Desenzano del Garda JOSIP BROZ, il Maresciallo Tito: LA SUA STORIA È ITALIANA?

| 1 giugno 2000
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In viaggio, assieme all’avvocato N.K., profugo di Sarajevo, in Italia da anni, si parlava di quella guerra balcanica, di come nella opposta furia annientatrice, addirittura i cimiteri e le lapidi venivano distrutti, per cancellare persino lì la etnia originaria e portare sino in fondo la pulizia etnica. “Così – mi diceva K. – scomparsi e bruciati chiese, moschee ed archivi, nessuno poteva negare che solo i serbi avevano da sempre vissuto lì: non restava più nessuna prova “scritta”. Solo la memoria della gente. Ma quella dura poco.” 

Allora ho pensato ai cimiteri della Vallarsa, in Trentino. Essi, nonostante la guerra del 15-18, riportano ancor chiari i loro dolenti messaggi, testimoniano i nomi attraverso il tempo. Ed anche il nome di una ben nota famiglia non ha potuto essere cancellato: è lì, nitido, né alcun balcanico furore ha potuto svellerlo nelle sue origini. Molto infatti si è scritto e tuttora si scrive sulle origini del Maresciallo Tito: da Jasper Ridley “Tito, genio e fallimento di un dittatore”, a Bettiza “Tito, il conte rosso”, a Montanelli, per non parlare di Milovan Djilas, nella sua nota biografia. Ma una cosa è comune, in tutti questi studi: le sue origini sono avvolte in contraddittori misteri, e tanto più lo si vuol definire un falso problema, tanto più appare nebulosa, quasi mitologica la realtà stessa di quel nome: Josip Broz, il Maresciallo Tito.

Rovereto, settembre 1999
“E quindi, ingegner Broz, il Maresciallo Tito, il Presidente della Jugoslavija, era di origine italiana?”
“Si, proprio lui, il mio avo, e la sua famiglia paterna, erano trentini, di qui, della Vallarsa.”
Partiamo dunque per la Vallarsa: percorrendola riscontreremo direttamente la storia della famiglia, che l’ingegnere Albino Broz ci ha appena testimoniato. L’origine del Maresciallo Tito continua ad essere fonte di infinite discussioni, ma qui almeno verificheremo una certezza (ed a nostro parere molto di più): il ceppo del nome Broz è originario da centinaia d’anni della Vallarsa, vicino a noi, nel nostro trentino. Da Rovereto, allora, su, verso il Sacrario della Campana dei caduti del ‘14-’18, su ancora, lasciando a destra le indicazioni per il Sentiero dei dinosauri, avanti, per la valle, dapprima stretta ed aspra. La vegetazione è bassa, sgarbata, nessun abete o larice; avanti, segnalazioni di fortificazioni austriache sulla sinistra ed italiane sulla destra, continuiamo a salire per la strada asfaltata, deserta, avanti, e poi la strada si allarga, l’altitudine è già sui 700 metri, ecco i primi villaggi sul lato opposto della valle, ecco le prime indicazioni: Enghebeni (Engheben?), le prime cime alpine e rocciose là in fondo sulla destra, già meno nitide nella luce settembrina, il cielo oggi più bianco che grigio. Siamo arrivati in zona, ci siamo.

L’Ingegner Broz ci parla, e noi, ascoltandolo, lo guardiamo: si, potrebbe essergli parente. La stessa corporatura massiccia, pur di un uomo assai più giovane, l’ingegnere avrà una quarantina d’anni, la stessa testa quadrata, gli occhi né azzurri né grigi, come il Generale Josip, ma lo sguardo è disponibile, amichevole: “Sono ormai anni che sento parlare di Josip Broz Tito, ex-presidente di quella che è stata la Repubblica di Jugoslavija, scomparso ormai dal 1980. Ma il tempo passa senza che mai si definisca quello che tanto abbiamo sentito dire, finché un giorno mi viene chiesto da un giornale di fornire delle informazioni sulla figura di Tito, di confermare se la sua origine è veramente ascrivibile alla Vallarsa, ad Obra, al Maso Geche, alla nostra famiglia…” Nel suo studio di Rovereto, ha cercato a lungo, tra suoi fasci di carte, lo scritto che ora ho accanto a me, sul sedile della macchina. Lo ho un poco letto, un po’ me lo ha letto lui. Ma intanto ripensavo a quel sorriso, vasto e potente, che vidi più di trent’anni fa, quegli occhi grigi, quello sguardo lontano, del Maresciallo Tito, all’inaugurazione della Valesajam, la fiera internazionale di Zagabria. Tito sorrideva, passando tra gli stands (era il 1966) e guardava noi standisti, con le nostre merci speranzose, aveva una maestà molto grande nel suo doppiopetto grigio, e tuttavia il sorriso si trasformò in riso, affabile, di lui e noi tutti, quando, snobbando le altre merci, si soffermò allargando le braccia soddisfatte, di fronte ad uno stand di affascinanti manichini femminili per la moda, di non so quale più dimenticata ditta italiana. Già: anche questo era Tito.

