VISITA A SAN MARTINO E SOLFERINO

| 10 luglio 2014
san martino solferino

“Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi”.

Questa frase, che Vittorio Emanuele II pronunciò il 10 gennaio 1859 davanti al parlamento subalpino, fu lo squillo di guerra che trovò la sua risposta e il suo compimento sui campi di san Martino e di Solferino il 24 giugno dello stesso anno.

Gli antefatti
Grazie agli accordi Plombières, stipulati nel giugno 1858, l’imperatore Napoleone III aveva promesso al Piemonte di sostenerlo contro l’Austria qualora ne fosse stato attaccato. Il Piemonte cominciò ad armarsi e ad arruolare volontari, in parte nell’esercito regolare, in parte agli ordini di Garibaldi. Il 23 aprile l’Austria intimò entro tre giorni il disarmo al Piemonte, che respinse la richiesta e già il 25 i Francesi varcarono il confine franco-sardo.
L’appello che Napoleone III lanciò ai Francesi ebbe infatti grande presa sull’opinione pubblica, che si mobilitò a favore dell’Italia. Le truppe partirono da Parigi e, varcato il Moncenisio giunsero a Torino, mentre Napoleone raggiunse Genova via mare. L’esercito francese fu accolto con entusiasmo dalla popolazione italiana: in particolare gli Zuavi e i Turcos, reclutati nelle colonie e accompagnati dalla fama di coraggio selvaggio, destavano grande curiosità anche per le loro bizzarre divise.

La guerra
Ebbe così inizio una guerra che vide in campo tre sovrani: da una parte Vittorio Emanuele II e il suo alleato Napoleone III, dall’altra Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, allora ventinovenne. Nei tre eserciti non mancavano problemi organizzativi e strategici: in particolare gli Austriaci non seppero fermare gli avversari. Dopo gli scontri a Montebello (20 maggio), Palestro (20 maggio), Magenta (2 giugno), l’esercito francese entra in Milano (7 giugno). Sconfitto l’esercito austriaco a Melegnano, l’avanzata continuò. Il 17 giugno Vittorio Emanuele entrò in Brescia, raggiunto il giorno dopo da Napoleone. Da qui i due eserciti proseguirono verso il Mincio, oltre il quale credevano si trovasse il nemico. Iniziarono le ricognizioni dei Piemontesi, che erano tra Lonato e Desenzano e dei Francesi, che si trovavano in parte a Carpenedolo, in parte a Montichiari, con Napoleone III.

L’inizio della battaglia
La battaglia di San Martino, che avvenne venerdì 24 giugno, fu una battaglia di incontro, cioè i due eserciti non sapevano che il nemico fosse vicino. Malgrado alcuni abitanti avessero segnalato la presenza degli Austriaci nella zona, i Franco-Piemontesi credevano che gli Austriaci fossero al di là del Mincio. Gli Austriaci, d’altra parte, ritenevano che il loro nemico fosse ancora presso il Chiese. Le due armate, per un totale di quasi trecentomila uomini, muovevano quindi l’una contro l’altra senza saperlo, su un fronte di circa 20 chilometri, che andava dalla riva meridionale del lago di Garda a Castelgoffredo. Le forze Piemontesi, adiacenti al lago, costituivano l’ala sinistra; le forze Francesi occupavano il centro e l’ala destra.

La topografia
Il terreno su cui si svolse la battaglia è costituito dalle colline moreniche, nate dal ritiro di un ghiacciaio che verso nord. Queste colline, che raggiungono anche i duecento metri, hanno pendii dolci, ad eccezione di quelle di Solferino, dove si erge la medievale Spia d’Italia, così detta per l’eccezionale vista che si gode dalla sua cima, sulla quale sorge l’antica rocca dei Gonzaga. Nel 1859 esse erano ricoperte di vegetazione spontanea a nord, coltivate a vigneti a sud. La collina della rocca di Solferino era completamente spoglia, a parte un boschetto di cipressi che fu teatro di un aspro combattimento. Il terreno era arido e sassoso. Le coltivazioni erano di cereali e prati nelle zone meno secche, di vigne e di gelsi in quelle più umide.La rete viaria era abbastanza sviluppata: a nord la strada lungo il lago congiungeva Lonato, Desenzano, Rivoltella e Peschiera; parallela a questa scorreva la ferrovia. A sud un’altra strada congiungeva Brescia, Castiglione, Guidizzolo e Mantova. Altre strade minori si intersecavano con queste.

