Milano – Alla scoperta del Giappone. Felice Beato e la scuola fotografica di Yokohama 1860-1910

| 24 maggio 2016
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Iniziato lo scorso 12 Aprile con durata fino al 12 Giugno è in corso il “Photofestival”, manifestazione dedicata alla Fotografia che, sotto la guida di Roberto Mutti, grande conoscitore ed esperto critico in questo specifico settore, da qualche anno allieta la primavera milanese con diverse esposizioni distribuite in numerose sedi pubbliche e private, gallerie e studi; vengono in particolare presi in considerazione le cosiddette “nuove leve”, giovani fotografi, ragazzi e ragazze, con le loro proposte legate alla figurazione piuttosto che all’astrazione e alla sperimentazione. In questa kermesse è dato giustamente spazio anche alla fotografia storica: in questo senso spicca una bella ed esaustiva mostra in corso alla Fondazione Matalon dedicata alla figura di Felice Beato, di origini veneziane naturalizzato inglese, nato nel 1832 e morto a Firenze nel 1909, considerato tra i maggiori interpreti del genere nell’Ottocento. Nei suoi primi anni di attività lavora insieme al fratello Antonio e al fotografo inglese James Robertson a Costantinopoli durante gli anni della guerra di Crimea, della quale riportano alcune straordinarie immagini di documentazione. Nel 1857, sempre insieme a loro, inizia il suo viaggio verso Oriente, raggiungendo l’India e nel 1860 la Cina. Nel 1863 arriva da solo in Giappone, dove rimane per oltre 15 anni e fonda la sua attività fotografica insieme al pittore Charles Wirgman, specializzato nella caratteristica coloritura di stampe fotografiche. La mancanza di colore nelle fotografie ottocentesche era avvertita come un limite e la policromia di queste stampe, unite alla loro raffinatezza e esoticità, hanno contribuito al grande successo commerciale con cui furono accolte, tanto che Beato e Wirgman crearono una vera e propria scuola a Yokohama, alla quale collaborarono molti artisti locali. Tale scuola proseguì la produzione delle immagini ‘alla maniera di Beato’, anche molti anni dopo la partenza del fotografo italiano, creando uno stile e una moda che perdurò fino ai primi del Novecento. Per la colorazione di una buona fotografia occorreva quasi mezza giornata. I tempi erano così lunghi che vennero assunti sempre più artisti in un solo atelier, istituendo così una catena di montaggio che aveva una gerarchia produttiva ben precisa e che seguiva anche le inclinazioni e il grado di abilità di ciascun colorista. La Yokohama Shashin, ovvero la fotografia in stile Yokohama, acquisì notevole importanza grazie al turismo. I viaggiatori compravano, come souvenir, gli album con una cinquantina di immagini circa, affascinati dal Giappone e dalle sue più antiche tradizioni di vita sociale e di costume, ma anche dalle atmosfere e dagli irripetibili paesaggi ricchi di fascino e spiritualità, cercando fotografie che confermassero l’immagine esotica che avevano del Giappone, in antitesi alla cultura del mondo occidentale. Attraverso le fotografie del XIX secolo realizzate in Giappone, si possono leggere i costumi, i paesaggi, la vita quotidiana giapponese: le geishe, i samurai, i lottatori, i monaci buddisti, i piccoli artigiani, i paesani, ma anche i paesaggi, i fiori e le scene di strada. Ogni immagine è una finestra aperta sul mondo orientale, su un lontano e sconosciuto Giappone che proprio grazie al mezzo fotografico si offriva alla curiosità del pubblico europeo del secolo scorso. Questo prezioso materiale, proveniente dalle collezioni del Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari di Firenze, contribuisce ad esemplificare l’interesse e il fascino esercitato dal mondo orientale alla fine dell’Ottocento nella cultura europea. L’esposizione milanese raccoglie 110 fotografie originali d’epoca (vintage-prints) colorate a mano con prodotti all’anilina, che ne caratterizzano inconfondibilmente la provenienza dall’atelier di Beato, oltre a tre preziosi album-souvenir con copertine originali, in lacca, madreperla e avorio, che testimoniano la moda orientalista largamente diffusa nell’Europa del XIX secolo. L’iniziativa, curata da Emanuela Sesti, responsabile scientifica della Fratelli Alinari Fondazione, è organizzata e prodotta da Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia e Fondazione Luciana Matalon, con il patrocinio della Regione Lombardia, del Comune di Milano, dell’Ambasciata del Giappone, del Consolato Generale del Giappone, della Camera di Commercio e Industria Giapponese in Italia e fa parte del programma ufficiale delle celebrazioni del 150° anniversario della firma del Trattato di amicizia e commercio tra Italia e Giappone. La mostra comprende un programma di dimostrazioni di arti tradizionali e conferenze di approfondimento sulla cultura, l’arte, la musica e la lingua giapponese, ogni giovedì sera, presso la Fondazione Luciana Matalon, spazio di cui trovo doveroso qualche cenno. Nata nel 2000 dalla volontà di dare vita a uno spazio pensato appositamente per la promozione, lo studio e la valorizzazione dell’arte contemporanea. Per un totale di 700 mq è suddiviso in due aree principali: l’ingresso, le prime sale e il soppalco sono dedicate alle attività della Fondazione, che ospita mostre, convegni e iniziative culturali a livello locale e internazionale per promuovere ricerche nell’ambito delle espressioni artistiche contemporanee. Le aree retrostanti accolgono invece la zona museale, a documentare oltre quaranta anni di attività di Luciana Matalon in America, Europa e Giappone. In questa parte, sono infatti esposte le opere della poliedrica artista scomparsa lo scorso 9 Ottobre all’età di 78 anni, la cui produzione, incentrata su pittura, scultura e creazione di gioielli, qui varia regolarmente in modo da permettere al visitatore di conoscerne i molteplici aspetti. Anche lo stesso Museo è un’opera d’arte: ideato e personalizzato in ogni sua parte dalla Matalon, è caratterizzato da una pavimentazione costituita da un intervento pittorico che si avvale di resine e fibre ottiche e accoglie riflessioni ed appunti dell’autrice stessa e di altri scrittori suoi compagni di viaggio (quali, ad esempio, Roberto Sanesi, Miklos Varga, Armando Ginesi, Arturo Schwarz e molti altri) fino a condurre ad una “città astrale” che si staglia tra presenze stellari e vuoti abissali dell’universo infinito. Oltre al costante impegno nella costruzione di rassegne e mostre di pregnanza culturale, nel 2006 è stata promossa la prima edizione del Premio Beniamino Matalon per le Arti Visive, biennale, con l’obbiettivo di stimolare gli artisti under 35 alla realizzazione di opere meritevoli, onde sostenerli nel loro percorso di crescita artistica.

Fondazione Luciana Matalon – Foro Bonaparte 67; Tel. 02 878781; Fino al 30 Giugno 2016; Orari: da martedì a domenica 10-19; www.fondazionematalon.org

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Fabio Giuliani

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