Brescia: MOSTRA DA DE CHIRICO A CATTELAN E OLTRE, INTERVISTA A PAOLO BOLPAGNI

| 28 marzo 2013
de chirico

Paolo Bolpagni è nato a Brescia, dopo gli studi musicali nella sua città si è laureato e specializzato in Storia dell’arte contemporanea all’Università Cattolica di Milano, dove ha poi conseguito il titolo di dottore di ricerca con una dissertazione dedicata all’influsso wagneriano sulle arti visive in Italia tra XIX e XX secolo. Insegna Istituzioni di storia dell’arte contemporanea all’Università Cattolica di Brescia, tiene conferenze e relazioni in importanti sedi accademiche e museali ed è curatore di mostre presso istituzioni come Palazzo Fortuny a Venezia, la Fondazione Ragghianti di Lucca, il MACRO e Villa Torlonia a Roma, Villa Clerici e il Museo del Risorgimento a Milano. È il responsabile scientifico dell’Archivio Mario Ballocco di Milano e ha curato il nuovo allestimento della Collezione Paolo VI – arte contemporanea, di cui è stato direttore dall’ottobre 2008 al giugno 2011.

Come si rapporta la sezione bresciana della mostra con le opere della collezione Daimler? Di quali criteri avete dovuto tener conto, Lei e i Suoi colleghi, per allestire questo percorso espositivo? In realtà si tratta di due mostre diverse e ben distinte, anche nella loro curatela: entrambe incentrate sull’arte del XX secolo e sull’attenzione al collezionismo, ma portatrici di visioni differenti e complementari. Le opere della raccolta Daimler sono perlopiù accomunate dall’appartenenza a un filone analitico e, come ovvio, riservano particolare (ma non esclusiva) attenzione ad autori dell’area tedesca. La nostra mostra, invece, è un percorso attraverso l’arte italiana del Novecento, dalle prime avvisaglie avanguardistiche d’inizio secolo fino agli anni Settanta, più alcune aperture sulla contemporaneità in senso stretto. Il criterio, quindi, è stato di non sovrapporsi con ripetizioni, ma di ricercare un’utile integrazione e un confronto, così da offrire al pubblico una panoramica il più possibile ampia e varia sull’arte del secolo breve.

Tra le opere in mostra qual è quella di maggior valore artistico? Quale quella più “famosa” a livello di grande pubblico?

Difficile, anzi impossibile, dire quale sia l’opera più importante tra quelle esposte. La selezione compiuta da noi curatori è stata molto severa, quindi credo di poter dire che non vi siano cadute qualitative, e che la media sia davvero alta: tutti i pezzi sono ragguardevoli e rappresentativi dei rispettivi autori. A livello di grande pubblico, i più famosi sono forse i “segni” di Capogrossi, i buchi e tagli di Fontana e la Merda d’artista di Piero Manzoni.

L’arte contemporanea a Santa Giulia dopo tanti anni. Quali saranno gli strumenti a disposizione dei visitatori per comprendere appieno il valore aggiunto della mostra? E che conoscenze nuove acquisiranno su questi grandi nomi del Novecento?

Il ritorno dell’arte contemporanea in Santa Giulia è di per sé un fattore di fondamentale rilevanza strategica e culturale. Gli strumenti a disposizione dei visitatori? Un catalogo scientifico e rigoroso ma d’impostazione anche divulgativa; un allestimento chiaro e, mi auguro, ben scandito e leggibile nei suoi snodi; audio-guide; incontri e workshop etc. Insomma, un’offerta ampia. Il valore aggiunto della mostra è quello di mostrare l’importanza del collezionismo a Brescia, di esporre al pubblico opere spesso inedite o poco conosciute (proprio perché appartenenti a singoli privati) e di porre in risalto la vocazione al contemporaneo della nostra città e del suo principale museo. Secondo me, questa sarà una rivelazione!

Francesca Roman

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