Lago di Garda 24 giugno 1859: Il temporale sul Garda

| 1 luglio 2009
Lago di Garda - ph.Dipende

Marco Gerosa nel suo libro Il Benaco nei ricordi e nelle sovrane bellezze, edito dalla Queriniana nel 1956, ha scritto come la madre, allora ragazzina, il mattino della battaglia di Solferino e San Martino si trovava a Salò sulla terrazza di casa prospiciente il lago. Era presto e l’azzurro dell’acqua aveva quella tonalità tenue propria delle mattinate estive, quando la nebbiolina tipica del paesaggio lacustre non si è ancora dissolta. La particolarità della scena stava nel rombo di colpi di cannone che col passare del tempo diventavano boati. Provenivano da sud ed erano talvolta tanto forti da far tremare i vetri delle finestre. Erano accompagnati, allo sguardo rivolto in quella direzione, da bagliori rossi e da colonne di fumo. Una giovane, parente della famiglia proprietaria della palazzina, anche lei sul terrazzo, ad ogni colpo si spaventava, si inginocchiava e pregava per il fidanzato, soldato volontario in quella battaglia di cui si udivano e si vedevano segnali tanto paurosi. Fu così per tutta la giornata. Alle cinque del pomeriggio all’improvviso si addensarono rapidamente nubi nere sul lago, fino ad allora celeste e calmo, e scoppiò una bufera accompagnata da pioggia e grandine. Le onde divennero grandi, spumose, grigio piombo. Questo grosso temporale, della durata di circa un’ora, imperversò anche sull’area dei combattimenti: su San Martino e Solferino. Ne parlano tanti scritti dell’una e dell’altra parte dei contendenti. Luigi Chiala in Ricordi di Michelangelo Castelli, edito da L.Roux e C. Editori nel 1888, riportando ricordi di volontari dell’esercito piemontese, ha scritto che la bufera fu talmente violenta da sollevare nei pressi di Castel Venzago i cavalieri da sella. A fatica riuscirono a tenere le briglie e a governare i propri animali. I cavalli si rifiutavano di seguire gli ordini miranti a farli entrare nelle cascine vicine e solo con enormi sforzi si finì per portarli dietro un’altura al riparo dal vento1. La Relazione Ufficiale Austriaca precisa che alle 17,15, un quarto d’ora dopo l’emanazione per iscritto della disposizione di ritirata da parte di Francesco Giuseppe, il violento temporale era in pieno sfogo e si ebbe una momentanea sospensione dei combattimenti. La tregua durò però poco tempo. Le nuvole non avevano ancora finito di scaricare pioggia torrenziale che le truppe francesi ripresero la pressione sull’esercito asburgico e avanzarono verso Monte Bosco Scuro (Cavriana)2. Nel diario del duca di Modena, Memorie di quanto disposi, vidi ed udii dall’11 giugno al 12 luglio 1859, Aedes Muratoriana, Modena 1981, si legge che egli, al seguito di Francesco Giuseppe, assistè da Cavriana con dolore alla ritirata dell’esercito austriaco, segno tra l’altro della fine del proprio ducato. Il Duca ha annotato che durante quella furiosa burrasca il tuono si mescolava col rombo dei cannoni; i cannoneggiamenti per un breve periodo tacquero e quella breve pausa sembrava dare qualche speranza in più a chi si ritirava. Poi, continua il diario, la tempesta si trasformò in sottile pioggia, quindi ritornò il sereno con il sole fresco e dorato del tramonto; l’aria era così tersa che i rilievi delle prealpi bresciane sembravano incastonati sull’orizzonte. Sul giornale austriaco “Fremden-Blatt” di domenica 10 luglio 1859, in una lettera inviata da un medico militare dell’esercito asburgico, il temporale acquista toni epici nel seguente passo: “Alle 5 del pomeriggio, quando il coraggio e la carneficina erano al culmine, rintronò dal cielo il veto alle passioni esasperate e per un momento subentrò la calma, poi il combattimento ricominciò più accanito di prima. Fu il momento più grandioso, anche se il più spaventoso della giornata.”3 Concludiamo con la testimonianza di un sottotenente austriaco di 18 anni, Albert Guzman. Era questi un bel ragazzo, alto, magro, dai capelli neri, abbronzato, universitario di Klagenfurt e promettente poeta; sull’onda degli entusiasmi studenteschi per la preparazione della guerra, era entrato come cadetto nel reggimento Prohaska della Stiria. Durante la battaglia del 24 giugno era schierato con i suoi uomini e i commilitoni presso San Martino. Per tutta la mattinata il reggimento non era stato coinvolto nei combattimenti. Spossato dal caldo e dalla tensione per l’attesa di comandi che sembrava dovessero echeggiare da un momento all’altro, nel pomeriggio si era addormentato. Proprio mentre dormiva, disteso per terra sul crinale di una collina, sopravvenne l’uragano. E così leggiamo nei suoi Ricordi della campagna italiana del 1859: “Come tutto era mutato attorno a me, quando mi svegliai! Il cielo prima chiaro e sereno, adesso era coperto di nere nuvole cupe, il caldo opprimente aveva lasciato il posto ad un fresco ben percepibile, la bufera sibilava attraverso l’aria e presto si abbatté a catinelle anche la pioggia che dal nubifragio ci fu cacciata giusto in faccia. Pure sul campo di battaglia s’era purtroppo mutato qualcosa e anche se la nostra ala era ancora salda, si notava tuttavia dalle parti di Solferino un arretramento delle truppe austriache. La furiosa bufera ci aveva messo talmente a dura prova che in molti punti le nostre batterie avevano dovuto ammutolire, mentre quelle del nemico, che aveva il temporale alle spalle, continuavano a funzionare senza intralci. Mai avevo vissuto prima d’ora una burrasca così violenta. Nel frattempo la furia degli elementi aveva cessato di imperversare e quando solo una leggera pioggerella cadeva ancora su di noi, inzuppati fino alle ossa, risuonò all’improvviso l’ordine di mettersi in doppia fila e di avanzare.” Albert Guzman morirà di tubercolosi nel giugno del 1863 a 22 anni, quando gli si stava aprendo una carriera di drammaturgo e di poeta.

Di: Amelia Dusi

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