Raccontando universi con le immagini

| 31 marzo 2007
Immagine

Giancarlo Soldi: regista di cinema e di televisione, esperto di fumetti, creativo. Ha diretto documentari industriali per Fiat, Enel, Alfa Romeo, Lancia, Poste Italiane. Difficile ingabbiare il suo estro per le immagini in una definizione professionale. A Desenzano ha trascorso la sua giovinezza, fino alla fine degli anni ‘70. Ora vive tra Roma e la Toscana con la compagna di sempre Stefania Casini, in un casa piena zeppa di fumetti da tutto il mondo. 

Amarcord: un’immagine di Desenzano della tua adolescenza? Allora Desenzano era bella perché era bello il periodo: erano gli anni ‘70. Desenzano era in mezzo a tutto senza essere dentro tutto. Era vicino a Milano, dove era nata la libreria che ha fatto il giornale più rivoluzionario del mondo: Linus. Per caso era vicino ad un paesino dove si esibivano i gruppi più importanti del momento: San Giovanni Lupatoto. Lì ho ascoltato i King Crimson e i Genesis. Hai diretto film e cortometraggi, hai lavorato per la TV, hai diretto spot pubblicitari e documentari industriali. Sei un esperto di fumetti. Ti definiresti un regista? In Italiano la parola regista ha un certo significato: anche chi dirige il telegiornale è un regista. In Francese si dice metteur en scene, in Inglese director. Ecco io faccio questo: dirigo dei progetti. La settimana scorsa ho curato la pubblicità delle cuffie dell’IPOD. Negli ultimi anni lavoro sempre più spesso per l’industria, mi occupo di documentari industriali. I miei committenti sono Enel, Telecom, Fiat, Lancia, Alfa Romeo. Oggi si è più liberi a lavorare per l’industria che a fare cinema nel senso stretto del termine. Se vuoi girare un film sei ingabbiato nelle regole di mercato: ogni 12 minuti deve esserci un colpo di scena per poter inserire la pubblicità: solo così la TV lo compra. Come hai cominciato a fare il regista? Fin da piccolo ho deciso che avrei fatto il regista. La fantasia mi ha sempre attratto. La molla che ha fatto scattare il desiderio di fare il regista è la possibilità di raccontare universi. Il primo vero film l’ho diretto durante il servizio militare, si intitolava “PARANAIA”. Dopo 3 giorni di caserma ho convinto il Ministero della Difesa a finanziarmi: pensavano che fosse un film sui parà invece era un film comico, un misto tra Stanlio e Olio e i film di Bobof. Siccome era venuto bene ho deciso di continuare. Il tuo film “NO FUTURE”, girato nel 1982 a Desenzano, secondo l’Associazione degli Autori è tra i dieci corti che sconvolsero il mondo. E’ una storia che attinge al mondo della musica punk. In quel film volevo raccontare gli anni bui che avevamo intorno, le brigate rosse, la violenza, ma con una chiave più leggera, quasi surreale. Ho usato attori non professionisti, tutti vestiti in modo molto strano. Girare a Desenzano è stato facile: ho convinto il supermercato vicino casa a farmi utilizzare i locali per le riprese; la troupe era accampata a casa mia e miei genitori si occupavano del catering con polli e patatine fritte. E’ stato veramente divertente. Nel film POLSI SOTTILI del 1985 recitava anche la tua attuale compagna Stefani Casini: un sodalizio sentimentale e professionale che dura da 22 anni. In realtà POLSI SOTTILI è l’ unico film in cui abbiamo lavorato insieme. Stefania all’epoca era già un’attrice affermata, aveva recitato in Novecento di Bernardo Bertolucci, in Suspiria di Dario Argento, aveva lavorato nella factory di Andy Wharol. Io le davo fumetti e lei mi dava grande arte! Certamente mi ha dato una grande sicurezza avere una persona che ti ama e che capisce il mestiere che fai. Nel 1992 il successo del film “NERO”: Festival di Venezia, di Parigi, di Stoccolma. Menzione speciale al Cognac Thriller festival. “NERO” parte da