Desenzano (BS): La ragazza col grembiule rosa

| 1 dicembre 2007
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Un giorno di settembre andiamo a trovare la Professoressa Valeria Tanzini, per decenni insegnante di matematica, geometria e fisica al Liceo Bagatta di Desenzano e prima donna laureata di Montichiari.

La professoressa Tanzini ci accoglie sorridente, i capelli raccolti a crocchia sulla nuca, la bella camicetta bianca di seta, il golf leggero marrone. Cammina con qualche insicurezza. Il volto è più scarno e aguzzo di quanto ricordavamo, le guance sono un po’ incavate. Ma ancora la sua anima è nelle mani, nella voce, soprattutto negli occhi scuri, attenti, brillanti, puntuti. Si siede al tavolo del salottino, le braccia appoggiate agli orli, concentrata sulle parole che intende usare. Si parla dei suoi studi, fatti a cavallo della guerra. La prima risposta è concisa: ha frequentato l’Istituto Magistrale al ‘Veronica Gambara’ di Brescia, dando poi da privatista l’esame di quinta liceo scientifico. Ha potuto così iscriversi alla facoltà di matematica all’Università Statale di Milano.
Man mano la conversazione procede, a poco a poco si viene tessendo la tela su cui si è composta la sua giovinezza. Montichiari, il paese d’origine, al tempo della sua infanzia era ancora centro agricolo col vivace mercato del bestiame e dei prodotti della campagna. Il padre era commerciante- artigiano, ma l’ambiente in cui la famiglia viveva era naturalmente contadino, legato alle tradizioni proprie delle cascine lombarde. Valeria ancora piccolina per mano della nonna andava alla funzione serale del Rosario in chiesa e alla luce delle candele vedeva i volti pieni di rughe delle donne della contrada. Erano questi visi affaticati e segnati che la colpivano insieme all’acquiescenza della maggioranza delle donne ai mariti. Anche nelle case dei più ricchi le ragazze non venivano fatte continuare negli studi per la convinzione che poi a diciotto anni si sarebbero sposate.
Queste considerazioni pesavano ancor di più nelle famiglie più semplici. Valeria aveva due nonne: una piangeva sempre perché pur essendo di buone condizioni economiche non aveva potuto aiutare i suoi figli come avrebbe voluto, in quanto le decisioni erano prese da altri; la seconda nonna invece, madre di quindici figli, benché vedova dal 1907 e con molti lutti in famiglia, non si era mai persa di coraggio.
Ecco, fin dai dieci anni, Valeria voleva insegnare alle donne a essere meno ignoranti, per affrontare la vita in modo meno passivo. I suoi genitori avrebbero voluto che studiasse il primogenito, ma il ragazzo, dopo tante traversie nella scuola, un giorno, mentre tornava a casa col fratellino disse: “Portami a casa i libri che vado a buttarmi sotto il tram.” Il piccolo con molta innocenza replicò: “No, lo farai un altro giorno, perché io oggi non ti porto i libri a casa.” Tornarono dalla madre e il maggiore piangendo a dirotto spiegò alla mamma preoccupata il perché. La madre capì e sostenne il suo desiderio di restare a lavorare col padre. Valeria compiva allora undici anni e i genitori l’assecondarono nel voler essere lei quella che continuava gli studi.
La ragazzina a Brescia stava in collegio dalle Suore del Sacro Cuore e frequentò le medie e le magistrali senza problemi. Era affascinata dalla matematica e dalla precisione della geometria con quel suo procedere secondo l’ordine logico- deduttivo. In questa bellezza e perfezione vedeva la presenza di Dio. Aveva però gli stessi interrogativi di altri adolescenti: chi ha ragione tra la Bibbia e la teoria di Kant-Laplace? La suora, a cui riportava la domanda dell’amica, le imponeva di andare nella cappella a pregare contro le tentazioni. Lei andava, ma non faceva quella preghiera. Era una ragazzina come tutte le altre e se perdeva un’ora di lezione per l’allarme aereo, era contenta. Condivideva l’incoscienza di rifugiarsi nelle cantine dell’Istituto durante i bombardamenti, col rischio di rimanere sepolti dalle macerie.
Nel 1942 era maestra e volle frequentare l’anno integrativo per il Liceo Scientifico ‘Calini’. Il suo desiderio di continuare a studiare si rafforzava, come il suo carattere, così abituata a gestirsi da sola negli anni trascorsi fuori casa. Nel 1943 era pronta per andare a Milano all’Università Statale. Milano era raggiungibile solo con treni composti da carri merci, in cui erano sistemate delle panchette in legno. La città era sotto i bombardamenti e non vi si trovava nulla senza difficoltà. Valeria doveva portarsi il cibo da casa, compreso il sale, alla pensione dove aveva trovato un posto letto.
