Che Carnevale questo Natale!

| 18 dicembre 2023
photo SAVIOLAM

Tra cristianità e laicità, a rimetterci è l’anima

Pare che lamentarsi della scristianizzazione del Natale stia diventando una tradizione nella tradizione. Impazzano gli agguerriti opinionisti della matrice giudaico-cristiana e della cultura greco-romana che dai propri scranni da curva fanno rimbalzare gli slogan di un tifo che, proprio perché divisivo, non si fa carico di accogliere le ragioni di una storia che è giunta fino ai nostri giorni sulle gambe di generazioni pensanti sì, ma soprattutto oranti.

Il dizionario etimologico ci suggerisce che il termine italiano Natale derivi dal latino cristiano natāle(m), per ellissi di diem natālem Christi, il giorno della nascita di Cristo, a sua volta dal latino natālis derivato da nātus, nato, participio perfetto del verbo nāsci, nascere. La spocchia da liceo classico mi fa gioco per dire che basterebbe questo lemma per ridimensionare la polemica. Pare tuttavia doveroso prendere atto che la fisarmonica della storia riserva tra le sue pieghe gustose curiosità, se non anche sorprese. Conosciuta ai più è la festa laica del solstizio d’inverno del 25 dicembre, il Dies Natalis Solis Invicti, istituita dall’imperatore Aureliano nel 274 dopo Cristo, figlia e nipote di un’antichissima tradizione di divinità solari.  I cicli delle civiltà antiche ci narrano infatti di Horus, nato il 25 dicembre di quattromila anni prima di Cristo, dalla vergine Isis. La venuta del figlio del dio Ra fu annunciata da una stella che tre re seguirono da Est per giungere nell’egizia Annu, “il posto del pane”, come Betlemme. E le similitudini con la vita del Cristo non si fermano alla nascita. Passiamo poi al Mithra dei legionari romani, non si sa quanto lontano parente del Mithras persiano, nato il 25 dicembre da roccia vergine tra pastori adoranti, nell’iconografia tradizionale figurato nell’atto di sgozzare il toro per liberarlo dal male, offrendo così l’immortalità ai suoi fedeli alla fine del mondo. Ed era festeggiata il 25 dicembre pure Astarte, nota nella Gerusalemme del re Salomone, dea suprema di Fenicia che scese agli inferi e fece ritorno. Il solstizio d’inverno era caro ai festeggiamenti anche del dio babilonese Tammuz, con il capo cinto da 12 stelle e della dea della Frigia Cibele che i romani omaggiarono con un tempio sul Palatino. Se si gioca sulla simbologia solare, i fili della storia sono destinati ad intrecciarsi ed ingarbugliarsi.  L’ostia eucaristica è un sole sacralizzato dal trigramma IHS, Gesù salvatore degli uomini, che nell’ostensorio, reliquario raggiante, introduce nelle liturgie il concetto della luce come identificazione del divino. Non ci sono né vincitori né vinti in questa sterile disputa che, viceversa, dovrebbe suggerirci come il racconto dell’umanità sia costantemente in relazione con il sacro, attraverso riti e simboli in grado di innestare l’incommensurabile nella finitudine del tempo. Sul perché non mi dilungo. Ma giunge utile il sondaggio sviluppato a ridosso del Natale 2022 da SWG per dare forma ai sentimenti dei credenti e dei non credenti all’approssimarsi del 25 dicembre. I cattolici praticanti si concentrano sulla speranza (Il sentimento più popolare, che coinvolge il 47% degli intervistati, ma è nominata dal 58% dei credenti e solo dal 29% dei non credenti), sulla fiducia e sulla gratitudine, mentre i non credenti sulla malinconia, per il 42%, e la noia, per il 27%, anche se la gioia mette d’accordo più del 30% degli intervistati da ambo le parti. Anche sulla simbologia, le differenze sono evidenti: i cattolici affidano lo spirito del Natale al presepe (54%) mentre i non credenti si dividono tra Babbo Natale (30%), mr. Scrooge (29%) ed il Grinch (26%), simbolo di una repulsione verso una festività dell’apparenza e del godimento, solitario o condiviso, dei piaceri della tavola e del tempo lento, del viaggio, del gioco e dello shopping da regalo. Il Natale senza natività pare quindi una festa di compleanno senza il festeggiato, tutti a fare caciara senza un comune perché. Un carnevale anzitempo, dove le maschere sono accessori irrinunciabili per sostenere le conversazioni sussiegose di colleghi, amici e parenti nella lunga marcia delle cene aziendali, dei saggi scolastici e dei pranzi familiari. Che poi, diciamocelo, alla lunga ci si ritrova sguarniti di parole di senso, in una ciarla che si spegne in lamento, come nei fantasmini di Halloween.

 

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