Dialogo sulla “decrescita”

| 19 dicembre 2019
Lago di Garda - ph.Dipende

E’un po’ di tempo che seguo questa “filosofia” che dal 2009 in poi ha cominciato a far parlare di sé attraverso la voce di Maurizio Pallante, ricercatore e saggista, che ne diffonde i principi e la visione e che ho avvicinato per capire in modo meno superficiale e soprattutto non mediato da interpretazioni soggettive. Poiché il tema dei cambiamenti climatici, con tutte le problematiche connesse, sia di carattere ambientale che di carattere umano, è cogente e soprattutto improcrastinabile, vorrei aprire un dialogo con i lettori per stimolare riflessioni e scambi che potrebbero poi sfociare in un incontro in diretta tra gli esperti in materia, ma con la voce di tutti e le riflessioni di ciascuno. Intanto una prima osservazione: la parola decrescita suona male ai più perché induce a pensare ad un impoverimento riduttivo, ad un ritorno al passato, alla diminuzione del benessere e via discorrendo. Le cose però non stanno così e vorrei tentare di spiegarlo così come l’ho capito. Innanzitutto la parola decrescita di per sé è una parola neutra, indica una diminuzione quantitativa, come la parola crescita che indica un aumento quantitativo… senza connotazioni di valore. Tuttavia se esse vengono riferite a temi specifici possono assumere una rilevanza a carattere qualitativo e significare miglioramento o peggioramento. Se vengono riferite ad un fenomeno positivo la crescita indica un miglioramento mentre la decrescita un peggioramento e viceversa: per esempio la crescita del numero di persone che guariscono da un tumore è un miglioramento e la decrescita un peggioramento, ma se si parla del numero di persone che si ammalano di tumore i due termini si invertono. La crescita indica un peggioramento e la decrescita un miglioramento.

Come mai siamo invece portati a pensare che la crescita sia sempre un miglioramento e la decrescita sempre un peggioramento?

Noi siamo in una società che mercifica tutto e quindi siamo portati a trasferire dei concetti dal campo economico alla vita quotidiana e in economia ci dicono che la crescita è migliorativa…tutto viene fatto in nome della crescita. Perché? 

Perché ci hanno creato un immaginario per cui la crescita è un qualcosa che si riferisce alla quantità dei beni prodotti e dei servizi forniti, per cui se questi crescono stiamo meglio mentre se abbiamo meno merci da consumare, stiamo peggio. Però allo stato attuale delle cose, guardandomi intorno, vedo montagne di rifiuti, tra discariche lecite (ci sono anche le illecite che non sono quantificabili per numero ed estensione) e inceneritori, a cui si aggiunge un mercato enorme dell’usato (capannoni enormi in cui si rimettono in circolazione merci già vendute una prima volta) e il mercato del nuovo di proporzioni apparentemente infinite. Miliardi di oggetti prodotti, venduti e poi buttati spesso come nuovi, per capriccio e smania di possedere ”l’ultimo modello”… Ma al contempo sempre più persone non sono soddisfatte, sempre più si ricorre all’uso di farmaci per calmare ansia e depressione, sempre più si rincorre, attraverso l’uso di droghe, uno stato di offuscamento della mente per compensare l’insoddisfazione del vivere tanto subdola quanto pervasiva.

E i conti non tornano in termini di benessere, inteso come il bene stare e non il bene avere. Anche il clima che cambia ci sta dicendo che il concepire questo compulsivo produrre ha alterato il ciclo naturale secondo cui, tanta anidride carbonica (CO2) si produce, tanta deve essere smaltita dalle foglie degli alberi attraverso la fotosintesi clorofilliana. Il pianeta sarebbe perfetto se si mantenessero uscite ed entrate in pareggio. Ma è evidente che continuando a produrre e contemporaneamente a disboscare, a non coltivare la terra abbandonandola, a cementificare le pendici dei monti, i letti dei fiumi, e via discorrendo, lo squilibrio ha preso il sopravvento facendo saltare quei meccanismi naturali che presidiavano e proteggevano la possibilità di vivere senza continue e sempre più gravi e frequenti emergenze. Eppure, per assurdo, con tutte queste emergenze il PIL (prodotto interno lordo) va ad aumentare. Cresce il PIL attraverso morti, distruzione, furti, sventure di ogni genere! Proprio così.

Ma che cos’è il PIL?

Se ne parla sempre e lo si vuole in crescita, perché?

Il PIL è un indicatore monetario, è la somma dei valori monetari di tutti gli oggetti che vengono venduti e comprati nel corso di un anno. Misura tutto ciò che si può vendere o comprare. Non misura certo il benessere inteso come sopra ho già accennato. Infatti se mi rubano in casa e sono costretta a rifare la porta blindata il PIL cresce perché devo ricomprare la porta e pagare un servizio di installazione, ma certamente non sono più felice anche se avrò una porta nuova. O ancora…pensiamo al terremoto dell’Aquila e come la macchina delle merci e dei servizi si sia messa in moto (certo ci sarebbe stato bisogno di ben altro) determinando senz’altro l’aumento del PIL.