un soggetto di Tiziano Sclavi, il papà di Dilan Dog. Insieme abbiamo deciso che si poteva farne un lungometraggio, ho convinto Sergio Castellitto ed è andata molto bene. Poi hai iniziato a lavorare anche per la TV. Alla fine degli anni ’80, un programma come Rosa&Chic su RaiDue, rappresentò una vera rottura con il passato. Dovevano essere 20 puntate e diventarono 50. L’idea rivoluzionaria fu quella di fare un magazine in TV, senza un vero conduttore e con molta attenzione alla parte grafica. Come nasce la tua passione per il fumetto? Ho sempre avuto un’attrazione pazzesca per il fumetto. Una vera e propria malia. Perdevo ora intere a guardare le novità in edicola. Pensa che a quindici anni convinsi un mio insegnante di scuola ad accompagnarmi a Rapallo per comprare un fumetto di un certo Lee Labner: in Italia lo conoscevano in pochi, mentre negli Stati Uniti aveva 60 milioni di lettori. John Lennon lo considerava il più grande fumetto del mondo. Mi ricordo che all’epoca spesi ben 30.000 lire, che avevo messo insieme con molta fatica! Ora il fumetto è diventato anche un lavoro: di recente su RAISAT hai curato lo speciale in due puntate “Voci e Storie dei fumetti” per il programma “La Storia Siamo Noi”. Il mio intento era raccontare la storia del fumetto del ‘900. Per far questo ho chiamato i miei colleghi più blasonati, da Bertolucci a Scola. Il fumetto è un vero pretesto narrativo, una cartina di tornasole per leggere il mondo. Io parlo di fumetto perché parlo di me, parlo del mondo. E poi c’è l’empatia: a volta ti riconosci in Diabolik, a volte in Ginko, in Tex Willer o in Tiger Jack. E la tua collezioni di fumetti? Ne ho circa 12.000. In tutti i viaggi che io e Stefania facciamo vado in cerca di un fumetto, anche in Siberia. In Birmania ho trovato un fumetto cinese del 1930. Ma dirò che non mi interessa tanto trovare i fumetti quanto il percorso per arrivare a trovarli: durante questi viaggi incontro persone meravigliose. Ho anche alcune rarità: il primo fumetto che è uscito del 1896, Yellow Kid; una striscia di Little Nemo del 1903, che è il fumetto che amava Fellini; una pagina del n. 1 di Dilan Dog, che mi ha regalato Tiziano Sclavi. Sono una fan di Diabolik. Mi racconti qualcosa delle mitiche Sorelle Giussani? Ho avuto la fortuna di conoscerle e frequentarle quando ero solo un ragazzo e devo dire che mi hanno molto aiutato. Avevamo fatto questo accordo: loro erano molto interessate al cinema e io ai fumetti. Ogni mercoledì andavo nella loro splendida casa di via Boccaccio a Milano e il loro maggiordomo ci serviva dei pranzi luculliani. Mi volevano sentire parlare di cinema, a loro non importava che avessi i capelli lunghi e fossi un ragazzino. Trovo straordinaria la loro intuizione del formato, destinato ai pendolari che andavano a lavorare a Milano, quindi doveva durare lo spazio del tragitto. Nei tuoi film l’architettura musicale è molto importante. Sei anche musicista? Ascolto musica di ogni genere: dal punk alla lirica. Basta vedere gli ultimi dischi che ho comprato: le “Pupini Sister” e un disco dei “Los Lobos” che si trova solo su internet. Ma in casa la vera musicista è mia sorella Lalla, che è un’ottima percussionista. Un fumetto che racconta la nostra contemporaneità? Direi “Appunti su una storia di guerra”. L’autore si chiama Gipi ed è illustratore di riviste e giornali ad altissima diffusione, tra cui “La Repubblica”. La storia affronta con umanità gli eventi che seguono ad una guerra futuribile. Più che un fumetto è una vera e propria graphic novel, come dicono gli Americani. Se non avessi fatto il regista? Forse avrei fatto bene le patatine e i polli arrosto nella bottega dei miei genitori. Non per niente mi piace molto cucinare.

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