Unità d’Italia: Il 75° anniversario

| 8 giugno 2011
75° BATTAGLIA

Il 24 giugno 1934 ricorreva il 75° anniversario della battaglia di San Martino e Solferino. Era di domenica e Maceo Togazzari , che da tre anni aveva negozio di fotografo a Desenzano, poté recarsi alla cerimonia per tutta la mattinata senza il pensiero del proprio laboratorio. Prese un treno straordinario istituito per l’occasione verso le 8 e alle 8,15 era già alla stazioncina di San Martino. Scesero con lui dal convoglio molte altre persone che alla spicciolata percorsero la strada bianca verso l’altura della battaglia. I gruppetti camminavano speditamente e allegramente, passando tra i vigneti e i campi seminati a frumento. La giornata era bella e faceva brillare il selciato in cemento delle cascine ai lati del viottolo e le lapidi poste sopra il portico a ricordo di questo o quel momento del combattimento. Nessuno dei viandanti le leggeva ed era un peccato. Ciò che da prima colpì Maceo quando verso le 8,30 raggiunse l’ossario di San Martino, fu la grande affluenza di gente, arrivata già con treni provenienti da Venezia o da Milano, con autobus o più semplicemente in bicicletta. Proprio la grande affluenza di persone ostacolò il suo desiderio di fare fotografie, perché non sempre riuscì a trovare una posizione adeguata a uno scatto, comunque Maceo ha lasciato all’incirca una ventina di immagini che documentano la ricorrenza. Una volta concluso l‘afflusso, l’altura della torre era ricoperta da partecipanti con gagliardetti e bandiere che sventolavano al venticello proveniente dal
lago di Garda. Un posto di riguardo l’avevano i superstiti delle imprese del Risorgimento e in particolare gli anziani garibaldini con le loro camicie rosse. Non erano tanti ma alcuni sopravvivevano; ad esempio a Desenzano viveva in discreta salute Giuseppe Zeni, che da giovane aveva lasciato l’università per accorrere nelle schiere dei Mille e partecipare alla presa di Palermo. Accanto a questi vi erano i reduci della guerra mondiale del 15/18, ugualmente associati nel rispetto e nell’onore riservati ai primi. A rendere più significativa la presenza degli ex combattenti della prima guerra mondiale vi era, con la medaglia d’oro al valore assegnata alla memoria del figlio, la madre di Damiano Chiesa, ventenne trentino arruolatosi nell’esercito italiano e passato per le armi una 150° Unità d’Italia volta prigioniero degli austriaci. Si distinguevano poi i rappresentanti delle associazioni del partito al potere con le scure divise che non aiutavano a sopportare la calura del giorno estivo. Ugualmente formavano una compagine ordinatamente disposta ai comandi dei vari capisquadra in mezzo alla folla. La zona riservata ai giovani fascisti, avanguardisti, balilla, giovani e piccole italiane veniva guardata con tenerezza dalle mamme e dalle nonne, malgrado l’atteggiamento austero fatto loro assumere dai rispettivi capisezione. Non mancavano con le loro belle divise da parata le rappresentanze degli eserciti italiano e francese: un battaglione del glorioso 79° fanteria e il 10° battaglione dei Chasseurs des Alpes, ambedue con musica e bandiere al seguito. Dopo la messa all’ossario e la benedizione impartita a tutti i caduti da parte del parroco di Rivoltella, l’attenzione passò al vasto piazzale davanti alla torre. Agli occhi delle autorità presenti sul palco presso l’ingresso della torre dedicata a Vittorio Emanuele II doveva presentarsi uno spettacolo esaltante della folla, che dopo gli applausi di saluto doveroso alle personalità politiche si dispose in assoluto silenzio in attesa dei discorsi di rito. Oratore ufficiale era stato designato dal governo il conte Cesare Maria De Vecchi di Val Cisnon, già quadrumviro nella marcia su Roma del 1922 e nel 1934 ambasciatore presso la Santa Sede oltre che presidente della società nazionale per la storia del Risorgimento. Al suo fianco vi erano l’ambasciatore francese presso la Real Corona conte De Chambrun, il console francese a Milano Dollot il generale Jeanpierre comandante del 20° corpo d’armata di Nancy. Tutti avevano un loro seguito chi di senatori e onorevoli, chi di uomini d’affari, chi di ufficiali. Il palco davanti all’ingresso del monumento dedicato a Vittorio Emanuele II non era di piccole dimensioni e ugualmente non c’era un posto libero. Alle ore 10 iniziò a parlare il conte De Vecchi. Questi in modo molto chiaro e comprensibile illustrò i movimenti delle truppe durante la gloriosa giornata del 24 giugno 1859 attorno ai centri focali della battaglia: Solferino, Madonna della Scoperta, San Martino. Quindi fece un collegamento con l’altra grande battaglia di 59 anni dopo, quella di Vittorio Veneto, che definitivamente batteva l’esercito austroungarico assicurando l’unità nazionale su tutto il territorio italiano. Da qui la necessità di tributare onori ai prodi che nell’800 e nel ‘900 si erano battuti per la realizzazione di questo ideale. L’ambasciatore di Francia conte De Chambrun, ringraziando Cesare De Vecchi per aver sottolineato l’apporto dell’esercito francese parlando di Solferino, aggiungeva che malgrado le diverse vicende di Italia e Francia dopo il 1859, i fatti avevano testimoniato la continua amicizia tra i due stati nel comune sentire della schiatta latina. Il generale Jeanpierre ricordò con riconoscenza le espressioni d’affetto ricevute da lui e dal battaglione francese durante il viaggio in Italia per raggiungere San Martino e Solferino. Aggiunse quindi che si poteva trovare un parallelismo nella storia dei due popoli presso le sponde di due fiumi divenuti sacri: la Marna e il Piave, ambedue bastioni della libertà per i rispettivi popoli in tempi molto recente. Mentre i reparti militari e le diverse associazioni a questo invitate svolgevano una coloratissima ed applaudita parata, gli aerei del Reparto di Alta Velocità di Desenzano volavano con festosi cerchi nel cielo estivo di San Martino. Erano stati quindi premiati combattenti del 1859 e del 1918. Mentre le autorità raggiungevano in auto scoperte Solferino, i forestieri partecipanti alla manifestazione si sparpagliavano per i campi e i boschetti delle alture di San Martino e, trovato un posto all’ombra, mangiavano la propria colazione portata al sacco come era stato loro raccomandato dagli organizzatori, non essendoci posti di ristoro in quella campagna che era una campagna seria. Maceo Togazzari raggiungeva invece casa a Desenzano dopo aver scattato una delle sue più belle fotografie a un vecchio garibaldino con camicia rossa e berretto rosso con visiera, affiancato da un altrettanto anziano ardito in camicia nera e fez. Le cerimonie si erano poi ripetute a Solferino. Alla fine delle celebrazioni, verso le 14, le autorità si erano ritrovate a Desenzano per la colazione e padrone di casa era stato il conte Giovanni Pellegrini Malfatti, stimato e benvoluto podestà in questo paese. Questi con la gentilezza che gli era propria aveva fatto sentire ciascuno a proprio agio, tanto che i brindisi ai paesi alleati, al Re, alla Regina, al Duce, al Presidente della Francia erano risuonati in un clima di reciproca cordialità. Verso le 16, dopo una visita all’idroscalo al Reparto di Alta Velocità da parte di Cesare De Vecchi, le varie personalità in treno avevano lasciato Desenzano.

Di: Amelia Dusi

Tags:

Commenti

Salvato in: CULTURA
×