MONTAGNA IN MUSICA

| 3 ottobre 2011
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Se nel dire “musica e montagna” vi viene in mente la sigla di Heidi, correte a comprare questo libro. Guarirete in fretta, scoprirete tesori.

La montagna, musa ispiratrice d’una cordata di musicisti in arrampicata, è la protagonista dello splendido saggio, insieme cadeau lussuoso e seducente canto delle Sirene, intitolato “Montagna in musica”, scritto dal musicologo torinese
Andrea Gherzi, Priuli & Verlucca edizioni, pp. 288, € 49.50, illustrazioni a ogni
sfogliar di pagina, due cd allegati (musica folk lorica e musica classica), esempi
musicali, aneddoti, simpatia. Gioia per gli occhi, miele per le orecchie, ricostituente del cuore e dell’intelligenza. Valli, foreste e burroni, a regolare scansioni ritmiche e tachicardie amorose; fiori, sentieri e cocuzzoli, a intersecarsi con melodie alpestri, lieder, bergerettes, Sinfonie, brani pianistici, ispirati al mondo “di lassù”. Binomio complesso, sottile gioco di vasi comunicanti: di qua la musica “della montagna”, prodotta da chi i monti li
abita; di là la musica “sulla montagna”, la forma sensibile che gli uomini hanno dato al loro rapporto con le terre alte. Creste e massicci visti come alterità, serbatoio di storie, luogo fisico magico sentimentale, fonte d’ispirazione, sfida, irresistibile richiamo. Ci s’infila nell’immenso corno delle Alpi (Alphorn); si cavalca la geografia dello Jodel (sorta di Jubilus d’alta quota) e del suo parente stretto (Le Ranze des vaches); ci si perde panicamente nella natura, sospesi tra il pittoresco (genziane, pastorelle, fogli d’album) e il delirio romantico (il Manfred di Byron, mormorii wagneriani, afflati franckiani). Uno slalom che sarebbe piaciuto ad Arturo Benedetti Michelangeli. Abile intreccio di colto e di popolare. Rudezza primordiale in un bagno di vapori impressionistici. Il mazzolin di fiori e i “pellegrinaggi” di Liszt, il Signore delle cime e i campanacci di Mahler. La marmotta di Beethoven, le aurore boreali di Grieg, l’Edelweiss di Catalani, il gracchio di Messiaen, Hovhaness, Raff, Farkas, D’Indy, Zandonai, Bax. Un lunghissimo elenco. Compositori tra i monti. Vette che sbucano continuamente dai pentagrammi. Aggiornatissimo bignami della musica colta, culminante nella Sinfonia delle Alpi di Richard Strauss: prati fioriti, cascate, pascoli, precipizi, tenebre, ghiacciai, alba e tramonto; s’imbocca persino la strada sbagliata, si finisce nel folto e nella sterpaglia, sulle ali di un’orchestra gigantesca con tanto di macchine del vento, tuono, nebbia, saette. E, ancora, la storia di musicisti scalatori e di alpinisti innamorati dei suoni. Un affollato catalogo di figurine: pastori, viandanti, cacciatori, sciatori, soldati, pittori, filosofi, poeti. Ognuno risucchiato dal fascino delle cime. Lo scalatore Massimo Mila (musicologo), l’alpinista sloveno Julius Kugy (organista,
botanico, cantore nel coro di Brahms), Buzzati e Chailly in gita, i rocciatori
Arturo Toscanini, Herbert von Karajan, Otto Klemperer, Wilhelm Furtwängler (a loro agio tanto in ferrata quanto sul podio). Il canto popolare inteso quale forma di partecipazione e riscatto. La sua spiccata variabilità da un contesto all’altro, la trasformazione ininterrotta, il materiale in evoluzione. Un repertorio che cresce negli scherzi canori, nei sottintesi verbali da osteria, nella coralità lavorativa, nel calore delle veglie invernali. Bivacchi in parete, notti in rifugio, tendine, scarponi. Il vuoto dell’emigrazione, la nostalgia della patria, il dramma della guerra. Malinconie d’amore. Ci s’intenerisce ad ascoltare quei timbri maschili che s’incurvano fino a diventare voce di fanciulla. La montagna che si fa fiaba. La sua musica che diventa roccia, velo, stelo, cielo.

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