IMPORTANTE SCOPERTA SCIENTIFICA DI CIRO CHIAPPINI

Lo scienziato salodiano da tempo impegnato nell’applicazione delle nanotecnologie alla medicina, ha inventato un sistema rivoluzionario e indolore per individuare e monitorare malattie come cancro e Alzheimer.
Dipende TV in ottobre 2017 aveva intervistato il giovane ricercatore via skype in occasione di un importante contributo europeo che finanziava con 1,5 milioni di euro le sue ricerche a Londra. (vedi link: www.giornaledelgarda.info/la-ricerca-di-ciro-chiappini-sulle-nanotecnologie-applicate-alla-medicina/) Oggi ritroviamo il professionista che ha vinto la sfida e con il team che dirige al King’s College di Londra, ha messo a punto l’innovativa procedura scientifica per effettuare biopsie indolori. SI tratta di una “biopsia cerotto” che, grazie a decine di milioni di nanoaghi, è in grado di raccogliere le informazioni molecolari dai tessuti in modo indolore, senza rimuoverli o danneggiarli. Più sottili di un capello. La notizia è balzata sui media internazionali e noi di Dipende, che avevamo raccontato l’avventura che stava iniziando, abbiamo raggiunto il dottor Chiappini telefonicamente per complimentarci e sentire le novità direttamente alla fonte: “Quindici anni fa abbiamo messo a punto un metodo semplice, economico e riproducibile per produrre nanoaghi: strutture minuscole, mille volte più sottili di un capello umano. Il loro diametro, di appena qualche centinaio di nanometri, è così ridotto da renderli invisibili a occhio nudo, ma abbastanza affilati da attraversare delicatamente la membrana cellulare senza danneggiarla. – spiega lo scienziato – Abbiamo iniziato utilizzandoli per veicolare farmaci e geni direttamente all’interno delle cellule, scoprendo che questa modalità era altamente efficace e non tossica. Da lì, abbiamo esteso il loro impiego a una funzione altrettanto rivoluzionaria: prelevare materiale molecolare dalle cellule in modo non invasivo, aprendo la strada a diagnosi più rapide, sicure e indolori. Oggi applichiamo i nanoaghi in diversi ambiti della medicina. – prosegue Chiappini –In ambito di terapia genica, ad esempio, li stiamo utilizzando per trattare ferite croniche, come quelle legate al diabete o a malattie genetiche rare della pelle, grazie alla loro capacità di trasportare geni terapeutici direttamente alle cellule cutanee. In campo di terapie cellulari, li stiamo impiegando per modificare geneticamente cellule immunitarie come i linfociti T — utilizzando tecniche come CRISPR — rendendole più efficaci nel combattere le malattie autoimmuni. Ma forse l’uso più visionario è quello che ci consente di accedere all’interno delle cellule senza distruggerle, per raccogliere informazioni molecolari in modo del tutto non invasivo: una nuova frontiera che chiamiamo “biopsia invisibile”.
Si apre così un mondo di possibilità per le persone affette da tumore al cervello, Alzheimer e per il progresso della medicina personalizzata. Permetterà agli scienziati – e successivamente ai medici – di studiare le malattie in tempo reale.
La scoperta è rivoluzionaria… in Italia sarebbe stato possibile realizzare un laboratorio di pari efficacia?
In Italia ci sono competenze straordinarie e ricercatori di altissimo livello, ma spesso si trovano a lavorare con risorse più limitate e dentro a strutture burocratiche più complesse. In contesti come quello britannico, invece, la ricerca può contare su una maggiore continuità nei finanziamenti, una gestione più agile dei progetti e un ecosistema molto collaborativo e interdisciplinare. Questo accelera il passaggio dall’idea alla realizzazione concreta, anche in ambito clinico o tecnologico. Personalmente, lavorare a Londra mi ha offerto un ambiente molto dinamico e aperto all’innovazione, ma continuo a collaborare attivamente con l’Italia. La scienza, in fondo, è un’impresa collettiva senza confini: il vero salto di qualità, ovunque si sia, avviene quando si riesce a fare rete e a mettere le competenze in dialogo.
Essere italiano in ambito scientifico ti ha in qualche modo limitato o è stato un valore aggiunto o pensi che oggi non faccia differenza?
Essere italiano, per me, è stato sicuramente un valore aggiunto. La formazione che ho ricevuto mi ha dato solidità teorica e una certa creatività nell’affrontare i problemi, che spesso è apprezzata nei contesti internazionali. Allo stesso tempo, ho dovuto imparare a navigare sistemi molto diversi, e adattarmi a dinamiche lavorative spesso più snelle e orientate al risultato. Oggi credo che il passaporto conti sempre meno, ma l’identità scientifica che ognuno porta con sé — fatta di esperienze, cultura e relazioni — possa essere una risorsa preziosa, se riesce a integrarsi in un contesto aperto e collaborativo.
Pensi di tornare sul Garda a vivere o solo in vacanza?
Il Garda è casa, e ogni volta che ci torno sento quanto mi manchi. Per ora è un luogo di vacanza e famiglia, ma non nascondo che mi piacerebbe, un giorno, riuscire a tornarci a vivere. È un pensiero che tengo vivo, anche se i tempi non sono ancora maturi.
Cosa consigli ai giovani….
Soprattutto in Italia, direi di non avere paura di sbagliare. Nella ricerca, la maggior parte degli esperimenti non funziona al primo colpo — ed è assolutamente normale. È proprio così che si avanza: ogni fallimento, se affrontato con spirito critico e apertura, ci avvicina alla soluzione. Bisogna fare proprio il concetto di “failing forward”, sbagliare in avanti, cioè di trasformare ogni errore in un passo verso qualcosa di migliore. La scienza non è fatta di risposte immediate, ma di tentativi, correzioni e intuizioni che nascono spesso proprio dagli insuccessi. Accettarlo è fondamentale per crescere, non solo come ricercatori, ma anche come persone.
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