Verona: UdA Architetti ladri di case

| 6 marzo 2015
architetti ladri

Riflessioni sull’architettura dell’interno domestico.


Conferenza dell’architetto Andrea Mercante dello studio UdA
Introduce: arch. Alberto Vignolo
Martedì 10 marzo 2015, ore 18.00
Teatro Laboratorio all’Arsenale, Verona
Evento aperto a tutti. Contributo € 3,00 (studenti ingresso gratuito)

ARCHITETTI LADRI DI CASE
Come descrivere il complesso e articolato rapporto tra l’architetto, il suo progetto, il contesto e il committente?
Esistono innumerevoli esempi passati di analisi, descrizioni, riflessioni su questa complessa geometria: spesso queste relazioni sono descritte in modo piuttosto tecnicistico, sotto il profilo della pratica professionale o sotto quello, un po’ agiografico, dell’architetto di fama; oppure si analizza e si discetta di tutto ciò che ruota attorno alla questione della “lettura” del contesto, dell’approccio metodologico del progetto, ecc. ecc. A noi tuttavia, sarà per le caratteristiche dei progetti affrontati o per il fatto di confrontarsi con una committenza privata, interessa sempre più l’aspetto quasi emozionale, irrazionale, al limite “psico patologico” delle modalità in cui l’architetto si sostituisce all’altro (il committente, il cliente, l’utilizzatore finale) nell’appropriazione degli edifici, dei luoghi e degli spazi in cui è chiamato a operare. Un insieme di sensazioni e sentimenti che diventano molto chiari soprattutto nei lavori che hanno per oggetto edifici già esistenti da recuperare, in particolare modo nelle residenze. Alla fine è come se ognuno di questi progetti fosse un insieme di tante narrazioni nel tentativo di fare proprio un luogo, un edificio, uno spazio, un oggetto. In questo probabilmente non vi è nulla di strano: è la insopprimibile e ancestrale necessità dell’uomo di attribuire significati e senso alla realtà che ci circonda.
La cosa però interessante è che, per il tipo di lavoro che svolge, all’architetto di interni questo aspetto rimane più evidente nella pratica quotidiana e nel suo continuo stabilire trame, connessioni, proiettare narrazioni sugli spazi e le cose che ha intorno. Questo evocare sul piano della realtà qualcosa che è latente nelle cose si intreccia anche con il fatto che ogni lettura, analisi, descrizione di un ambiente è per stessa definizione parziale e “incornicia” alcuni dettagli per trascurarne altri. Ogni luogo esistente, ogni progetto realizzato è raccontato per immagini attraverso una schedatura fotografica, ma ogni scatto, dal più inconsapevole al più ruffiano, lascia fuori qualcosa.
In questo margine tra il manifesto e ciò che è nascosto, in questo tempo sospeso tra chi ha abitato e chi abiterà si insinua il nostro lavoro: quando il cliente ancora non ha fatto suo il progetto, la casa costruita, lo spazio a lui destinato, perché ancora con l’animo rivolto altrove mentre noi, pro-tempore, viviamo “fisicamente” la sua vita. Cominciamo ad “abitare ” la casa cantiere, mimiamo e sperimentiamo rituali di una quotidianità altrui: così, quando ancora gli arredi non ci sono, costruiamo tavoli e sedute provvisorie e con
atteggiamento prossemico verifichiamo i limiti tra gli spazi più intimi e quelli più personali e ancora tra gli spazi di natura più sociale con quelli più pubblici, sistemiamo reti come giacigli e per primi ne percepiamo l’arrivo della luce naturale. Tracciamo su muri e pavimenti luoghi per cucinare, leggere, studiare o riposare e, come nello Shakkei giapponese, cerchiamo come meglio prendere a prestito porzioni di paesaggio esterno che estratte dal loro contesto diventano materiali per la composizione della casa. Chiudiamo gli occhi e come un radar “scandagliamo” i suoni e i rumori che ci circondano per accoglierli o negarli, camminiamo lentamente tra le stanze attenti a verificare prospettive sempre aperte verso luoghi diversi mimando come in una danza contatti e sfioramenti con l’altro, in una continua ricerca di equilibrio tra lo spazio per il sé e il mondo che ci circonda.
Il cantiere avanza, i materiali cominciano a rivestire la casa e così per primi ne sentiamo gli odori, le superfici, facciamo esperienza dei contrasti volutamente inseriti per esemplificare una naturale coabitazione degli opposti con cui ognuno di noi si confronta quotidianamente per una ricerca del proprio benessere interiore; a ulteriore dimostrazione che il progetto domestico,se vuole rappresentare la vita, non può avere un codice unico.
Ormai gli arredi disegnati sono arrivati e posizionati, spesso volutamente ambigui a un’immediata lettura del loro uso specifico: arredi pensati come spazi, contenitori, separatori, apparecchi illuminanti o un insieme di elementi che, come un nuovo landscape interno, pone l’abitante “sospeso” tra il dentro e il fuori in attesa di accogliere oggetti e suppellettili, non solo quali portatori di memoria, ma anche potenzialmente esemplificatori e divulgatori del pensiero che sottende l’intero progetto.
A breve restituiremo ciò che per alcuni mesi abbiamo rubato vivendolo per primi e il rilascio sarà probabilmente graduale come una terapia per i luoghi e da questi alle persone che li abiteranno.
Andrea Marcante

Testo scritto da Andrea Marcante, socio fondatore dello studio di architettura UdA in collaborazione con Valter Camagna e riferito alla ricerca sul progetto domestico che sta portando avanti con Adelaide Testa (www.uda.it)

Preiscrizione all’evento: inviare nome, cognome, telefono ed e-mail aevents@lacverona.net specificando nell’oggetto “UdA”

 

 

 

 

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