IN ESCLUSIVA EPISTOLARIO D’ANNUNZIANO INEDITO

| 1 dicembre 2010
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“Eternamente pentito ed eternamente in fallo”: una lettera del poeta alla moglie Maria Hardouin 

Da decenni queste lettere sono rimaste chiuse a chiave in una cassaforte: Dipende le svela, una per mese, ai suoi lettori, cercando fra le righe l’immagine di un D’Annunzio sconosciuto… La cultura difficilmente fa scoop, ma quando si parla di un poeta del calibro del Vate e si tratta di lettere che non sono mai state pubblicate, è evidente che averle in esclusiva per un giornale rappresenti un dono prezioso ed un’opportunità unica per interrogare il passato alla ricerca di nuove verità non ancora emerse. Sono centinaia queste missive e coprono un lungo periodo della vita del poeta: cosa scopriremo dalle parole di D’Annunzio? In quali aspetti della sua esistenza ci addentreremo? Avremo modo di conoscere dettagli della sua quotidianità e del suo talento letterario non ancora rivelati? Ogni epistolario, essendo scrittura privata, intima, ci dà l’opportunità di entrare in contatto ravvicinato e diretto con l’autore delle lettere, offrendoci una vicinanza con il poeta altrove mediata dallo schermo della letteratura. Qui non ci sono mediazioni e la scrittura di D’Annunzio lo svela in tutta la sua umanità. Sembra venire meno certa magniloquenza e solennità con cui il Vate ha sempre cercato di celebrare ogni aspetto della sua vita e al loro posto vediamo un uomo che si concede alla tenerezza e alla semplicità di affetti per nulla retorici. Non ritroviamo qui quello che sarà più avanti l’impavido avventuriero fiumano, ma un uomo raccolto nella propria intimità che si confessa negli aspetti più vulnerabili e contraddittori di se stesso, dicendo ad esempio, alla moglie tradita, che teme di venire rimproverato di essere: “l’uomo eternamente pentito ed eternamente in fallo”. Sono scritti pieni di sottointesi, come la lettera che presentiamo in quest’occasione, che D’Annunzio scrisse da Resina (Napoli) il 19 marzo 1893 alla moglie Maria Hardouin, la donna romana che D’Annunzio sposò il 28 luglio 1883, circa dieci anni prima di questa missiva e da cui ebbe tre figli: Mario nel 1884, Gabriele Maria nel 1886 e Ugo Veniero nel 1887 (anche se di quest’ultimo la paternità è dubbia). Già nel 1890 però i due coniugi erano separati di fatto (in quell’anno la donna tentò anche il suicidio, gettandosi dalla finestra) e la definitiva separazione legale avvenne nel 1899, dopo una prima richiesta di Maria del 1894. I due rimasero comunque sempre legati e Maria trascorse gli ultimi anni della sua vita all’interno di una villa nel Vittoriale degli Italiani di Gardone. Quando però D’Annunzio scrisse questa lettera, il suo amore era tutto per un’altra Maria, la Gravina che il Vate conobbe nel 1891 e da cui, circa due mesi prima della lettera che il poeta indirizzò alla moglie, aveva avuto anche una figlia, la prediletta Renata, soprannominata Cicciuzza. Mentre scriveva alla moglie Maria Hardouin, era proprio a Napoli, in compagnia della Gravina e della figlia da poco nata. Furono anni, quelli che trascorse a Napoli, che il poeta definì di “splendida miseria”, in quanto era oppresso da debiti e problemi economici; ma fu un periodo anche di grande fertilità letteraria: stava infatti componendoalcune liriche del Poema paradisiaco e lavorando al romanzo L’innocente ed a Il trionfo della morte. In questa lettera alla moglie, una certa vergogna e il timore di scriverle si uniscono al desiderio di rivedere lei e i tre figli con cui D’Annunzio avrebbe voluto trascorrere il Natale ma che non era riuscito a incontrare in quell’occasione. La lettera è la risposta ad una missiva di auguri di Maria Hardouin (probabilmente per il trentesimo compleanno del Vate, nato il 12 marzo 1863). Si leggono nella lettera di risposta di D’Annunzio: un accenno al momento di miseria economica, la promessa di un incontro, l’affetto per i figli di un padre lontano e la tenerezza per una donna che ormai è più amica che consorte.

Una delle lettere inedite pubblicata in esclusiva da Dipende.

Trascrizione:

Resina, 19 marzo 1893

Mia buona e cara Maria,
come aspettavo il tuo augurio jeri!
Tu sei sempre piena d’indulgenza e
di misericordia pel tuo povero amico.
Tante volte, in questi mesi oscurissimi,
ho pensato di scriverti una lunga
lettera narrandoti le mie miserie,
ma poi mi ha trattenuto il timore di
parere «l’uomo eternamente pentito
ed eternamente in fallo» – Ti ricordi?
Dovevo venire a vederti per Natale,
ero già pronto, e poi sopraggiunsero
impedimenti impreveduti, orribili
cose.
Come ho un grandissimo desiderio
di rivedere te e i piccoli, verrò a
Roma martedì o mercoledì. Scrivimi
avvisandomi se potrò discendere a
casa tua.
Allora parleremo di tutto.
A rivederci, dunque, cara Maria.
Spero di trovarti in buona salute e
tranquilla. Tanti baci ai piccoli.
Ti abbraccio.

Gabriele

Di: Elisa Zanola

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