STRAVINSKY

| 2 maggio 2011
STRAVINSKY

Sono trascorsi quarant’anni dalla sua morte (6 aprile 1971), ma sembra un’eternità. Più passa il tempo e più ci manca.

Igor Stravinsky è stato il musicista novecentesco dalla personalità più dirompente e clamorosa. Vorace, onnivoro, cosmopolita, instancabile assimilatore. Da giovane, con la Sagra, ammutolisce, sgomenta, “fa esplodere una bomba atomica di suoni” (Hindemith). Da vecchio, con Agon, istruisce, tira i fili, miniaturizza la storia della musica, detta il suo poetico testamento. Paradossale, inclassificabile. Prima lo chiamano barbaro, incivile, violento, cinico, “acrobata, funzionario statale, manichino da sarta, psicotico, infantile, fascista, devoto solo al denaro” (Adorno); poi gli danno dell’irresponsabile, giocherellone, irresoluto, eterno fanciullo. Debussy dice che è un giovane selvaggio, che mette le dita nel naso della musica, che bacia la mano alle signore ma pesta loro i piedi. Picasso lo schizza sghembo, febbrile, parti del corpo tese e dilatate, attorcigliate dita tozze, orecchio come quello dei gatti, un radar in ascolto. Ironia, humor, gioia, appetito, lo guidano nell’approccio alla realtà . Sublime umile artigiano: “Il vero lavoro dell’artista è di riattare vecchie navi. Il compositore scrive come l’animale scava”. Passa con disinvoltura dalla cattedra dell’Università di Princeton alla tavola di John Fitzgerald Kennedy. Appare, scompare. Impossibile evitarne lo scontro; come Giacobbe dopo la lotta con l’angelo, chi si misura con lui ne riceve un’immedicabile ferita. Matteo Falloni rievoca ricordi adolescenziali: “Non potrò mai dimenticare la scabra nudità del Pater Noster che m’investì quand’ero ancora ragazzino, quella ruvida purezza inaudita. E poi la spregiudicatezza timbrica perfino sfacciata, una slava mobilità, le imprevedibili asimmetrie, l’acuminata nettezza, che mi hanno segnato per sempre”. Gli fa eco Domenico Clapasson: “Igor è stato un lampo, un modello assoluto, uno strumento privilegiato di educazione al rigore formale e spirituale. Ogni elemento al posto giusto, ogni segno forgiato col duro lavoro, un’incessante e viva e curiosa ricerca. Gli agganci con il passato, le fantasmagoriche orchestrazioni, l’incessante travolgente pulsione ritmica. Magnifico esempio per avvicinare gli studenti al senso del fluire del tempo”. La stessa folgorazione che ha colpito Roberto Andreoni: “Un disco da tremila lire allegato a una rivista, con l’Uccello di Fuoco e la Sagra della Primavera. Lo riascoltai mille volte. Avevo diciassette anni. Suonavo anche musica pop. Tutto aveva di nuovo senso e i conti tornavano: la potenza di fuoco del rock insieme alla coerenza classica, la verve ritmica dell’Africa insieme alla raffinatezza timbrica dell’Europa, l’orologio svizzero insieme alla clava, l’amore e il terrore, il pianto e il perdono; la vita, insomma. Decisi che quella sarebbe stata la mia strada”. Paolo Ugoletti, docente al nostro Conservatorio: “Perfino il brutto funziona e piace, di Stravinsky. Oggi non c’è più nessuno che possieda un briciolo di quella grinta, quella sana cattiveria, la ricercata asprezza, l’intelligenza luciferina che lo hanno reso irripetibile. Forse solo John Adams gli si avvicina. Sa manovrare stili e generi diversi. Non si ripete mai. Si misura col pubblico. Costruisce forme ampie e solide. Come faceva il caro grande Igor”. Rossano Pinelli, il più stravinskiano tra i compositori bresciani, lo adora: “Artista levantino, rapace, accattivante, carismatico. Ha saputo crearsi attorno un’aura magica, fascinosa, irresistibile. Capace di imporsi nell’immaginario storico, l’unico che possa stare accanto a Picasso, Einstein, Gandhi. Sempre diverso ma sempre se stesso”. Il russo dal cuore all’erta, l’uomo dalla ragione spalancata. Igor, il maestro: “Tutto ciò che non è tradizione è plagio”. Igor, il lottatore: “Ogni composizione è una battaglia”. Igor, il profeta: “La musica è elemento di comunione con il prossimo e con l’Essere”.

Di: Enrico Raggi

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