SIRMIONE: AMORE E GENEROSITÀ DA INTERPRETARE

| 10 maggio 2008
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Sirmionese d’origine e romano d’adozione, Alberto Cracco, affermato attore di teatro, cinema, tv, si rifugia a Sirmione ogni volta che gli impegni di lavoro glielo consentono.

Diplomatosi all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, ha frequentato corsi di perfezionamento presso “L’Actor Centre” di Londra ed ha intrapreso la carriera di attore, sia in teatro sia nel cinema e in televisione. Tra gli ultimi film in cui ha recitato, ‘Il Divo’ di Sorrentino e ‘Nelle tue mani’ di Del Monte. Lo incontro a Sirmione, dove è tornato in occasione della Pasqua. Quando prese forma il desiderio di fare l’attore? ‘L’idea di fare l’attore è nata quasi per caso. Una sera a Sirmione durante uno spettacolo – avevo 14 anni – fui invitato per gioco sul palcoscenico e cantai due canzoni. Tra il pubblico, una mia parente che a quel tempo studiava musica al conservatorio, mi notò e mi disse che avevo attitudine alla recitazione. Nacque così un’amicizia che rivestì un ruolo importante per la mia educazione culturale. Imparai a conoscere la musica, iniziai a frequentare l’Arena di Verona e a leggere i testi di Pirandello. Fin da subito trovai le letture di testi teatrali più coinvolgenti di quanto studiavo a scuola. Mi accorsi persino che recitando poesie di Prévert, ragazze che fino a poco prima consideravo inavvicinabili, mi prendevano in considerazione’ dice sorridendo. ‘Allora studiavo in collegio e spiccate doti in matematica mi valsero una borsa di studio della Regione Lombardia per andare in America. Tutto considerato, mi sarebbe bastato recitare a livello amatoriale. Facevo parte di una compagnia teatrale, ma raramente si riusciva a concretizzare la messa in scena di rappresentazioni e così prese forma la decisione di trasferirmi a Roma per frequentare l’Accademia. Avevo 17 anni, fui accettato alla scuola sebbene fossi tra i più giovani e lì studiai per 3 anni prima di entrare nel mondo della professione’. Un inizio focalizzato principalmente sul teatro, poi il risucchio da parte del mondo del cinema e della televisione. Settori per molti aspetti diversi. ‘Una volta il teatro era considerato più serio e profondo dei film dei ‘cinematografari,’ così li chiamava il mio maestro, il regista Costa. Questa divisione snobistica è sfumata, anche grazie all’affermarsi di grandi registi nel cinema. Ricordo ancora quando da ragazzino andavo al Palazzo Congressi di Sirmione o al Cineforum del prete a vedere i film di Fellini. Anche tra cinema e televisione c’è una sorta di antagonismo; spesso il cinema non vuole chi ha fatto troppa televisione. Si deve scegliere televisione di qualità. Ciascun ambito richiede metodologie ed applicazioni diverse, ma la base è la stessa: a teatro la potenza della voce è basilare, anche se si sta parlando di introdurre i microfoni; nel cinema è importante la qualità della voce, che deve essere credibile e sguardo ed espressioni del volto sono fondamentali, perché la macchina da presa è molto vicina.’ Quanto è importante lo studio nel mestiere di attore? ‘E’ imprescindibile. Certo il talento conta, ma va suffragato dallo studio, non solo in fase formativa, ma come progetto continuo; anche chi arriva alla recitazione da altre strade come spesso capita oggi se ne rende conto. Jean Cocteau diceva che in Italia ci sono 50 milioni di attori, gli unici che non sanno recitare sono gli attori. Molte persone recitano in modo naturale; io imparo moltissimo osservando amici, parenti, conoscenti e anche perfetti estranei. Bisogna saper cogliere gli insegnamenti dell’esperienza. Iniziare a portare una parrucca parecchie ore prima di entrare in scena, ad esempio, aiuta ad essere più naturali perché ciascuno di noi si muove e si comporta in funzione di come è abituato a vedersi allo specchio; la parrucca non si deve ‘sentire’, deve essere integrata nella persona. Anni di esperienza mi hanno aiutato a capire come esercitare la voce per essere il più credibile possibile nel ruolo assegnatomi: in teatro la voce è profonda, densa, per certi aspetti quasi finta mentre al cinema deve rispecchiare la realtà. A volte anche una sessione di esercizi di respirazione in più o in meno o una sigaretta possono fare la differenza sul tono di voce ideale. Questi sono solo alcuni dei ‘trucchi del mestiere’ da padroneggiare e che contribuiscono a definire la propria professionalità.’ Cosa deve studiare un attore? ‘Sono fi glio di un pasticcere. Ho una visione artigianale del mestiere dell’attore. Come il pasticcere deve conoscere le creme di pasticceria, l’attore deve conoscere i suoi strumenti, il corpo e la voce. Deve essere duttile e saper gestire diverse situazioni: essere sportivo, saper cantare e ballare, fare il mimo, praticare ginnastica. Le articolazioni vanno allenate con esercizi appositi. Ogni attore dovrebbe sapere recitare come Totò nelle famose scene in cui collo e testa sembrano disarticolati. E poi c’è l’educazione culturale, sia quella che si impara dai libri sia quella che si impara dalla vita. Ogni materia e situazione pratica sono interessanti. Un buon attore dovrebbe passare tempo seduto al bar ed osservare gli altri, interessandosi a ciò che dicono, a come lo dicono, a come si comportano e a come si muovono, deve distrarsi da tanto è rapito ad osservare gli altri. Lettura e scrittura diventano molto importanti per chi desidera addentrarsi nel mondo della regia.’ Cracco spiega nel modo appassionato e sentito delle persone che credono profondamente in ciò che fanno. E continua parlando di aspetti, meno ovvi e palesi, che caratterizzano un attore. ‘L’attore paradossalmente esiste solo nel momento in cui fi nge di essere qualcun altro. Costa diceva che l’attore non dovrebbe vestirsi in modo appariscente, ma mescolarsi con gli altri e scomparire. Non a caso, tanti attori famosi evitano il pubblico, le interviste, i fotografi . La fama, da un lato attira, dall’altro imprigiona; non sei libero di sederti al bar e perdi la tua principale fonte di informazione che sono gli altri. E’ pericoloso quando l’attore si guarda, perde l’abitudine a guardare gli altri e si focalizza su se stesso. “Ti stavi guardando, sapevi cosa stavi facendo”, è una delle osservazioni peggiori che mi possano fare, significa che ho assunto un tono innaturale e quindi non credibile. Chiamare l’attore con il nome di scena è un modo per aiutarlo ad immedesimarsi nel personaggio.’ Qual è la caratteristica più importante che un attore dovrebbe possedere? ‘La tecnica non basta. Un attore deve essere un antropologo e studiare, conoscere e amare l’uomo, capirne bisogni, desideri e sogni. Nei limiti dell’etica, deve avventurarsi in esperienze che lo aiutino a conoscere umanamente le persone. Per certi ruoli ci sono poi però alcuni limiti fisici oggettivi affinché il ruolo sia credibile, soprattutto nel cinema.’ Mi parla di Anna Magnani, della sua umanità straordinaria di capire gli altri e di manifestare i propri sentimenti in modo diretto, chiaro e significativo, commenta alcuni ruoli interpretati da Al Pacino e Dustin Hoffman. ‘Spesso siamo aperti verso gli altri solo nella misura in cui riceviamo amore. Gli attori desiderano essere amati, questo è naturale, ma diventano grandi attori quando sono generosi e amano. Se non ami davvero l’uomo, l’interpretazione è superfi ciale e formale. Se lo ami e lo capisci davvero, riesci a compenetrarlo.’ Da Sirmione a Roma, un cambiamento sostanziale. ‘Sono sirmionese, il mio cuore è sempre qui. Mi fa bene tornare a Sirmione, nel mio paese trovo energia e rientro a Roma rigenerato. La mia carriera si è orientata al cinema ed alla televisione anche per mia mamma che vive a Sirmione. Tramite la televisione sono qui. Non è una questione di vanità, l’apparire in televisione colma la nostalgia che provo verso la mia famiglia, il mio paese e la sua gente. Ci si affeziona sempre al proprio paese. Non a caso molti registi ambientano la maggior parte dei loro film nel paese natale. Ho scritto commedie ambientate a Roma, ma se dovessi fare il regista ambienterei i miei film a Sirmione’. Ci sediamo sul muretto che delimita il porticciolo vecchio di Sirmione, alle nostre spalle le torri merlate del castello scaligero avvolte dalla luce calda del tramonto risaltano sullo sfondo di un limpido cielo blu di fine inverno. Osservando i gruppi di turisti che già affollano le strade del borgo, mi racconta di tempi in cui personaggi come Heine, Goethe e Joyce venivano qui a ‘svernare’. Allora la stagione di Sirmione era l’inverno, prima che la borghesia cambiasse gusti e venisse a cercare il sole. Mi racconta con nostalgia dei suoi ricordi di infanzia. Di quella volta in cui un pescatore lo portò a scuola in barca alla mattina presto. Dei pescatori che avvolti nel proprio tabarro uscivano alle 4 del mattino nel silenzio dell’alba. Del vecchio familiare locale delle ACLI. Della Sirmione di un tempo.

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