Il mitragliamento aereo e l’uccisione di alcuni uomini che tornavano dal lavoro alla località dei Trovellini nel 1944, presso Montichiari, spaventò lei e la sua famiglia a tal punto che non sarebbe più andata a Milano sino alla fine della guerra.
Sempre però l’interesse per la matematica cresceva: ciò che diceva la scienza, era vero e assoluto? Nell’autunno del 1945 riprendeva a frequentare le lezioni in Facoltà ed ebbe l’incontro con le teorie di Albert Einstein, il cui pensiero la affascinò. La sua lucidità e la franchezza nel trattare il problema della relatività portavano le risposte che lei desiderava. Nel 1949 dava la tesi ed era la prima donna laureata del paese.
Dopo la sua laurea, anche le donne più semplici del vicinato lavoreranno per far studiare e far diventare maestre le proprie figlie. E Valeria iniziava a fare quello che più gli piaceva: insegnare. Insegnò in tutti i settori della scuola dall’Avviamento alle Medie, all’Istituto Magistrale, al Liceo Classico. Sempre incontrava un’umanità ricca e positiva: dal ragazzino dell’Avviamento che prima di andare a scuola si alzava alle tre per aiutare i fratelli nella stalla, ai tre alunni di lei e di Pedini, suo collega alle Medie e futuro Ministro dell’Istruzione, che matureranno una così grande sensibilità civica da divenire sindaci e di fare egregiamente questo servizio alla cittadinanza di Montichiari. Senza dimenticare le notevoli intelligenze di alcuni ragazzi e ragazze del Liceo ‘Bagatta’ di Desenzano.
Affrontò con consapevolezza anche gli anni della contestazione, dal ’68 al terribile decennio ‘70-‘80. Diceva agli allievi che sbagliavano a scioperare, perché così facendo rinunciavano a un servizio che i genitori con le tasse avevano pagato.
In realtà aveva molta paura che i ragazzi nei cortei delle manifestazioni si picchiassero e si facessero del male, pericolo non inverosimile dopo tutto quello che trasmettevano i telegiornali in quegli anni.
Sempre mantenne il proposito di insegnare, di spiegare con chiarezza, di riuscire a fare apprendere. Si imponeva di superare ogni ostacolo per raggiungere queste finalità per lei prioritarie. Poi ottemperava alle soluzioni formali prese dalla scuola per queste situazioni, lasciando liberi gli studenti di decidere se scioperare o meno. A ogni teorema da spiegare il giorno dopo, cercava di prevedere quali potevano essere le difficoltà di comprensione. Per questo, durante la presentazione di nuovi argomenti, spiegava in modo puntiglioso, chiaro, col rischio di essere troppo insistente in certi passaggi non dati per scontati, cercando di capire quanto i ragazzi avessero appreso. In ciò trovava collaboratori negli alunni più intuitivi. Lo sforzo costante di vedere con chiarezza e di aggirare gli ostacoli era supportato dal dipingere. Durante la chiacchierata abbiamo notato alle pareti del salottino tanti quadri, forse un centinaio, senz’altro della stessa mano, pur nella varietà delle immagini. Tutti fatti da lei. Ci colpisce quello che sta alla parete sopra il divano dove la signorina Valeria è venuta a sedersi, una volta calata la leggera tensione iniziale. A un primo sguardo sembra una scena natalizia, ma poi il quadro si dimostra più attuale e composito. In alto, scure, sono raffigurate ciminiere fumanti; in primo piano su un prato una ragazza dal grembiule rosa, con fronte all’osservatore, porge un cespo d’erba ad un asinello accovacciato. Ritratto di schiena, un uomo, abbracciando l’asinello, stende una mano sul muso in modo che l’animale non veda e non addenti il cespo d’erba teso dalla ragazza inconsapevole, perchè è avvelenato dai fumi inquinanti. La signorina Valeria riferisce che quell’uomo è suo padre.
Ogni quadro le ricorda l’occasione in cui è stato fatto e il perché del tema trattato. Quello descritto le richiama alla mente Montichiari e la questione della discarica. Quadri occupano le pareti di tutta una stanza, ognuno le ha permesso di non cadere in crisi di fronte a questo o a quell’ostacolo. Quando ci salutiamo, ci augura e si augura calma e serenità d’animo, che vorrebbe regalare a ciascuna persona del mondo. Non lo dice da professoressa, sono invece le parole della ragazza del grembiule rosa, piena di garbo e di fiducia.

Di: Amelia Dusi

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