LE LIMONAIE DEL GARDA
«Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? / Nel verde fogliame splendono arance d’oro, / Un vento lieve spira dal cielo azzurro, / Tranquillo è il mirto, sereno l’alloro. / Lo conosci tu bene? Laggiù, laggiù / Vorrei con te, o mio amato, andare!…» (Mignons Lied, La vocazione teatrale di Wilhelm Meister)
J. W. Goethe
1786, 13 Settembre: una barca a remi trasporta un forestiero di 37 anni in viaggio attraverso l’Italia in cerca di un’Arcadia, di un’aura ancestrale dove Arte e Storia si intrecciano nei secoli; egli comincia ad assaporare la vagheggiata meta dove ritrovare antichi fasti e rovine sublimi, ove riscrivere in versi l’Ifigenia in Tauride. Prima di raggiungere Verona, il suo Viaggio in Italia gli fa toccare le sponde del Benacus, mentre nella guida del Volkmann rilegge entusiasta i versi virgiliani:
Fluctibus et fremitu resonans Benace marino. Poi un’aria dolce di brezza e un sentire più piano, quasi reminescenza della canzone di Mignon, composta alla prima stesura del Wilhelm Meister, Goethe disegna e dettaglia per parole il paesaggio che nel procedere lento della barca gli si prospetta davanti:
«Alle ore tre di stamane partii da Torbole(…) Passammo davanti a Limone, dagli orti ripidi disposti a terrazze e piantati a limoni, che offrono un florido e indo panorama. Ogni orto consiste di file di pilastri bianchi quadrangolari, che, a una certa distanza l’uno dall’altro, risalgono il monte a gradinate. Sopra i pilastri sono posate robuste pertiche per proteggere d’inverno gli alberi piantati negl’intervalli.» Un vento improvviso costringe i barcaioli a dirottare verso il porto di Malcesine, dove il poeta pernotta e aggiornando il diario annota: «anche qui a Malcesine c’è un giardino simile, ne farò un disegno.»
Invero ci resta solo uno schizzo della rocca, a cagione del quale il Nostro visse la singolare avventura di esser scambiato per una spia. Oggi un’erma commemorativa nei pressi del Castello Scaligero rammenta la fugace visita del grande Tedesco.«Di fronte allo spettacolo delle limonaie il poeta deve aver avuto la sensazione che solo allora il Sehnsuchtslied di Mignon trovasse la sua pienezza» commenta Nicholas Boyle nella sua biografia goethiana. Quando Goethe le descrive, le imponenti limonaie vivono di un’attività ancora florida e remunerativa, stabilitasi da secoli nella morfologia del lago, talora inerpicati sui pendii a piè di monti.
Introdotta dai frati Francescani sin dal XIII secolo, la coltura del limone ha principio a Gargnano e si diffonde a mano a mano sulla costa, in specie quella Occidentale, più temperata e in versante solatio; si ergono le limonaie, edifici imponenti che permettono alle piante di fruttificare e perdurare a questa latitudine inconsueta. I centri in cui la coltivazione fu più intensa sono Gargnano e Limone (precisazione: il toponimo non c’entra con l’agrume, ma si stima che derivi dal celtico lemos o limo, olmo). I limoni prodotti, accanto a coltivazioni di arance e cedri, dal mercato di Desenzano raggiungevano il Nord Europa, in particolare Germania, Russia e Polonia, dove erano apprezzati per qualità specifica e sopraffina. Già il Grattarolo esaltava il limone gardesano, comparandolo ai prodotti del Meridione e della Riviera Genovese: «…quei di quelle Riviere paragonati con questi di questa, si possono dire insipidi. Questi sono più saporiti, e più suchiosi di tutti.» (Historia della Riviera di Salò). La copertura invernale, che si montava fra ottobre e novembre, rinserrando con assi di legno la struttura e creando una serra buia e isolata, sotto la vigilanza attenta del limoniere, assicurava alla fragile pianta la sopravvivenza al riparo dai venti freddi della stagione, mentre una maturazione rallentata generava nel frutto una buccia più spessa e sapida; inoltre era garantita la massima produzione nei mesi estivi, ossia quando la richiesta era maggiore.
Il ‘gargnanese’ D.H.Lawrence in Twilight in Italy, dedica un capitolo ai Lemon Gardens, e ci descrive l’interno di una limonaia chiusa per l’inverno: «Entriamo dunque nella serra. Le povere piante sembrano disperarsi nell’oscurità: il luogo è immenso, buio e freddo, i limoni sono spettrali (…) nell’insieme il luogo è lugubre»
L’atmosfera cupa della limonaia riflette quasi il destino di decadenza già in atto dalla metà dell’Ottocento in poi: la diffusione della gommosi fu una piaga contrastata con difficoltà, mentre lo sviluppo dei trasporti e l’unità del Belpaese agevolarono gli scambi commerciali favorendo i più economici agrumi siciliani e liguri, che gli stessi coltivatori locali frammischiavano ai limoni indigeni, falsandone la qualità.
Fra le poche ancora in attività restano oggi rarissimi esempi di limonaie in cui la coltivazione segue in tutto e per tutto i principi antichi.
Il limone del Garda, insinuatosi nella nostra ricca e povera storia, coltivato e accudito da Salò a Limone, è oramai un appannato ricordo, tenuto vivo dall’ostinazione. Le limonaie abitano il panorama, vestigia del passato in rovina o riadattate in casette turistiche o magazzini, creature museali di un progresso stato e divenuto polvere, mito da reinventare. Lawrence osserva che sui fianchi della montagna «si vedono file di nudi pilastri spuntare dal verde del fogliame come rovine di templi. Sono pilastri in muratura, bianchi e quadrati, che si ergono diritti e abbandonati sui fianchi della montagna, formando colonnati e piazze che sembrano i resti lasciati da qualche grande razza che avesse qui un tempo il suo culto.»
Ciò che ora con certa pompa è chiamata la Riviera dei Limoni un tempo fu un industrioso giardino, tratto d’unione fra villaggi che, privi di una vera strada, si conformavano nel paesaggio intervallato da pilastri e cipressi, talora piantati fittamente per parare il vento, onde preservare i pomi d’oro di Esperidi lontane.
ricetta del limoncello
Tratta, come anche altre preziose informazioni, dal libro di L.Losi I giardini di limoni del Lago di Garda, 2005
Ingredienti:
8 bei limoni profumati (bio),
350g di zucchero,
400g di acqua,
400g di alcol da liquore a 90-95°, un vaso a chiusura ermetica.
Lavare e asciugare i limoni; con lo sbucciapatate togliere solo la parte gialla delle bucce. Mettere le bucce in un grosso vaso di vetro con chiusura ermetica con i 400g di alcol. Sciogliere i 350g di zucchero in 400g di acqua calda e portare a ebollizione. Lasciare raffreddare lo sciroppo ottenuto. Versare sulle bucce, chiudere il vaso e lasciare riposare per 24 ore, agitare il vaso per tre-quattro volte e lasciare riposare per altre 24 ore. Filtrare con un colino e imbottigliare. La stagionatura deve essere di almeno un mese, in luogo fresco e asciutto. Servire come digestivo, freddo ma non gelato.
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