Desenzano del Garda: QUANDO CAPOLATERRA SALVO’ LE VOCI DEL DUOMO…

| 30 ottobre 2006
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Finita la guerra, anche a Desenzano, come in tutti i comuni d’Italia, si registrò un vivace fervore politico accompagnato da sgarbi tra le forze in campo, a volte solo coloriti o molto coloriti, a volte più faziosi.

IL DISTACCO. Sempre la Parrocchia del Duomo, l’unica del paese, rimaneva un forte luogo di aggregazione. Nel suo ambito nascevano e venivano realizzate molte iniziative di carattere associativo e culturale. Per i ragazzi, per i giovani, per le famiglie l’oratorio era un importante punto di riferimento. Per un certo periodo il cinema qui aperto offrì film indimenticabili, gli spettacoli di carnevale erano molto vivaci e divertenti, le feste di mezza quaresima sul Monte Corno erano affollate e partecipate. Il parroco don Licinio Ferro e i due curati formavano una notevole squadra, benvoluti dai fedeli e stimati dai lontani. In questo ambiente sorse il Coro Azzurro Benacense, numeroso gruppo di uomini di tutte l’età, legati tra loro da amicizia cementata dal comune amore per il canto. Del resto si continuava una tradizione presente in paese fin dal primo ‘900. Il repertorio era religioso, ma anche folcloristico e lirico e si registrava un buon successo con molte occasioni pubbliche di produzione. Le cose iniziarono a cambiare con i primi anni ‘60. Il 4 novembre 1960 era morto improvvisamente don Licinio Ferro, parroco dalle grandi doti umane, che aveva svolto il suo incarico con totale e semplice dedizione, ben inserito nel paese di cui faceva parte dal 1939. Non che gli fossero mancati i contrasti di diverso genere, ma li aveva affrontati con umiltà e partecipazione ai sentimenti della gente; Desenzano lo aveva così sentito durante la guerra e dopo la guerra molto vicino. Il successore, uomo di studi, interessato e informato sulle problematiche della cultura contemporanea, era uomo da anni residente in città e si trovò a impegnarsi in una Desenzano in espansione edilizia e con una trasformazione culturale in atto. Lungimirante, favorì il sorgere di nuove parrocchie nei quartieri che si stavano allargando verso est e verso ovest. Vedeva allo stesso tempo il processo di affermazione della cultura di sinistra e della laicizzazione. Rigido con se stesso e con gli altri, con temperamento non sempre felice, affrontò a suo modo il cambiamento storico. Quanto al Coro Azzurro Benacense, preso atto della situazione, egli convocò i responsabili e disse che tra loro vi erano dei comunisti, che non dovevano esserci. I responsabili suggerirono che li vedesse come pecorelle smarrite e li accettasse. Il parroco nuovo fu irremovibile. Il Coro, unito da una solidarietà di diamante, preferì lasciare il Duomo. Dopo alcune prove in sistemazioni di ripiego, trovò accoglienza presso la rinnovata parrocchia di San Giovanni di Capolaterra. Il Parroco del Duomo mise in guardia il giovane parroco di Capolaterra osservando che tra i componenti del gruppo c’era chi amava il vino e non frequentare la Chiesa. L’altro rispose pacatamente che in fondo si trattava di tutta brava gente. Così il Coro Azzurro Benacense divenne la Corale di San Giovanni, con l’inserimento delle voci femminili nell’organigramma e con ancora una lunga storia davanti a sé. Il gruppo crebbe formidabile e pieno di vitalità sia sul piano musicale sia sul piano della gestione associativa. Intanto Desenzano con l’arrivo massiccio di nuovi abitanti e l’apporto di esperienze nuove da parte degli universitari e dei laureati era sempre più città e meno paese: i rapporti sociali erano meno familiari e le relazioni personali più distaccate.

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