OPERA ITALIANA: LORENZO BIANCONI E I DRAMMI PER MUSICA

| 20 luglio 2016
Didone abbandonata 72 dpi

“L’opera italiana del Settecento continua ad essere, per l’ascoltatore e lo spettatore d’oggi, un costrutto artistico enigmatico, un codice da decifrare, l’oggetto di un vagheggiamento intellettuale più che di esperienze estetiche immediate”. Lorenzo Bianconi avverte subito il lettore delle difficoltà connaturate all’argomento trattato, presentando il libro di Piero Weiss (edizioni Astrolabio) dedicato ai drammi per musica di Scarlatti, Vivaldi, Albinoni, Caldara, Lotti, Sarro, Bononcini, Pollarolo e una lista infinita d’altri nomi (per tacere di librettisti, scenografi e castrati, del vasto capitolo sull’opera buffa, dell’opera seria post–metastasiana e dei vari operisti “italianizzati” come Händel, Hasse, Gluck). Una vera e propria industria, con ritmi di produzione e di consumo stupefacenti; un genere artistico squisitamente italiano esploso in Europa; un teatro sonoro che lascia trasparire, fra le quinte, il volto di Mozart. Parliamo del saggio di Weiss – musicista e musicologo triestino scomparso nel 2011, imparentato con Svevo, nipote di un pioniere della psicanalisi in Italia (Edoardo), allievo di Rudolf Serkin e di Adolph Busch negli Usa, amico di Toscanini – con il curatore del volume, Raffaele Mellace (Università di Genova). Uscire con uno strano libro sull’opera del ‘700: «Che provocazione è questa?, io non l’intendo», avrebbe scritto il sacerdote–poeta Pietro Trapassi (in arte Metastasio). «L’opera italiana è stata un fenomeno straordinario ben prima dell’Ottocento. Questo libro ce lo ricorda più di quanto facciano le programmazioni odierne dei teatri».

Perché presso il grande pubblico questo spettacolo ha scarso successo? «In Italia oggi è raro vedere un’opera del Settecento (eccetto Mozart): al pubblico è quindi negata quell’esperienza diretta gli che permetterebbe di apprezzarla davvero. In secondo luogo, è evidente che le passioni al calor bianco del teatro romantico agiscono in modo più diretto sugli spettatori; l’opera del Settecento invita a mobilitare in modo più sottile ragione e sentimento. In terzo luogo, spesso l’allestimento avviene all’insegna d’una libertà registica poco disposta a prendere sul serio il “testo” (il dramma e la partitura), col risultato che al pubblico passa molto poco del messaggio originario».

Quali i punti di forza dell’opera settecentesca? «La freschezza. L’ambizione di restituire sulla scena gli stessi sentimenti che appartengono al pubblico in sala: che cantino personaggi presi di peso dalla vita quotidiana (Serpina e Uberto) o eroi della storia o del mito antico (l’irresoluto Enea o la volitiva ma fragile Didone)».

Quest’opera ha più successo all’estero che da noi: cos’è accaduto? «Da una parte, è entrato in crisi il sistema produttivo, ora sull’orlo dell’abisso. Poi, il pubblico della “musica antica” è più dinamico e curioso all’estero che in Italia. Infine, va registrato lo spaventoso deficit di educazione musicale cui l’impostazione della nostra scuola ci condanna. Anche oggi non mancano compositori italiani che si dedicano all’opera, ma per la programmazione teatrale essi quasi non esistono».

In cosa il libro di Weiss è «esemplare»? «L’autore interroga i libretti, le partiture, i testi teorici. Entra nel dettaglio della singola pagina, commenta le soluzioni adottate dai compositori, valuta l’efficacia del rapporto tra musica e parola, senza mai perdere di vista il disegno generale. Le sue osservazioni sono fluide, continue; premesse e conseguenze, cause ed effetti, si susseguono in una logica convincente e armoniosa».

Negli ultimi tempi Lei ha scritto migliaia di pagine, dalle Cantate di Bach all’Anello del Nibelungo, passando per un recente e fortunato volume su Verdi. Come fa? «I libri vengono a maturazione magari a breve distanza, mettendo a frutto anni di ricerche. Occorre leggere e ascoltare moltissimo, prendere sul serio e con umiltà quanto gli altri hanno da dire, organizzare accuratamente il proprio lavoro, appassionarsi e spendersi nell’approfondire ogni questione senza però pretendere di dire la parola definitiva su un argomento. Non guasta infine un pizzico d’incoscienza».

Di Enrico Raggi

Articolo su Dipende Estate 2016

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