Proseguiamo su per la Vallarsa. Ingegnere, come mai tanti col cognome Broz? “Le frazioni del capoluogo, diciamo, Obra, sono tre, una di questa è Brozzi, da lì gli abitanti di questa frazione si chiamano Broz”. La frazione Brozzi è qui: poche case. Brozzi o Brocci? Chiedo a delle ragazze appena uscite dal piccolo supermercato: “Brozzi” e mi indicano i numeri civici sulle case: è vero, è scritto Brozzi. E Broz, Broz, Broz… è scritto in un piccolo cimitero, su tante lapidi, nuovissime o vecchie, il marmo levigato dal vento. “Sono andato a rileggermi degli appunti di Don Rippa, un tempo parroco del nostro paese, lui la storia la sapeva bene, ecco le sue note…”

Leggiamo allora le note di Don Rippa: -…Geche, al Km.14 della strada provinciale n°49 Rovereto-Obra, in una breve radura, circondato da prati e piccoli campicelli, si trova un grande caseggiato. Dalla gente
è chiamato Maso Geche. Chi venne ad abitarlo portava il cognome di Broz. L’anno preciso della sua erezione non si sa. Si suppone che risalga al tempo della colonizzazione della Vallarsa (1211-1216). Nei registri della parrocchia di San Vigilio si nota che nei primi anni del 1800 era abitato da certo Broz Valentino sposato a Sottoriva Teresa. Figli Giuseppe, Vigilio, Giuseppe, Ferdinando, come chiaramente risulta dai registri parrocchiali. Erano contadini, coltivavano i prati e campi siti attorno alla casa. Avevano in casa mucche e pecore. Completavano il bilancio familiare cercando lavoro attorno. Erano tempi tristi. Dovevano per forza cercare lavoro altrove. Lavoravano presso facoltosi in Vallagarina, in imprese edili a Rovereto e da boscaioli in autunno e d’inverno. I Broz vennero nella necessità di cercare lavoro pel mantenimento della famiglia. Il Governo austriaco ordinò la costruzione di una ferrovia Vienna-Zagabria-Sarajevo…-

“È vero, Ingegnere” interveniamo “la Vallarsa e Rovereto non erano Italia ma Austria Ungheria. E questi emigranti che se ne andavano per il mondo a far ferrovie erano i famosi -aisemponeri- delle cui vicende e fatiche tanto si parla.” (Il bel libro di Renzo Grosselli -L’emigrazione dal Trentino- edito dal Museo degli usi e costumi della gente trentina, ne racconta la storia e riporta alcune notizie appunto sulle origini della famiglia Broz).
“Si, e così si distaccavano dall’ambiente patriarcale e religioso delle nostre valli, conoscevano il mondo, siamo nella seconda metà dell’Ottocento, la fatica disumana, il contatto con ambienti diversi, i circoli anarchici, ecco l’humus da cui poi… ma andiamo avanti”
-…molti della Vallarsa andarono in Croazia, lontana, ma pur sempre entro i confini dell’Impero-

Attento! penso: cominciamo a parlare della Croazia, ci avviciniamo alla storia moderna, all’iter impero austroungarico, Yugoslavia, seconda guerra mondiale, la lotta partigiana, tutto ciò che essa ha significato, il crollo del comunismo, il disfacimento sanguinoso, la Serbia, la Croazia, il Kossovo, tutto il vortice scarlatto che ora turbina accanto a noi.

E dunque: -…andarono in Croazia e furono ingaggiati fra gli operai che ivi lavoravano. Fra di essi i due figli di Valentino Broz: Giuseppe e Ferdinando. Ferdinando tornò in Vallarsa. Giuseppe rimase in Croazia. Nel 1881, a Kumrovec, presso Zagabria, sposò una slovena, certa Maria Javorsek: da essi è nato Josip Broz, il 25 maggio del 1892. Giuseppe (Josip) Broz: detto Tito.-

Siamo giunti a Lui, il Maresciallo Tito. Egli è di fronte a noi, così come l’ingegnere Albino, ed i loro occhi grigio azzurri, come il maso Geche, la frazione Brozzi, e le montagne di questa valle che già sembrano ora rabbrividire nell’autunno. Di fronte a noi. Ma è vera questa ricostruzione?

