A SCUOLA DI LIBERTA’

| 1 agosto 2005

Dalla morte di John Cage (1992) nessun evento significativo a lui dedicato sembra essere apparso all’orizzonte. L’integrale pianistica incisa da Steffen Schleiermacher per la MDG, da poco conclusa, ha invece aggiunto un importante tassello ad un tentativo di ricognizione del grande maestro americano.

L’immagine è insolita, per un pianista classico: capelli fluenti stile anni ‘60, ciabatte da frikkettone, pantaloni morbidi con cintura a spago, occhiali da sole con lenti verdi e forma modello Starsky & Hutch, per dirne alcune. Steffen è un bel dilemma: pianista mascherato, che sotto la chioma ribelle cova inconfessabili desideri chopiniani? Steffen, che mentre prepara il pianoforte con sughero, viti e plastica, sogna un accordatore devoto (quegli omini fedeli che Michelangeli si portava in giro per il mondo insieme a valige e a spartiti), a cui comandare pettinatine di feltri e quinte di lupo? Steffen, un giorno verrò ad un tuo concerto cageano, e mentre suoni 4’33’’ (quello fatto di sole pause) eromperò in una colossale pernacchia. Ma tu sorriderai felice! Ed anche Cage annuirà dall’alto dei cieli. In Cage il pianoforte romantico è negato attraverso un’indeterminazione del risultato sonoro; la stessa grafia è reinventata; il pianoforte preparato equivale ad un ripensamento di secoli di concertismo; i processi compositivi sono nuovi, perché calcolati sulla base di divinazioni oracolari, di carte stellari, di casualità erette a sistema. Come conchiglie raccolte a caso sulla spiaggia. Per un interprete la sfida non è di poco conto. Il pianista tedesco Schleiermacher è riuscito, per una volta, a mettere d’accordo inglesi (Gramophone) e francesi (Répertoire). L’interpretazione è convincente, donazione totale, ricca di nuances e di grinta, registrata splendidamente.

Dipende lo ha raggiunto per chiedergli notizie sulla fatica appena conclusa:
E’ stata un’impresa ardua? “Senza dubbio. Però dopo un’integrale di questo tipo non puoi più suonare come facevi prima: hai una ricchezza interiore enorme e prospettive molto più ampie”. Quali sono a Suo avviso le differenze più rilevanti fra la prima produzione pianistica di Cage e i suoi ultimi lavori? Trova più elementi di continuità, oppure avverte un radicale cambio di prospettive? “L’opera per pianoforte di Cage è multiforme, davvero variegata. I diversi pezzi da lui composti si adattano a differenti pretese pianistiche: le sue opere fino al 1950 sono più o meno brani tradizionali, sia per quanto riguarda la costruzione che la notazione (non sto però parlando del pianoforte preparato). Dopo il 1950 Cage lascia invece molta più libertà agli interpreti: la sua è proprio una poetica della libertà, una libertà di interpretazione, un’assoluta libertà nel ritmo, nella dinamica, nelle durate, articolazioni, e così via (anche qui c’è un’eccezione: Music of Changes, naturalmente). Ritmo e metratura diventano concetti sempre più vaghi, impalpabili: più Cage si avvicina alla sua fase estrema e più scompaiono le indicazioni di ritmo. Questo elemento ritmico mi sembra il dato del Cage pianistico più in evoluzione nel tempo”. “Poetica della libertà”: una posizione che arriva al suo culmine negli 84 pezzi di Music for piano: brani eseguibili singolarmente oppure insieme agli altri (tutti o in parte), contemporaneamente oppure in successione, da uno o più pianisti, senza indicazioni di durata dei pezzi e delle singole note. Come orientarsi? Come compiere scelte? E che tipo di virtuosismo richiede il pianoforte di Cage? Un virtuosismo più mentale o più un virtuosismo digitale e meccanico? “La libertà dell’interprete è ogni volta differente”, tronca lapidario. Ma vaffanZen!

Di: Enrico Raggi

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