Milano – COLLEZIONE GIUSEPPE JANNACCONE

| 3 marzo 2017
Collezione Jannaccone 1

Italia 1920-1945. Una nuova figurazione e il racconto del sé.

“Per una nuova storia del ‘navigar pitoresco’ cui prima o poi bisognerà pur metter mano.” L’espressione usata da Oreste Marini per il “Chiarismo” mi pare calzi a pennello per la mostra intelligente in corso alla Triennale dedicata alla Collezione di questo innamorato dell’arte dove la “Figurazione” diventa specchio di un determinato momento storico ricco di fermenti nonché della sua anima. “Non ho vissuto tra le due guerre, né ho conosciuto personalmente la maggior parte di questi artisti, fatta eccezione per Aligi Sassu e per Ernesto Treccani, eppure avrei potuto tranquillamente partecipare ai loro incontri, alle loro discussioni sull’arte, ai dibattiti che li animavano sul significato di verità della pittura o sull’uso del colore e comunque sull’urgenza di superare la pittura accademica ufficiale. (…) umanità, poesia, colore, espressionismo sono le costanti della mia ricerca. Questa è una raccolta che è lo specchio dell’animo umano….” Secondo Jannaccone, l’arte dovrebbe essere libertà, immediatezza, verità, per cui egli diresse la sua attenzione agli anti “novecentisti”. Dichiara ancora che nella sua collezione due elementi procedono di pari passo: uno corrisponde ai contenuti, vale a dire quel tipo di espressionismo e di realismo che sono per lui indispensabili nell’opera d’arte; il secondo elemento è il colore, modo per esprimere i contenuti. L’esposizione inizia con l’ultimo suo ‘acquisto’: “La famiglia”, dipinto di Tullio Garbari, stupendo emblema dell’umanità. Vediamo poi dei Rosai anni Venti e, a seguire, la sua passione assoluta: Renato Birolli, di cui sono esposte 12 opere, e non a torto: l’esplosione gioiosa del “Taxi rosso”, la profezia del “Caos”, “I poeti” ritengo siano tra i più importanti dipinti degli anni Trenta. Parte “chiarista” Birolli, secondo Oreste Marini (pittore egli stesso ed ‘anima critica’ degli amici’) e, per parlare del chiaristi in mostra – Del Bon, Lilloni, De Rocchi – usiamo proprio le sue parole pubblicate nel volume “Il Chiarismo” a cura di Elena Pontiggia, competente storica dell’arte e consigliera del collezionista: “In una mia conversazione con Roberto Longhi sull’arte moderna, nella quiete della sua casa, nel gran verde di ronchi, il Maestro mi raccomandava di precisare bene e come e quando nacque quel “chiarismo” di cui ero stato partecipe nel senso di un rinnovamento tematico-cromatico della pittura che gli andavo esponendo, in quanto, come gli pareva di intuire, era stato una vera priorità nel risveglio della pittura italiana, vale a dire prima della “scuola romana”, prima di “Corrente”. Intorno al ’30….il chiarismo di Del Bon è illuminazione sul vero e, illuminazione è voce ungarettiana….io avevo capito come Del Bon puntasse verso il rinnovamento della pittura andando un passo più in là della traduzione anche brillante del motivo o delle sue modificazioni con una introduzione non classicistica, ma lirica, lontana dalla pura visibilità e in relazione piuttosto con la pura sensibilità….vere e proprie invenzioni cromatico-figurative. (…) Del Bon quindi approda oltre quel gusto europeo pur all’avanguardia di cui si era fatto palladino Persico e, seguendo il critico, i torinesi.” E proprio una selezione dei “Sei di Torino” troviamo qui nelle loro migliori iniziali espressioni: Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa. Altro nucleo tematico è rappresentato dalla “Scuola di via Cavour”; le opere esposte di Mario Mafai, Antonietta Raphael e del grande Scipione sono accomunate da un linguaggio in opposizione al conformismo ufficiale, così come quelle dei loro compagni di strada romani, Fausto Pirandello, Renato Guttuso ed Alberto Ziveri. Giungiamo ai protagonisti di “Corrente”, rivista fondata da Ernesto Treccani, intorno alla quale si costituisce l’omonimo movimento artistico ed intellettuale, eticamente ‘impegnato’ in chiave antifascista; in mostra vediamo opere di Aligi Sassu, l’amato Arnaldo Badodi con ben nove opere, Giuseppe Migneco, Bruno Cassinari (con un ritratto di un giovanissimo Treccani), Ennio Morlotti, Emilio Vedova. Fuori dal ‘coro’ infine De Pisis. Concludendo, la scelta è caduta sugli autori che durante il ventennio fascista si sono opposti all’estetica del regime con la loro pittura libera e spontanea di matrice ‘espressionista’, consapevoli della fragilità dell’uomo moderno e, tutto sommato, di tutti i tempi, talvolta con colori infuocati come i ‘romani’, talaltra con colori tenui ed espressivi intrisi di luce come i lombardi, atti, come afferma l’avvocato Jannaccone, ad esprimere contenuti. Alla fine io devo dire che tutti gli autori esposti, noti e meno noti, sono dei magnifici coloristi degni dell’arte italiana del passato. Il sogno del collezionista è che questa raccolta rimanga integra così come è stata creata, non solo, ma questo risultato raggiunto lo stimola a cercare ancora per perfezionarne contenuti e passioni, e per questo gli rivolgo personalmente ogni buon auspicio.                                                                                                            L’esposizione, a cura di Rischa Paterlini ed Alberto Salvadori, è corredata da un importante volume edito da Skira.

Palazzo della Triennale – Viale Alemagna 6, Milano; fino al 19 Marzo 2017; orari: da martedì a domenica 10-20; ingresso libero; Tel. 02 724341; www.triennale.org

Fabio Giuliani

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