Milano – UMBERTO LILLONI – Centralità e marginalità del luogo

| 27 maggio 2016
Lilloni - Schubert 1

La luce fuori e dentro di lui

Fra tante “extroflessioni” monocrome, prevalentemente acrilici, favorite dal mercato, finalmente un po’ di “chiaro” nel “navigar pittoresco” dove l’interpretazione lirica del dato naturale è il fondamento della pittura, e lo fa la Galleria Schubert con una contenuta ma interessante retrospettiva dedicata al pittore Umberto Lilloni, con un testo accompagnatorio che pare dirci che l’assoluto dentro e fuori di noi non è solo in quell’arte. Lilloni, chi era costui? Eppure, nel 1922, allora ventiquattrenne, ottiene il “Premio Hayez”, nel ’27 il “Premio Principe Umberto” (il più importante Premio di pittura italiano) con un’opera considerata dalla critica “un mirabile pezzo di pittura”, nel ’35 il “Premio Fornara”, nel ’39 il “Premio Ricci”, nel ’41 il “Premio Bergamo”, nel ’46 il “Premio Burano”. Espone alle Biennali di Venezia per nove volte dal 1928 al 1952, alle Quadriennali di Roma dal 1933 al 1965. Nel 1986 Renzo Modesti e Renzo Margonari con una importante mostra voluta dalla Regione Lombardia a Milano in Palazzo Bagatti Valsecchi e a Mantova alla Casa del Mantegna lo sdoganano fra quel gruppo di artisti raccolti sotto la felice etichetta “Il Chiarismo Lombardo”, che i testi di storia dell’arte ignorano o quasi ma, al contrario, ricco di opere e di talenti, come dichiarato dai due critici nella presentazione, “alfine di approfondire un aspetto della pittura italiana e lombarda in particolare che ha rappresentato, oltre che un momento di resistenza all’arte ufficiale e al novecentismo imperante, una ventata d’arte europea in un periodo non certo tra i più fervidi della nostra cultura.” Continua la riscoperta Elena Pontiggia, su invito dello storico mantovano Manlio Paganella, con l’ importante mostra “I Chiaristi” in tre sedi dell’Alto Mantovano (Medole, Volta Mantovana, Castiglione delle Stiviere), perché la quasi totalità di questi artisti è originaria di quei luoghi virgiliani, e perché essi si raccolgono a Castiglione nello Studio di Oreste Marini docente di Storia dell’Arte (del quale lo stesso Paganella era stato allievo al Liceo Classico) che, pittore egli stesso, partecipando alla loro poetica, diviene l’anima critica del gruppo e “fissa” anche per gli amici, con la sua attitudine speculativa, il valore della pittura-luce (Renata Casarin, “Artisti a Mantova nel ‘900”). Ora Andrea Schubert, presentando l’attuale esposizione di Lilloni, in particolare per i suoi paesaggi, afferma: “La mostra ruota intorno al quesito che ci si dovrebbe porre guardando i dipinti del maestro del Chiarismo Lombardo: il luogo rappresentato è il centro dell’opera nella sua rappresentazione, oppure è marginale? Essendo Lilloni un artista “en plain air” sicuramente si potrebbe rispondere che il luogo è centrale e fondamentale nell’opera dipinta; ma se pensiamo al processo creativo che porta Lilloni a concepire il dipinto di un paesaggio, potremmo tranquillamente affermare l’opposto. Non a caso Mario Lepore nella esaustiva biografia edita dal Ponte Rosso parla di una “metamorfosi poetica di ogni cosa”….impegno ad esprimere con la propria arte uno stato d’animo interiore, attraverso la rappresentazione del suo opposto: cioè un sereno paesaggio. (…) Il luogo, che è altro da sé, divenuto proiezione del proprio io, viene trasposto come idea su tela…algidi colori costruiscono una realtà emozionale che prescinde dal fenomeno ottico.” Se ben vedo il pittore ha la capacità di dissolvere il reale in un’atmosfera onirica di grande pacatezza, per cui tutte le sue vedute (siano esse Venezia, Stoccolma, Milano, paesi e campagne lombarde) sono visioni innocenti del suo intimo. Quando poi sono solo alberi, acque i soggetti delle sue tele, maggiormente si avverte che la rappresentazione è la sua immersione in questo eden dipinto con toni freddi atti ad esprimere il concetto del reale. Una breve nota biografica. Umberto Lilloni (Milano, 1898-1980) nato da una famiglia di origine dell’Alto Mantovano, si diploma nel 1922 all’Accademia di Brera ed ottiene una cattedra nelle scuole professionali dell’Umanitaria; poi al Liceo Artistico di Milano ed infine, nel 1941, all’Accademia di Parma dove insegna fino al 1962. Mette studio a Milano con Angelo Del Bon fin dal 1923; entrambi insofferenti ad ogni costrizione politica o non, iniziano a dipingere “in chiaro” rivendicando libertà di ispirazione e di espressione con il ritorno alla natura. Trovano nel critico Edoardo Persico, giunto da Torino a Milano nel 1930, un difensore ad oltranza. “Chiaristi” furono etichettati allora per quella loro tendenza, ma, come poi scrisse Oreste Marini, personaggio-chiave di quell’avventura, non era solo schiarimento della tavolozza, ma chiarismo mentale, illuminazione sul vero. Per questo Del Bon e Lilloni furono amati dai poeti loro contemporanei, tanto da far scrivere a Raffaele Carrieri che considerò la vegetazione dipinta da quest’ultimo “i più begli alberi del ‘900”, e a Diego Valeri che definì gli stessi con una nuova categoria botanica: “I lilloni”, concludendo che “essendosene dimenticato il Creatore li ha messi al mondo proprio lui nella sua qualità di “Maitre des eaux et des forets”. Accompagna la mostra un libretto con la ristampa del saggio di Mario Lepore sulla prima monografia da “Lilloni la vita e le opere”, Editrice Ponte Rosso, Milano, 1963. La maggior parte della sua copiosa produzione è raccolta in tre splendidi volumi a cura della figlia Renata con la presentazione della storica e critica d’arte Rossana Bossaglia. A lui è dedicato il Museo fondato, sempre da Renata a Romagnano Sesia in provincia di Novara.

Galleria Schubert – Via Sirtori 11, Milano; fino al 3 Giugno 2016; orari: da martedì a venerdì 15-19; Tel. 02 54101633; www.schubert.it

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Fabio Giuliani

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