La battaglia
Il 24 giugno fu un giorno afosissimo. La partenza delle truppe era prevista per le 9, ma già alle 3 si sentirono i primi spari, in quanto gli avamposti dei due schieramenti erano entrati in contatto: venne distribuita una doppia razione di acquavite, ma mancò il tempo di prendere il rancio, che non venne assegnato per l’intera giornata. Alle 6 la battaglia era già in pieno svolgimento. Il terreno, completamente sconosciuto ai Francesi, rese difficile l’avanzata a causa dell’intreccio fra gelsi e vigne. Gli Austriaci, appostati sulle colline, colpivano facilmente con la loro artiglieria l’esercito francese. I combattimenti diventarono sempre più accaniti.
Le battaglie furono in realtà due (forse tre): i Francesi combatterono prima a Medole e Guidizzolo, poi a Solferino, riuscendo a cacciare gli Austriaci grazie all’intervento decisivo della Guardia Imperiale, il corpo scelto dell’imperatore. I Piemontesi combattevano invece prima a Pozzolengo, Madonna della Scoperta, poi anche a san Martrino, sul roccolo, presso la Contracania e nelle numerose cascine della località. Qui la resistenza degli Austriaci era molto più dura, tanto che le posizioni vennero occupate e perse più volte nella giornata.
Verso le 16 scoppiò un temporale e gli Austriaci cominciano la ritirata da Solferino diretti oltre il Mincio; i loro compagni che combattevano a San Martino, raggiunti dall’ordine, dovettero ripiegare anch’essi, così che i Piemontesi si insediarono sul colle di San Martino e a Madonna della Scoperta.

Dopo la battaglia: il bilancio
Alla fine della giornata il terreno era disseminato di morti e di feriti gravissimi. I primi furono ben oltre diecimila, senza contare le migliaia di feriti, molto spesso morti in seguito, e di dispersi.
Ma la guerra non colpì solo i soldati. La popolazione civile subì un danno gravissimo: le abitazioni e i campi andarono distrutti, gli alberi furono abbattuti, il bestiame ucciso o requisito. Persino i cimiteri, trasformati in fortilizi, furono rasi al suolo.

L’armistizio di Villafranca
Al termine della battaglia Napoleone III, anche se vittorioso, decise di ritirarsi senza portare fino in fondo l’aiuto offerto al suo alleato. Benché l’Austria fosse ormai in netto svantaggio, entrambi gli imperatori avevano interesse a mettere fine alle ostilità. L’Austria decise dunque di trattare con la Francia sacrificando il Lombardo-Veneto. L’11 luglio a Villafranca i due imperatori si incontrarono: per un gesto di disprezzo di Francesco Giuseppe nei confronti di Vittorio Emanuele II, la Lombardia venne ceduta al Regno di Sardegna tramite la Francia. Dopo questo “tradimento” il clima fra i due alleati si deteriorò. Tuttavia, malgrado gli accordi dell’armistizio, gli Italiani andavano rapidamente verso l’Unità: dopo l’impresa di Garibaldi del 1860, il meridione venne liberato dai Borboni e nel 1861 fu proclamato il Regno d’Italia. Nel 1866 grazie all’alleanza con la Prussia contro l’Austria l’Italia ottenne il Veneto, nel 1870 Roma fu espugnata e sottratta al Papa.

La nascita della Croce Rossa
Dalla sanguinosa battaglia nacque un’importantissima istituzione: la Croce Rossa. Henry Dunant, un uomo d’affari svizzero originario di Ginevra, si trovò casualmente ad assistere alla battaglia di Solferino e San Martino o almeno ai suoi tragici effetti. Sconvolto dalla visione dei cadaveri e dei feriti abbandonati, con l’aiuto della popolazione di Castiglione, raccolse e curò i feriti di entrambi gli schieramenti. Nel 1862 pubblicò a sue spese un libro intitolato “Un ricordo di Solferino” in cui, oltre a descrivere l’orrore e le sofferenze alle quali assistette, si pose una domanda: “Non sarebbe opportuno, durante un periodo di pace e di tranquillità, costituire delle Società di soccorso, il cui scopo fosse quello di provvedere alla cura dei feriti, in tempo di guerra, per mezzo di volontari solerti, disinteressati e ben qualificati per tale compito?”. L’opera ebbe una grande notorietà e in tutta Europa si creò un clima favorevole al progetto che trovò il suo compimento nella conferenza di Ginevra del 1864 dove, grazie all’azione instancabile di Dunant, nacque la Croce Rossa, la cui bandiera riprende quella svizzera invertendone i colori. Nei pressi del memoriale della Croce Rossa, a Solferino, la Società ha inciso su un cippo queste parole che sintetizzano il senso dell’opera di Henry Dunant: “Dalla tragica visione del campo di battaglia e dagli esempi di solidarietà delle popolazioni verso la sofferenza umana trasse Henry Dunant l’dea universale della Croce Rossa”.

La visita
Se queste notizie sommarie possono essere facilmente reperite su qualsiasi testo di storia, una visita a san Martino e Solferino ha il potere di far rivivere la drammatica e importantissima giornata. Infatti nel 1870, dopo la riesumazione di migliaia di resti dei soldati, si costituì la Società di Solferino e San Martino che, oltre ad acquisire i terreni della battaglia sottraendoli alla loro prevedibile fine, si adoperò per creare alcuni monumenti che, a distanza di più di cento anni, offrono intatti la loro testimonianza.

