Si recita a GROPPELLO

| 28 marzo 2011
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Si ha un bel dire a parlare di autoctoni. Con le gambe ben piazzate sotto la tavola imbandita, chi non si è mai imbattuto nel saputello dal bicchiere a mezz’aria che si spertica in lodi per il vitigno di territorio, le vin de pays, il sunto liquido di un distretto agricolo?

Lasciate i luoghi comuni a far compagnia alle briciole e scendete in cantina. Oltrepassate le lustre bottaie e le grotte d’invecchiamento e spingetevi là dove il mosto sporca le mani come sangue, dove il vino non è fragranza e bouquet ma cimento e sudore. Chiedete agli uomini curvi sulle vasche che significa cavar fuori una bottiglia vendibile da un’uva di carattere – e chi lo nega? – ma ruvida e puntuta come un porcospino? E quando anche la fascetta è piazzata e il nostro vino di territorio è pronto a scendere in campo, si trova a competere in un torneo dopato, con bottiglie fotocopia dal gusto omologato e un po’ ruffiano ma dal nome altisonante, leggi cabernet e merlot. Magari camuffato in varie denominazioni, come l’inesauribile sangiovese. Ma se la gara è tutta in salita, il match point è ancora lontano. Nel frattempo, l’enologia regionale ha messo a segno qualche punto inatteso. Tra le firme più o meno note del giornalismo enogastronomico – evangelisti per i saputelli di cui sopra – spira da qualche tempo una brezza favorevole ai vitigni d’antico corso. Vento in poppa per il Groppello gardesano, le cui tracce bibliografiche – senza scomodare a sproposito greci ed etruschi – debuttano in pieno Rinascimento, guadano il Romanticismo e s’irrobustiscono in Belle Epoque, per approdare alla contemporaneità con i due biotipi, Gentile e Mocasina, che in letteratura si accompagnano a un terzo, l’ormai disperso Santo Stefano. Ma se la vicenda produttiva parla di uvaggi disinvolti e quantomai variegati, da qualche decennio il Groppello si è guadagnato un ruolo dominante nella vinificazione di quella parte di lago che va sotto il nome di Valtènesi, procurandosi nel 1990 l’appellazione ufficiale con l’inserimento nella DOC Riviera del Garda Bresciano. Una storia antica, quindi, per una produzione di fresca data che verosimilmente necessita oggi più che mai di accurate sperimentazioni sia in vigna che in cantina. A partire dalla definizione di quel terroir che tanto invidiamo ai cugini d’Oltralpe. Il riposizionamento strategico del Groppello passa sotto l’accento del “Progetto Valtènesi”? E la prossima DOC Valtènesi è l’amo idoneo alla pesca di nuovi mercati o un galleggiante per sopravvivere a pelo d’acqua? Vale la pena di investire tempo utile alla definizione di scelte univoche e condivise. Partendo da un serio confronto fra i soggetti in causa, produttori e consorzi, enologi e enotecnici, enti e municipalità, organizzati a parlamento – un esempio fra tutti, il convegno “Il Groppello fra tradizione e modernità” dell’aprile 2009 – andando oltre il piacevole happening fra volti più o meno noti del pianeta vino. Tra i promotori di eventi promozionali e valorizzativi, la Confraternita del Groppello svolge da più di quarant’anni un ruolo di stimolo nella produzione e commercializzazione del vitigno autoctono della Valtènesi, protagonista di un’evoluzione ricca di prospettive. “Lo scopo di questa libera associazione – dice Alberto Pancera – è l’esaltazione del buon vivere civile e della buona educazione, la divulgazione del vino Groppello e di tutti i prodotti della zona, la valorizzazione delle bellezze naturali e culturali, la diffusione dell’enogastronomia locale”. Ho letto recentemente su di un sito dedicato al tema enoico che “il vino è uno dei pochi ambienti al mondo dove ancora si può andare avanti con i buoni sentimenti e con l’improvvisazione”. Sulla sponda bresciana del Benaco l’asticella pare essersi attestata su livelli produttivi incardinati tra una seria competenza professionale e un sano dibattito critico. Facciamo un grop, un nodo al fazzoletto, ben serrato, come il grappolo del nostro Groppello. E ricordiamoci che dall’espansione dell’economia vitivinicola, in un sistema virtuoso di agricoltura sostenibile, dipende buona parte della tutela ambientale del microcosmo lacustre. A tutto vantaggio della qualità della vita dei suoi abitanti e degli estimatori di passaggio.

Di: Anna Dolci

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