Pietro Milzani, violinista.

| 3 febbraio 2025
Pietro Milzani 44

Un giovane ha l’urgenza di incontrare persone grandi e generose. Non gli bastano le conoscenze tecniche, l’arido specialismo, le nude nozioni.
Nelle domande che ci poniamo e nell’onestà con cui cerchiamo le risposte siamo tutti uguali: «giovani» e «vecchi» hanno bisogno l’uno dell’altro come l’aria che si respira. Il 19enne violinista Pietro Milzani appartiene alle nuove generazioni assetate di relazioni autentiche e ha avuto la grazia di incontrare sul suo cammino maestri di questo tipo. Ha vinto concorsi a Verona, Padova, Cervignano, Gorizia, Moncalieri, Vršac (Serbia). Da alcune estate suona nel Collegium Musicum di Pommersfelden (Baviera). A novembre ha sbaragliato i concorrenti della competizione “Lombardia è Musica”, che lo ha premiato con una borsa di studio e una esibizione alla Scala (gennaio 2025). Collabora con I Virtuosi Italiani e la Filarmonica del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo. «Avevo quattro anni quando, alla porta di casa, a Calvagese della Riviera, si è presentato un uomo – racconta Milzani –. Era Luigi Andreoli. Aveva in mano un violino minuscolo. E’ stato un “regalo per sempre”. Con l’aiuto di mio padre Paolo (bassista e cantautore, ha partecipato a Sanremo) ho proseguito gli studi, a 11 anni sono entrato al Conservatorio Marenzio di Brescia sotto la guida di Alberto Martini, poi mi sono perfezionato con Pavel Berman a Biella».
Cosa ci racconta dei Suoi maestri?
«Berman possiede una sensibilità enorme, è un incredibile virtuoso e un grande insegnante (non è automatico). Martini è la migliore spalla orchestrale (Konzertmeister) che conosca. Sa trascinare qualunque compagine sinfonica. Se sul podio il direttore è incerto, lui abbassa la voce e prende in mano la situazione. Impone la sua calma autorità, trasmette una gioiosa disciplina, infonde sicurezza ed energia. Un vero leader. Ogni musicista ha un’opinione ben precisa su ciascuna nota, ma bisogna trovare un equilibrio, la giusta proporzione, mirare all’adeguato suono orchestrale e dargli vita. E’ un’arte sottile. Fra i maestri importanti, aggiungo il nome di Serafino Tedesi, che da subito ha creduto in me e mi ha fatto suonare da solista nel Concerto n. 4 di Mozart e nel Concerto Militare op. 42 n. 5 di Antonio Bazzini (in prima ripresa moderna)».
Come sono state le Sue esperienze in Germania?
«Intense. Ci sono 20 concerti in un mese, con picchi di 1500 spettatori a serata. Ho condiviso il palco con giovani provenienti da Argentina, Brasile, Messico, Stati Uniti, Cina, Canada e contribuito a sfatare una certa stereotipata immagine dei musicisti italiani caciaroni e pressappochisti. Ho fatto da spalla (Primo violino) con i maestri Dorian Keilhack e José Luis Gutiérrez, riuscendo a plasmare, a valorizzare, a far emergere le differenti anime dei miei colleghi. Un lavoro certosino di integrazione e armonia, di osmosi e cure acustiche. Per trovare una sintesi fra la magia intangibile e metafisica del discorso musicale e artistico e indicazioni pratiche, osservabili, realistiche e riproducibili. Solo così si diventa un collettivo di scultori del suono».

ENRICO RAGGI

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