliche locali, rispetto a quanto linearmente prescrive la normativa vigente, sia da attribuire ad alcune concause, che si possono così riassumere: la non sufficiente preparazione di molti eletti, anche inconsapevole, la mancanza di autorevolezza nella direzione degli organi elettivi e la conseguente incapacità di far fronte alle interferenze politiche ed amministrative che si riversano sull’esecutivo. Pur tuttavia, sarà ben necessario arrivare prima o poi alla corretta applicazione delle regole poste dall’ordinamento giuridico e comunque tale non può che essere l’auspicio per il futuro. A meno che, trattandosi di un fenomeno endemico che, purtroppo, investe da tempo non soltanto molte amministrazioni pubbliche locali, ma anche ed in eguale misura quelle strutturate a più ampi livelli, non si debba amaramente concludere con il sommo poeta Dante “ Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” ( Purgatorio XVI, 97). E poiché lo diceva nel secolo decimo terzo, non so se sia lecito sperare in una inversione di tendenza

Di: Esterino Caleffi

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