“A Zagabria, poi,” parliamo in macchina tra noi, io e Sanja, la nostra fotografa croata “poi, abbiamo avuto un riscontro perché…”
“Ma certo” dice Sanja “certo, è sicuro anche se nessuno là sembrava saperlo: l’origine della sua famiglia non è scomparsa per caso!”
Quando andammo in Croazia l’autunno avanzava su per i boschi fitti, verso Maribor,verso Kumrovec, il paese natale di Josip Broz. Dove suo padre si fermò, da cui non tornò più in Vallarsa, si sposò con la slovena che dicemmo (il confine sloveno è a pochi chilometri da qui, ma Broz non è un cognome né sloveno né croato né bosniaco, ci conferma Sanja), ebbe il figlio Josip. Kumrovec: dove Josip è cresciuto, ha rivissuto le storie del Trentino raccontate dal padre, ha frequentato le scuole elementari Austro Ungariche, da cui è partito per lavorare come operario a Zagabria, in Austria, in Germania e poi per la guerra nel 1914. Ha combattuto in Galizia, è giunto al grado di sergente in quel grande esercito Austro Ungarico. Fatto prigioniero dai russi, allo scoppio della rivoluzione si è arruolato nell’Armata rossa. E poi tutto il resto: funzionario comunista in Russia (il Komintern di Mosca non lasciava molte notizie biografiche dei propri affiliati!) poi la seconda guerra mondiale, l’organizzazione della resistenza partigiana contro le forze dell’Asse invasore, l’atroce guerra civile, Croati e Serbi, fascisti e comunisti, un esercito di 200.000 partigiani, che si scontrano con gli avversari in un pari furore. E il comunismo, la sua tragica realtà. Infine la Repubblica, la sua presidenza a vita, i “non allineati”, la vecchiaia solenne, tutto sommato amato dagli yugoslavi, che già temevano nuovo sangue da versarsi, alla scomparsa della sua autorità.
Improvvisamente, sulla nostra destra sono comparse le fortificazioni austriache che chiudevano l’accesso a Rovereto dalla Vallarsa: tutta la roccia è traforata di feritoie e bocche da fuoco, si intravedono nella penombra cunicoli infiniti “Ti ricordi Sanja? Chiedevamo come si chiamava il padre e la madre di Tito, e nessuno se lo ricordava. Nessuno se lo ricordava: non c’era neppure nelle enciclopedie!” “Si ricordavano solo che era nato il 25 maggio, perché quando era vivo, dicevano, quel giorno era festa: si chiamava festa della Gioventù. E che era nato nel 1892 perché quella è la data incisa sulla sua tomba.” Solo quello, si ricordavano del Maresciallo Tito, l’uomo che aveva osato opporsi a Stalin: dire a Stalin, il mostro onnipotente, che invece in Yugoslavia ci comandava lui, Josip Broz, Tito, ed il suo popolo slavo. Non Stalin, e nemmeno i sovietici. “Doveva essere anche un bell’uomo” ha detto Sanja tra sé.

“Perché non dire che era di origine Trentina? Ingegnere, questo, io non capisco, è questo che mi dà dei dubbi sull’effettiva origine di Tito.” “Ma è abbastanza evidente, invece. Specialmente durante il periodo della resistenza, ed in quello immediatamente successivo, tristemente famoso, per Trieste, il risalire a un’origine italiana di Tito, non era consigliabile per il consolidamento del suo comando. Ma tutto è certo, tutto corrisponde, le date, i nomi, le memorie di tutti noi. Lo stesso Tito ne era convinto: mandò da noi ben due volte l’ambasciatore Yugoslavo.”

Nel bar-trattoria di Obra dove siamo scesi a prendere il caffè, mentre Sanja fotografava le case di Brozzi, guardavo il viso della padrona del bar, mentre ci parlava: sembravano gli stessi occhi grigio azzurri di Tito, lo stesso viso quadrato, lo stesso sguardo grave e senza sorriso. Ci diceva “Sapete, qui nel ‘15 arrivarono prima gli italiani e deportarono tutta la popolazione. Noi eravamo sudditi austriaci. Li deportarono su carri bestiame sino alla Liguria, a Varazze.” Poi ha continuato in Trentino: quelle storie lontane sembravano di ieri, nella valle risonante “Ne ze morti tanti, sa? Poi i ze stati ben, ma prima, ne ze morti tanti…” La sig.ra parlava in trentino: la lingua del padre di Josip, della sua famiglia, dell’ingegner Albino Broz, certo anche di Tito bambino.

Dunque, la risposta alla domanda iniziale è: no, Tito non era – solo italiano -. Tito, suo padre, era – soprattutto trentino -, ed il Trentino allora era Austria. Questa valle, la sua casa erano nell’Impero Austro-Ungarico, in quella grande guerra erano nemici dell’Italia. Proprio sopra alla Vallarsa c’è il Pasubio, i pochi rimasti in valle avranno sentito il cannoneggiamento, li avranno visti gli eserciti salire, salire in tanti ma ridiscendere in pochi: quanto dolore tra queste cime. Eppure, lui, durante la lotta partigiana, nelle foreste della Yugoslavija, nelle doline, attorno alle foibe infami, , o vicino ai villaggi slavi dilaniati e distrutti, eppure, lui lo avrà sentito qualcuno che parlava quel dialetto, quella lingua così vicina a quella di suo padre, le avrà sentite le parole del suo passato, mormorate, cantate, urlate, implorate…: la lingua della sua infanzia, i ricordi che affollano la maturità e la vecchiaia.

I suoi Ambasciatori in Vallarsa li mandò per quelle voci, li mandò per quei ricordi, i suoi Ambasciatori, alla famiglia dei Broz?

Di: Vanni Mariotti

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