Verona: IN GRAN GUARDIA LA MOSTRA “VERSO MONET”

| 24 ottobre 2013
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A partire dal 26 ottobre e sino al 9 febbraio 2014 (con replica a Vicenza, in Basilica Palladiana, dal 22 febbraio al 4 maggio 2014), si potranno ammirare alla Gran Guardia di Verona i capolavori riuniti da Marco Goldin nella grande mostra “Verso Monet. Storia del paesaggio dal Seicento al Novecento”.

La mostra prende avvio da un’opera di Annibale Carracci e una di Domenichino per sottolineare come in pittura, tra fine Cinquecento e inizio Seicento, la natura cominci ad assumere un ruolo autonomo, non più limitata a puro fondale scenografico. Poi la prima sezione, quella sul Seicento, divisa, riflettendo sul concetto di falso e vero della natura, tra Poussin, Lorrain e Salvator Rosa da un lato (appunto nella direzione del nuovo paesaggio di Carracci e Domenichino) e i grandi olandesi dall’altro (soprattutto ovviamente Jacob van Ruisdael e il suo studio dal vero). Con una integrazione importante riservata al disegno, per esempio di Rembrandt, per sottolineare questo ambito fondamentale nella nuova definizione del paesaggio, legato appunto alla verità del racconto. La seconda sezione, quella sul Settecento, propone numerose e bellissime vedute dei veneziani, da Canaletto a Bellotto a Guardi, ancora sul rapporto, come in Olanda nel secolo precedente, tra arte, scienza ed empirismo. Venezia giganteggia qui in tutto il suo splendore. MQuindi l’affascinate sequenza di sale sull’Ottocento, il cosiddetto secolo della natura: dapprima l’ambito romantico con i sublimi Friedrich e Turner e poi la mediazione con il realismo attraverso Constable. E nella grande parte sul realismo, le combinazioni, con date identiche, per esempio tra i pittori americani e quelli scandinavi, e poi ovviamente Corot, Courbet e Millet in Francia, i loro rapporti con i pittori dell’est Europa, a segnare le molte strade della descrizione della realtà a metà secolo. Infine, la epocale novità impressionista, dapprima con i quadri degli anni sessanta e inizio settanta (Pissarro, Sisley, Caillebotte, Manet), poi gli anni ottanta. “Su questo decennio insisto molto nel percorso espositivo, chiosa Goldin,  illustrandolo con quadri molto belli e famosi di Cézanne, Renoir, Van Gogh, Gauguin, Degas. Per indicare la caduta del dogma del plein-air e l’entrare nella modernità, quando il paesaggio diventa anche una proiezione della mente”. L’esposizione si chiude con le 25 opere di Monet, vera e propria mostra nella mostra, per dire che dalla tradizione legata alla realtà (l’Olanda seicentesca, la foresta di Fontainebleau) in lui si passa alla dissoluzione della materia attraverso l’abbandono del plein-air totale. Monet, che aveva teorizzato negli anni sessanta e settanta del XIX secolo la necessità assoluta di stare davanti, e in mezzo, alla natura per dipingerla, alla fine della sua vita, prima con le Cattedrali e poi con le Ninfee (tutte presenti in mostra), ritorna a una contaminazione tra vero della natura e artificio. A chi gli chiedeva se dipingesse ancora dal vero, rispondeva che questo non era interessante, perché “il risultato è tutto”.

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