FRA POESIA E REALTÀ

| 7 luglio 2008
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Ha poco più di trent’anni. È un valente poeta e scrittore. È originario di Desenzano del Garda ma attualmente risiede a Castel Goffredo (Mantova). Di chi sto parlando? Di Andrea Garbin che abbiamo incontrato in una serata di inizio estate nella sua accogliente abitazione.

Andrea come ti sei avvicinato alla scrittura? In realtà è stata la scrittura ad avvicinarsi a me. Comunque dobbiamo tornare indietro di circa undici anni. Al tempo suonavo in una band rock, tra amici. Ci si divertiva, si andava a suonare in qualche locale. Si facevano per lo più pezzi composti da noi e così un giorno, per puro caso, mi sono trovato a scrivere un testo. Da quella volta, poco a poco l’interesse è cresciuto, prima con la poesia e in seguito con i racconti. Già allora leggevo parecchi libri, e questo ha sicuramente contribuito alla crescita. Lo scrivere vero e proprio, quello che mi impegna tutti i giorni, è una cosa più recente, del 2004, quando ho deciso di pubblicare le poesie e mi sono messo d’impegno a rielaborarle.

Tu che scrivi sia poesie sia racconti, quale credi sia il filo rosso che leghi profondamente l’universo poetico con quello della narrazione? Credo che quel filo rosso possa essere la realtà. Fare poesia è un altro modo di fare esperienza, quindi non solo vivere facendo esperienze, ma anche prendere tutto ciò che quelle esperienze ci hanno dato ed esprimerlo per mezzo di un linguaggio che permette di conoscere al meglio noi stessi. Tutto questo avviene con naturalezza ed esprimendo concetti che fanno capo alla nostra realtà. Nella narrazione, anche se in modo differente, accade lo stesso, in particolar modo se parliamo di un romanzo. Il romanzo ha raggiunto un’età dove ormai viene spesso dato per spacciato, ma in realtà continua a rinascere dalle proprie ceneri, come una fenice. Solo che oggi più che un tempo deve essere fondato su qualcosa di reale, e non solo sulla finzione. Credo non sia sufficiente inventarsi una bella storia e scriverla bene, certo, se sei veramente bravo può anche diventare un best-seller, ma si limiterebbe a questo. Anche un narratore, come il poeta deve usare il proprio linguaggio per raccontare la vita, quindi facendo capo alle proprie esperienze.

E in che cosa, versi a parte, credi che invece divergano totalmente? La grande differenza credo stia nel modo in cui un poeta e un narratore si esprimano. Quando io scrivo un racconto parto da un’idea e cerco di svilupparla inventando personaggi e situazioni. E’ vero che prendo spunto dalla realtà, ma è anche vero che il risultato finale non è qualcosa di autobiografico. Diciamo piuttosto che cerco di regalare ai miei personaggi il frutto delle mie esperienze. La poesia invece nasce da un impulso, dal desiderio di liberarsi di qualcosa e di conseguenza il risultato è come l’istantanea di un momento breve e preciso della vita dell’autore e non di un personaggio.

Leggendo le tue poesie ho notato un suggestivo utilizzo della metrica. In particolare di un singolare metodo di accentazione delle sillabe… Non mi piace molto spiegare la mia poesia. Piuttosto mi piace scriverla e, scoperta recente, leggerla accompagnato da musica. Il senso della musa è una raccolta che contiene poesie scritte nell’arco di dieci anni e per questo si possono trovare poesie molto diverse tra loro. L’intera raccolta è un percorso di ricerca accentuato nella terza parte del libro e proprio perché di una ricerca si è trattata, anche nella metrica c’è stato uno sviluppo nel tentativo di donarle un po’ di musicalità, spesso influenzato –credo- dai poeti del decadentismo per esempio, da Pascoli, Leopardi e Montale, tutti poeti che avevo studiato a scuola. Oggi le cose sono cambiate, mi piace sperimentare qualcosa di più moderno e per questo sono più attento sui poeti contemporanei che abbiamo in Italia, su quelli europei e recentemente americani. Per quanto riguarda gli accenti il discorso è più complicato, niente a che vedere con la grammatica. Si è trattato più che altro di una scelta simbolica, forse anche di una provocazione. Posso dire che l’idea mi è venuta leggendo alcune meditazioni di Yves Bonnefoy.

Andrea facciamo ora il punto della situazione sulle tue pubblicazioni. Fino ad ora che cosa hai pubblicato? Nell’ambito della poesia ho pubblicato Il senso della musa (Aletti ed.), una raccolta che contiene poesie scritte in un periodo che va dal 1997 al 2004. Sono pubblicate in ordine cronologico, questo perché si possa vedere una progressiva variazione del mio fare poesia e perché appunto si è trattata di una ricerca, del tentativo di trovare un mio stile. Per la narrativa sono invece incluso nell’antologia Per natale non esco, edita da TranseuropaLibri nel 2008. Si tratta di un antologia particolare perché nasce da un progetto durato tre anni di laboratori di scrittura e di incontri con autori conosciuti anche al pubblico, il tutto realizzato dall’associazione Scritture Dannose di Mantova. E poi ci tengo a ricordare che parte del ricavato viene devoluto all’ABEO Associazione Onlus di Mantova. Se ti va di curiosare c’è pure uno spazio web. È sufficiente aggiungere il .it al titolo del libro e il gioco è fatto!

Ultimissima domanda: a quale testo stai lavorando ora? C’è quasi pronta un’antologia di racconti a più mani scritta con i compagni della Confraternita dell’Uva. Poi sto lavorando a una seconda raccolta di poesie e ad un romanzo, ma per quest’ultimo credo che le cose andranno per le lunghe perché ci lavoro proprio nei ritagli di tempo. Non escludo quindi che la raccolta di poesia sia la prima candidata alla pubblicazione, anche se devo ammettere che non ho per nulla fretta. Diciamo semplicemente che di carne al fuoco ce n’è, poi si vedrà!

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