Ma quanto malessere, dolore e morte ha portato? Gli aquilani stanno peggio o meglio?

E ancora. I nostri appartamenti consumano (per la stragrande maggioranza) 20 litri di gasolio o 20 m3 di metano, al mq, all’anno. Le nostre case quindi sprecano 13 litri su 20, ma questo spreco fa crescere il PIL mentre una casa ben coibentata lo fa diminuire! E noi siamo più felici nel pagare di più? Se un inverno molti prendono l’influenza il PIL cresce perché si comprano più medicinali, ma noi stiamo male e diminuisce il nostro benessere.

Possiamo andare avanti così? Possiamo andare avanti a farci ingannare dal concetto che la crescita è sempre e comunque buona? Ci dicono che dobbiamo lavorare per creare nuovi posti di lavoro ma…cosa sta succedendo al mondo del lavoro globalizzato, assoggettato al libero mercato in nome della crescita? Ditte storiche e di pregio che delocalizzano se non addirittura chiudono i battenti lasciando a casa centinaia e centinaia di persone. E’ proprio vero che la crescita porta lavoro?

Siamo stati convinti che sia meglio lavorare per comprare delle cose inutili piuttosto che dedicare il tempo alle persone a cui vogliamo bene. Si fanno ore di straordinario che ci stravolgono pensando che i nostri figli abbiamo bisogno di cose: hanno bisogno del tempo dedicato dai genitori che li accompagnino nella crescita! E questo l’ho davvero ben verificato nel mio lungo percorso di docente. Il modello di vita è tutto appiattito sul lavoro e trascura le relazioni e ciò sta provocando danni psicologici sempre più frequenti e seri, oltre ai danni materiali.

Negli oceani galleggiano isole di plastica grandi come gli Stati Uniti, frutto dell’abuso di oggetti di plastica. Dobbiamo farli decrescere o no? E le discariche dei rifiuti? E gli inceneritori?

Per quanto siano innovativi e tecnologicamente avanzati noi spendiamo dei soldi per bruciare, quindi rendere inutilizzabili le risorse contenute negli oggetti, ed emettere fumi che comunque non sono ‘aria di montagna’ e quindi sono dannosi per la salute e per l’ambiente.

La decrescita NON è la diminuzione del PIL… non si vuole mettere il meno davanti al PIL, ma vuole far decrescere il consumo di alcune merci, NON di tutte le merci, introducendo cioè un criterio di valutazione qualitativo nel fare umano, per renderci conto che possiamo stare meglio consumando meno le cose che non ci servono, NON le cose che ci servono! Questo concetto viene cavalcato confondendo la decrescita con la recessione che è la diminuzione generalizzata ed incontrollata di tutta la produzione di merci, che ha come conseguenza la disoccupazione. La decrescita è la riduzione selettiva e guidata della produzione e del consumo di merci con conseguente crescita dell’occupazione. Pensiamo solo alla ristrutturazione energetica di tutte le nostre case: quanti posti di lavoro si creerebbero? Inoltre sarebbero posti di lavoro utili (anche le fabbriche di armi creano lavoro…ma sono utili? sono ciò che vogliamo?) non solo per gli abitanti, che risparmierebbero, ma anche per l’effetto serra, cioè l’incremento del riscaldamento terrestre, utile per il contenimento dei conflitti fatti prevalentemente per il controllo delle fonti di combustibili, con riduzione delle migrazioni. Questo lavoro inoltre non costerebbe nulla; se una casa consumasse 7 litri (In Alto Adige non danno l’abitabilità se le case superano questo valore) invece di 20 litri, con il risparmio verrebbero ammortizzati i costi di investimento avuti per rendere più efficiente la casa stessa. Noi oggi acquistiamo, pagando, i combustibili i cui 2/3 sono sprecati. Se quei soldi li investissimo nella ristrutturazione energetica non spenderemmo nulla di più per creare nuova occupazione. Per efficientare energeticamente le abitazioni inoltre ci vuole meno o più tecnologia? Di più certamente.

In questo tornante della storia possiamo sviluppare delle tecnologie più avanzate che abbiano l’obiettivo di farci avere tutto ciò di cui abbiamo bisogno facendoci consumare meno risorse, emettendo meno rifiuti ed abolendo i rifiuti tossici.

E’ una società malata quella che ha molti disoccupati ma continua a non fare ciò che potrebbe! E’ questo il tema della decrescita. Un discorso con una valenza sia economica che ecologica. Non è per caso che, come sempre accade, le grandi intuizioni controcorrente vengono osteggiate per impedire una soluzione dei problemi odierni ragionevole e possibile?

ELENA TAGLIAFERRI

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