Benessere IL MASSAGGIO DELLE NOTE

| 4 aprile 2005

Avete sentito parlare della musicoterapia e di quanto sia benefico immergersi nelle armonie dei suoni? Scettici, a me le orecchie! Il massaggio sonoro non promette ringiovanimenti tanto repentini quanto effimeri, né si pone come panacea dei mali contemporanei. 


E’ semplicemente un viaggio introspettivo, una pausa alla frenesia e al male di vivere che affligge moltissima gente, sottoscritta compresa. Lo fa senza grandi formule, con il geniale ausilio della musica, compagna di vita di tutti, colonna sonora dei nostri ricordi, e con il sapiente dosaggio dei colori,unito alla perfetta atmosfera di un habitat congeniale a chi vuole ritrovarsi. Ma, più in concreto, come possiamo descrivere tecnicamente qualcosa che accarezza la nostra anima e riporta a galla ricordi sepolti, emozioni represse, parti di noi troppo spesso dimenticate? Togliendo al tutto la suggestione che di fatto possiede, partiamo con il dire che la musicoterapia e la cromoterapia vengono integrate con un computer (questa volta dotato di funzione salutare) che controlla, attraverso un lettino, le vibrazioni sonore. La musica agisce direttamente sul lettino, diffondendosi attraverso altoparlanti posizionati sotto di noi. Ma come vengono scelti i suggerimenti musicali e cromatici? Su misura. E qui entra in gioco l’abilità e la preparazione di chi si muove dietro alle quinte. Popolare, medievale, classica o moderna, la musica svolge la funzione principale di rilassamento e di riconquista della nostra identità più intima. La sua scelta, con il giusto abbinamento cromatico, è determinante affinché l’esperienza sia davvero “terapeutica”. Attraverso un lento e modulato massaggio musicale su tutto il corpo, si sincronizza la vibrazione cellulare e tutto questo ci permette di “sognare ad occhi aperti”, rilassandoci, visualizzando eventi accaduti nella nostra infanzia o semplicemente lasciando che la rievocazione mnemonica di un evento si arricchisca di particolari, fatti, fantasie e bisogni, spesso senza esserne consapevoli. Alla fine si può sentire la necessità di condividere l’esperienza raccontando le proprie “visioni” o si può scegliere di custodirla dentro noi stessi. Sta di fatto che per un’ora intera apparteniamo a noi stessi, facciamo la nostra conoscenza e basta. Per molti di noi è già un bel traguardo.

Di: Elena Pellegrini

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