SAN MARTINO

L’Ossario di San Martino
La cappella gentilizia dei conti Tracagni, proprietari della cascina Contracania, anch’essa teatro di combattimenti, fu usata nello scontro come fortilizio; in essa e nelle sue vicinanze trovarono la morte centinaia di soldati di entrambi gli schieramenti, come ricordano numerose lapidi che ne recano i nomi, l’età, la provenienza e il grado con parole che tutt’oggi suscitano commozione nel visitatore. Il 24 giugno 1870, terminato il disseppellimento dei resti, le ossa di più di duemilacinquecento soldati vennero raccolte a cura della Società in questo tempio in cui una lapide in latino, tedesco, francese e italiano rammenta che coloro che furono nemici in battaglia ora riposano insieme nella pace del sepolcro. L’esposizione dei resti, sui quali si possono riconoscere orribili ferite, vuole suscitare nel visitatore la consapevolezza che la guerra è comunque uno strumento da aborrire.

La Torre
Sul roccolo, teatro di combattimenti cruentissimi, sorge la Torre, alta circa 64 metri, dalla cui sommità un faro irradia nottetempo i tre colori della bandiera italiana visibili nel raggio di parecchi chilometri. Inaugurata nel 1893, è dedicata a Vittorio Emanuele II, che morì nel 1878. Appena entrato, il visitatore è accolto dai simulacri dei protagonisti dell’unità d’Italia, Vittorio Emanule II, Cavour, Garibaldi e Mazzini, nonchè da numerosi affreschi che illustrano alcuni momenti risorgimentali. Salendo lungo la rampa di circa 400 metri che porta sulla cima della Torre, si ripercorrono gli episodi salienti del Risorgimento in affreschi disposti in ordine cronologico a partire dal 1848 (prima guerra di indipendenza) fino al 1870 (la breccia di porta Pia). Giunto sulla terrazza, il visitatore può godere, nelle belle giornate, di un panorama che abbraccia l’intero teatro della battaglia. Il monumento è stato restaurato nel 150° anniversario.

Il Museo
Il Museo, che risale al 1939, è diviso in tre sale che espongono armi, cimeli e documenti, alcuni dei quali particolarmente toccanti. Vicino infatti ai cannoni (Il Soprano, Il Tirolese, Micca, Pietro), ai fucili, alle baionette, ai proiettili, sono conservati oggetti d’uso appartenenti ai soldati come pipe, carte da gioco dipinte a mano, lettere, bottoni, medagliette, posate, un fazzoletto macchiato di sangue; si tratta di povere cose che ci fanno rivivere la quotidianità di tanti uomini che non tornarono alle loro famiglie. Non mancano oggetti appartenuti agli Austriaci, a ricordarci che la sorte di molti di essi non differì da quella dei loro nemici.
Nella sala multimediale è possibile assistere ad un video (10 min.) che riscostruisce in modo completo e dettagliato gli eventi storici.

SOLFERINO

Se San Martino vide la battaglia tra i Piemontesi e gli Austriaci, Solferino fu teatro dello scontro tra i Francesi e gli Austriaci che si concluse con la vittoria francese.
L’Ossario
Le ossa riesumate da squadre di contadini dieci anni dopo la battaglia furono trasportate nella chiesa di San Pietro in Vincoli, dove sono esposti, a monito contro gli orrori della guerra, i resti di quasi settemila soldati, francesi e austriaci mescolati insieme. Si accede al sacrario lungo un suggestivo viale alberato di cipressi, la cui atmosfera malinconica ricorda al visitatore che anche questo luogo fu teatro della battaglia.
Il Museo
Il Museo di Solferino raccoglie materiali che illustrano la storia d’Italia dal 1797 al 1870, pur riservando naturalmente un particolare spazio alla grande battaglia. Anche qui, vicino alla “grande storia”, rappresentata dai cannoni, dalle uniformi, dai ritratti e dalle armi, il visitatore può trovare la “piccola storia” dei soldati in oggetti comuni, come i libretti militari rinvenuti sui caduti o le marionette fatte a mano dagli stessi soldati. Particolare impressione desta la sgargiante divisa di zuavo, che conserva intatto il suo impatto scenografico.
La Rocca
La “Spia d’Italia” è una torre di 23 metri risalente al 1022 eretta in cima al colle che vide le azioni più cruente durante la battaglia. Anche qui, oltre agli interessanti cimeli, viene offerta al visitatore giunto sulla terrazza una vista panoramica che consente di scorgere l’Appennino.
In conclusione: alle radici della storia patria
Davanti all’entrata della Torre di San Martino un cartello su un cipresso capitozzato ci dice che l’albero “Ebbe tronca la cima da una palla di cannone il 24 giugno 1859”, dandoci l’emozione di vedere ancora in vita un essere ferito in una battaglia di centocinquant’anni fa.
San Martino e Solferino hanno questa caratteristica: tutto sembra riportarci a quel giorno o, almeno, a quegli anni. La quiete composta dei sacrari, le iscrizioni in una desueta lingua ottocentesca, la semplicità dei Musei (quello di San Martino sorge in mezzo ai campi), il panorama rurale, la fede quasi ingenua nel futuro della Nazione che affiora negli affreschi e nei documenti fanno di questa visita un’esperienza che va al di là della solita escursione e che ci fa avvicinare alle radici della storia patria.

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