Lìber di Renato Laffranchini

| 27 aprile 2018
Liber di Renato Laffranchini

“Grida la voglia di dire” nella poesia di Renato Laffranchini. La parola si fa coraggioso veicolo di una libertà che deve attraversare le “serrature dell’oggi”, “mille porte da aprire” ed “un tempo orologiaio” che lega il poeta fino ad impedirgli di scappare.

Ci sono muri che non si riescono ad oltrepassare, piedi così gonfi da non rendere possibile nessuna fuga, bachi da seta che filano, intorno a loro ed alle mete verso cui si tende, la propria bara. In questa dimensione continuamente sospesa tra un passato che si converte in memoria nascosta ed un futuro che si fa difficile sentiero, il poeta inventa nuove melodie silenziose (“anche a tacere si fa musica”) che si intrecciano mirabilmente con i rumori della vita.  Una musica suonata con il cuore delle sue mani, intonata da un organo sgangherato, fatta vibrare da un archetto ormai consumato, quando non addirittura dimenticato, da quei musicisti che a chi scrive fanno intuire un’antifona amara: “so mia òm/ de serenata”, “non sono uomo da serenata.” Lo scenario si fa allora “prometeico”, con uccelli rapaci che divorano il poeta fino al midollo, crudeli perché nati da una quotidianità spietata che lo appende addirittura ai fili del bucato. Non mancano fili ancora più terribili, come il filo spinato che lacera i vestiti e restituisce dolorose cicatrici. Ci sono poi pozzi e confessionali bui dai quali però si riesce ad intuire un chiarore salvifico. Campeggia l’immagine di un grande libro in cui tutto sta scritto e dove le domande del poeta confluiscono, suggerendo una sottile identità tra il contenitore delle parole (liber) e la condizione di uomo libero (lìber). La chiave della libertà risiederebbe nella scrittura? Questo l’autore non lo dice, ma traccia, anche se ben nascosta in un cassetto, la forma di un’altra chiave che porta alla verità attraverso un uscio che necessita di due entità per venire aperto: l’Io e l’Altro. Un linguaggio finemente introspettivo, quello della poesia di Laffranchini, che dialoga continuamente con la realtà esterna, tra visioni interiori e tappe concrete, dove il dispiacere ha un nome tedesco, ma c’è spazio anche per cieli stellati, dove le piume non sono ancora del tutto perdute e si può persino parlare, per quanto sottovoce, di Primavera. La raffinata silloge in dialetto bresciano di Renato Laffranchini è preceduta da una presentazione di Manrico Zoli dell’Associazione culturale Dialogo Olgiate Comasco e si apre con una citazione di Magritte che ben spiega la scelta del titolo dell’opera: “Ogni uomo ha diritto a 24 ore al giorno di libertà”. Il libro è diviso in sei sezioni: us/voci, dé/giorni, ciar/chiaro, pós/pozzo, dòs/colline e du/due. La postfazione è affidata a Francesco Maria Gottardi, il commento di copertina ad Elena Alberti Nulli e l’editing ad Alberto Zacchi. Il volume, il Falco pellegrino edizioni, 2017, 80 pagine, 15 euro, ha il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Lonato del Garda e della Federazione delle Associazioni Gardesane – Cultura – Ambiente.

E.Z.

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