Brescia INNAMORATA DI UNA STORIA ARCOBALENO

| 1 aprile 2004

L’esperienza di Angelica Calò, ebrea italiana, fondatrice di un teatro in Israele che favorisce il dialogo fra i popoli.

Vivere con l’arcobaleno nel cuore. Ricordando e dimenticando bombe e tragedie. Costruendo con la forza e la vivacità del sentimento positivo, tante piccole grandi storie delle quali innamorarsi. Questa la radice quadrata del senso del vivere, raccontata da Angelica Calò Livnè, ebrea italiana, ideatrice del Teatro dell’Arcobaleno, spazio scenico di interazione fra i popoli allestito in Alta Galilea. Occasione importante dunque l’incontro proposto dalla Compagnia delle Opere al Franciscanum di Brescia, in occasione del  lancio della nuova iniziativa chiamata ‘Raggio’.


Si tratta un appuntamento mensile che affronterà le problematiche del bene comune, “aldilà degli schieramenti e delle contrapposizioni”, come ha sottolineato Graziano Tarantini, Presidente della CDO di Brescia che ha introdotto l’intervento della Calò. La storia di Angelica è di quelle intriganti e appassionate. Quelle che nel loro anti-manierismo formale riescono a colpirci nell’universo sensibile. Un racconto che parte da un’intuizione arrivata da un viaggio in Israele. Per lei, di famiglia ebraica, ma nata a Roma, l’evento appariva immediatamente premonitore. Di seguito il fascino della tradizione dei padri e la voglia di conoscere più a fondo quella terra. “Così a vent’anni – racconta Angelica – decisi di trasferirmi in Israele. Un gesto risoluto, mio padre voleva cacciarmi di casa, ma importantissimo per la mia vita futura.” La scelta è precisa. I genitori alla fine approvano ed oggi anche loro vivono in Israele. Ma il coraggio deve ancora iniziare. Nel tormento di quel piccolo mondo di anime libere, sempre a lottare con gli antagonismi delle rivendicazioni dei popoli. In un vivere complicato e condito dall’ansia e dal terrore. “Tra le varie occupazioni – prosegue Angelica Calò – ci fu quella dell’insegnamento in una scuola araba. Esperienza importante che ho vissuto proprio al culmine dell’Intifada. Ricordo che vedevo i ragazzi annoiati e svogliati. Loro si giustificavano dicendo che  era il periodo del Ramadan. Io chiedevo <Cos’è il Ramadam?>. E loro mi spiegavano.”  Anche questo è un modo per cercare l’integrazione. Arriva poi il licenziamento. “Le cose non sono mai semplici”. Quindi la nuova esperienza del Teatro dell’Arcobaleno. Ragazzi di religioni ed etnie di tutti i tipi: Cristiani, Drusi, Ebrei, Arabi, che si confrontano nel linguaggio di scena. In una sorta di educazione collettiva che arma senza offendere, nel fuoco prorompente del palcoscenico. “Perché l’unica cosa che forse oggi può salvare il mondo è proprio educare.” L’Angelica pensiero evolve in questo spirito che scopre le sue carte anche nella scelta di vivere in un Kibbutz. Denominazione classica della famosa formula organizzativa, una specie di cooperativa a cui vanno tutti i proventi di lavoro, con forti connotati di applicazione al meglio del marxismo. La nostra curiosità slitta ora sugli  ultimi fatti di sangue e di rabbia. Su quel muro in costruzione. E su tutto il resto che sappiamo di kamikaze, morte e rappresaglie. “Mi ritengo una persona di sinistra – precisa Angelica – ma oggi quel muro è utile per fermare la violenza. Perché il problema non è l’Islam, ma l’integralismo islamico. Dall’altra parte c’è della gente che soffre veramente, ma è ostaggio dei loro capi. Vorrei far capire che Israele è un paese di circa 6 milioni di persone in un pezzetto di terra grande come il Veneto. Attorno ci sono 300 milioni di arabi e nessuno vuole lo stato di Israele.” Noi aggiungiamo tutto il resto. La vita senza il respiro nitido della sicurezza. L’allerta supremo e costante per bombe, attacchi chimici o umani, sempre in agguato da anni. Eppure Angelica sorride convinta e racconta le sue storie di cui appassionatamente ed indistintamente si innamora. Come quella della piccola bambina israeliana che a causa di un attentato ha oggi numerosi handicap. Ad esempio non può più suonare il piano e il flauto traverso che le piacevano tanto. A chi le chiede se ha perdonato gli attentatori risponde “se non avessi perdonato come potrei sopravvivere?”. Nel lampo di queste parole di ragazzina, il pensiero sublime che incateniamo nella memoria di questo incontro bresciano con Angelica Calò Livnè. Un pensiero positivo, proprio come lo definisce Angelica. Un regalo speciale utile per attivare molte emozioni. Come quelle semplici, reali e interattive che educano ogni popolo e ogni persona a guardare quel che c’è di bello nel loro mondo. Come in quell’arcobaleno che si fa teatro di contaminazione pulita in un’iride di speranza.

Di: Giuseppe Rocca

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