Listz romantico e travolgente, il più amato dai registi Francesco Leprino e Luigi Verdi dedicano un dvd alla fortuna del compositore in film e cartoons
Venghino, venghino. Lo spettacolo è assicurato. Al posto della donna barbuta, il pianista-ragno a sei braccia, dita a dozzine, in perpetuo movimento, con nugoli di ascoltatori ipnotizzati, adoranti, catturati dalle sue ragnatele sonore, come nelle caricature d’epoca. L’ultima fatica del regista Francesco Leprino e del compositore Luigi Verdi è dedicata alla presenza della musica di Franz Liszt in un secolo di cinematografia. Il dvd (produzione “Al gran sole”) non sarebbe dispiaciuto al pianista ungherese, uomo curioso, proteiforme, aperto al mondo, abate e zigano, mefistofelico e francescano, seduttore visionario, fauno battezzato, artista che cammina sulle acque, predica agli uccelli, vende l’anima al diavolo senza nemmeno scottarsi. Quanto più opaco, torbido e incoerente ci appare il magiaro Ferenc, tanto più dolcemente ci ospita. Le sue invenzioni sonore sono una foresta fitta di fronde e di mistero: alberi che parlano, campane che ci chiamano, erbe di fosso che cantano mentre soavi brezze della sera ne trasportano le armonie.
“Circa trecento film utilizzano la musica di Franz Liszt – spiegano gli autori ‒. Con questo nostro lavoro presentiamo un quadro esaustivo sulla ricezione della sua figura e della sua opera: Liszt è uno dei compositori classici più saccheggiati dal grande schermo. La sua musica ha fatto nascere, con le più diverse funzioni e nei più disparati contesti, una ridda notevole di situazioni filmiche che vanno dal paradossale al sentimentale, al comico, al funzionale, all’inatteso. I passaggi repentini e senza soluzione di continuità da una sequenza all’altra, creano un ulteriore ipertesto di interpretazioni diverse e di situazione avvicinate per similitudine, contrasto, opposizione.”. Quali sono i temi più utilizzati? “Sicuramente la «Rapsodia ungherese n. 2», soprattutto nei cartoni animati, in particolare il finale, generalmente legata a situazioni festose, comiche o grottesche. Poi il «Sogno d’amore n. 3», che appare in una cinquantina di film, quasi sempre eseguito da un attore-pianista, legato a momenti romantici, di struggimento amoroso o durante matrimoni, molto utilizzato agli inizi del cinema sonoro. Anche il brano sinfonico «Les Préludes» compare in circa trenta film: il carattere guerresco del finale è leitmotiv in serie di fantascienza o sottolinea scene eroiche o di guerra. Pure il Concerto n. 1, la Consolation n. 3, il primo Mefisto valzer, Un Sospiro, La campanella, sono sfruttati intensivamente. Almeno una decina di film sono dedicati alla vita di Liszt, e in un’altra trentina lui appare come personaggio secondario di biografie wagneriane o chopiniane”. Si passa da film muti datati primi del ‘900 fino ai nostri giorni: Ken Russel, Woody Allen e Mauro Bolognini; una pioggia di titoli: “Shine”, “Zio Vanja”, “Headrush”, “Madame Sousatzka”, “L’innocente”; assurdità nostrane, pellicole francesi, rarità rumene scandinave giapponesi, kolossal americani, “mattoni” russi, sperimentazioni, kitsch, deliri visivi. Un blob mostruoso e insieme affascinante. Leprino e Verdi accerchiano le famose melodie e ne liberano con estrose riverberazioni i raggi espressivi, li esaltano, li moltiplicano, come in un concerto barocco.
Prolungano spargono permutano i nuclei tematici e le figure che vi abitano, edificano campi di attrazione. Dispongono orditi e li combinano. Moti, intarsi, riflessi. Frammenti filmici accostati a un ritmo vertiginoso, a mo’ di pot-pourri operistico. Il montaggio attizza ed erge in evidenza patetismi e languori delle pagine più lente, scintilla con spregiudicata libertà nei brani virtuosistici. La presenza voluttuosa di Liszt comunica infallibile il suo splendore sensuale e magico. La sua musica inanella immagini come pietruzze gettate nell’animo dell’ascoltatore: onde concentriche di diametro crescente. La settima arte non poteva evitarne la fatale attrazione. In un bonus di dodici minuti esplode infine una raffica di cartoni animati basati sulla seconda Rapsodia ungherese.
Enrico Raggi
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