MONSIEUR IBRAHIM E I FIORI DEL CORANO

| 1 marzo 2004

Parigi – tardi anni ’60.
Vicoli affollati, dove si raccolgono immigrati, prostitute, o gente che arriva a fatica alla fine del mese.Un ragazzino ebreo, smilzo e veloce, si prende cura del padre, un uomo burbero e scontento della vita.Ogni giorno, prima di cena, il ragazzo passa da un negozio di un vecchio arabo per comprare il cibo da cucinare per il genitore. L’anziano signore, impersonato da Omar Sharif, lo chiama “Momo”e gli dimostra simpatia, per esempio chiudendo un occhio quando si accorge che ruba qualcosa. Momo sta cercando di diventare un uomo, sebbene gli manchi il punto di riferimento paterno. Ecco quindi che vive le prime esperienze sessuali con alcune prostitute della zona, e il primo amore, con una giovane vicina di casa.E’ il vecchio arabo che tenta di insegnargli a sorridere e a come affrontare la vita. Tra i due nasce una sincera amicizia e un profondo affetto. L’arabo diventa per lui un vero maestro che aspira a trasmettergli tutta la sua saggezza, rinchiusa nelle pagine del Corano. Il padre di Momo si suicida e
il ragazzo sarebbe completamente abbandonato a sé stesso, se non fosse per l’Arabo che lo adotta e decide di partire con lui per mostrargli il suo paese, la Turchia. Comprata una bella macchina sportiva, presa la patente, i due cominciano l’avventura in Turchia. Momo vedrà anche i Sufi, i Monaci che danzano, e nel vortice delle loro giravolte si innalzano fino ad arrivare all’assoluto. Quest’idea della danza è la felicità suprema per il vecchio, che, contento di essere tornato al suo villaggio, muore in pace. Momo è solo, ma col cuore pieno degli insegnamenti del padre adottivo. A lui si sostituisce nella bottega e incontra a sua volta un altro giovane Momo.Questo è un film filosofico, che si dimentica provocatoriamente di qualsiasi conflitto arabo-israeliano. Sicuramente il mondo e la religione musulmani appaiono magici e suggestivi, lontani dagli estremismi,presentandoci un’immagine più positiva e mitigata di quella apparsa negli ultimi fatti di cronaca e anche al cinema. Il film è poetico e gentile. Con un tono leggero si svelano semplici segreti di saggezza e a volte si sorride anche, in alcuni momenti comici: per esempio quando Momo dà per cena al padre cibo per gatti e questi lo apprezza particolarmente, oppure quando il vecchio negoziante fa credere di avere la patente, mostrando una lettera personale, scritta in arabo, che in realtà è tutt’altro.L’unico punto debole, che può lasciare un po’ perplessi, è il ritratto del padre di Momo.Di quest’uomo sappiamo ben poco: non riesce a comunicare col ragazzo al quale sembra preferire il ricordo del figlio maggiore, che non vive più con loro. Licenziato dal lavoro, il padre si suicida. Si viene a sapere che il fantomatico fratello più grande, odiato da Momo, in realtà non è mai esistito. La trama non ci spiega chiaramente i turbamenti e la follia del genitore, che invece potrebbero essere maggiormente indagati, per quanto velocemente, per chiarire meglio la storia e renderla più credibile. Anche il vecchio arabo però racconta qualche bugia a proposito dei suoi affetti familiari. La moglie non è al suo villaggio ad aspettarlo ma è morta da diversi anni. Alla fine del film, il vecchio va a raggiungerla, tra le lacrime di Momo.


Di: Vera Agosti

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