Milano – GUY HARLOFF (1933-1991). Visioni, simboli, alchimie

| 27 febbraio 2018
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Anna Maria Consadori, figlia del pittore Silvio Consadori (Brescia, 1909-Burano-Venezia,1994), laureata in architettura presso il Politecnico di Milano, nel 1996 ha fondato la Galleria omonima che dal 2001 ha sede in via Brera 2. Accanto a ceramiche, gioielli d’autore, vetri, lampade, oggetti d’arredo, realizzate da designer come Gio Ponti, Giulio Minoletti, Ignazio Gardella, Campo e Graffi, George Nelson, Enzo Mari, Guglielmo Ulrich, è possibile ammirare qui opere di artisti quali Arnaldo Pomodoro, Umberto Milani, Roberto Crippa, Tomaso Buzzi, Lucio Fontana, Giuseppe Spagnulo. Per arricchire lo spazio abitativo con un’adeguata presenza di pittura e scultura, la Galleria seleziona e propone importanti opere di artisti “contemporanei” anche con opere realizzate appositamente per il luogo espositivo. Spesso vediamo personaggi, viventi e non, poco noti dal grande pubblico, ma che per motivi diversi hanno lasciato un’impronta importante nel panorama internazionale. E’ questo il caso di Guy Harloff, olandese, la cui riscoperta, specie in Italia, è dovuta all’impegno e alle ricerche assidue di Nicoletta Colombo e Serena Redaelli, sfociate in una importante monografia da loro curata e pubblicata nel 2016, intitolata “Guy Harloff (1933-1991. L’olandese volante”. La mostra attualmente in corso qui presenta 25 opere eseguite tra la fine degli anni Cinquanta e il 1990, che raccontano l’intero arco dell’attività dell’artista. Uno studio in cui il cammino artistico di Harloff va di pari passo con l’approfondimento della personale ricerca spirituale e simbolica. Partita dal mondo fisico, dalla sperimentazione di derivazione popolare, la sua poetica giunge a decifrare lo spirituale attraverso il lavoro assiduo e lo studio, per cui dipingere non è che uno dei percorsi verso la “Grande Opera”, concetto manifestato dall’artista nell’espressione ricorrente “Work is the Great Power” (Il Lavoro è il Grande Potere) Le opere, che assemblano ossessivamente i ritagli fotografici del suo occhio destro con fitte simbologie di “mandala”, di forme figurali fantasiose e alchemiche, secondo la critica, non paiono estranee neppure alla conoscenza dei codici miniati medievali, configurandosi come esiti dell’attività preziosa di un cesellatore cresciuto in sintonia con le culture orientali. La componente simbolica maturata a contatto con i surrealismi di seconda generazione e con gli espressionismi nordeuropei, frutto del cosmopolitismo di Harloff, evolve nei decenni verso una crescente organizzazione spaziale, configurando simmetrie eleganti e condensate intorno a segnali, numerazioni, pentacoli, scritture vergate secondo processi logici misteriosi e affascinanti.  L’arcano alchemico e filosofico che si snoda tra le sinuosità damascate dei labirinti segnici è introdotto dai titoli stessi delle opere, di cui citiamo alcuni esempi: “Idée de Cyprès”, 1968, “Le voyage avec C”, 1968, “Connaisance”, 1971, “Le livre de l’engrenage”, 1971,  “Présence primordiale” 1974, “The Chinese Coin. Inventaire” 1983, “Inside, aime”, lumière”, 1990.   In occasione della mostra vediamo in galleria due fotografie inedite di Harloff realizzate a Chioggia nel 1974 dal fotografo Roberto Masotti.  Alcune note biografiche in sintesi. Guy Harloff nasce a Parigi nel 1933 e trascorre un’infanzia apolide viaggiando per l’Europa con i genitori. Nell’adolescenza vive a Parigi e nel 1950 è a Roma, dove lavora al Centro Sperimentale Cinematografico. Inizia a disegnare nei primi anni Cinquanta, avvicinandosi al surrealismo ed eseguendo i primi collages che assemblano vari materiali di recupero. Entra in contatto con gli esponenti storici della beat generation e inizia a interessarsi alla musica jazz, di cui sarebbe diventato successivamente un profondo cultore, interesse, questo, dovuto in gran parte alla conoscenza del grande sassofonista americano Ornette Coleman  (Fort Worth, 1930-New York, 2015). Tra il 1959 e il 1960 la sua produzione artistica è sostenuta in Italia da Carlo Cardazzo e da Arturo Schwarz. Viaggia e soggiorna nel Golfo Persico, si stabilisce in Marocco, visita l’Africa e il Sudan. Nei primi anni Sessanta frequenta Milano e gli amici di Brera, Roberto Crippa e Lucio Fontana, con cui si sofferma spesso al Bar Jamaica, locale attiguo all’Accademia, abituale ritrovo di artisti, fotografi e letterati. Stabilisce un contratto con Renzo Cortina. Nel corso del decennio vive tra Milano, Parigi e Londra. Dal 1970 vive a lavora a New York. Espone nel 1972 a “Documenta 5”, (Kassel, Germania) presentato da Harald Szeemann.  Nel 1974 la Permanente di Milano gli dedica una mostra antologica, alla cui inaugurazione l’amico Ornette Coleman con la sua band allestisce un concerto jazz. Nel decennio successivo, dopo alcuni anni di viaggi negli Stati Uniti e di residenza a New York, torna in Italia. Soggiorna un po’ a Levanto, sulla riviera ligure di levante, e dal Settembre del 1987 si trasferisce a Galliate, tra Milano e Novara. Inizialmente vive in un’ex fabbrica diroccata in fondo alla valle del Ticino, poi sceglie una casa più comoda, fissando come luogo di svago prediletto il bar-albergo-ristorante “Le 2 Colonne” di Galliate. Qui riceve messaggi e telefonate e incontra gli amici. Per lui questa località rappresenta un piccolo paradiso lontano dal caos dell’hinterland milanese, a breve distanza dal capoluogo lombardo, dalla Costa Azzurra e dall’aeroporto della Malpensa, da dove può raggiungere New York. Muore a Galliate il 6 gennaio 1991 per un infarto a soli 57 anni.

Galleria Anna Maria Consadori – Via Brera 2, Milano; fino al 28 Febbraio 2018; orari: da martedì a sabato 10-13 e 15-19;  Tel. 02 72021767; www.galleriaconsadori.com

Fabio Giuliani

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