Venezia – LA BOTTEGA CADORIN – UNA DINASTIA DI ARTISTI VENEZIANI

| 23 marzo 2017
Bottega Cadorin 1

Tra arte e storia

Bottega Cadorin 2

Recarsi a Venezia rappresenta un’esperienza sempre molto affascinante per milioni di turisti da tutto il mondo, con resse quotidiane sui vaporetti, soprattutto in direzione del punto di maggiore interesse generale, Piazza San Marco, con la Basilica in primo piano, affiancata a destra da Palazzo Ducale. Non troppo lontano si trova Palazzo Fortuny, sul quale mi pare giusto soffermarmi un attimo. Costruito per iniziativa di Benedetto Pesaro a partire dalla metà del Quattrocento, questa struttura, ampliata e trasformata nel corso dei secoli, si presenta con l’imponenza della sua vasta mole con una facciata verso il Rio di Ca’ Michiel e con una più estesa, e tra le più complesse del gotico veneziano, sul Campo di San Beneto. Ricordato fra i principali edifici della città da Francesco Sansovino nel suo “Venetia Città Nobilissima”, nel XVI secolo, come rammenta il Sanudo nei suoi “Diarii”, si diedero numerose e memorabili feste ad opera della Compagnia della Calza detta degli Immortali e quella detta degli Ortolani in onore di principi, ambasciatori, patrizi e nobildonne ed una, sontuosa, data da Pietro Pesaro nel 1522 “per la sua elezione a procuratore di S.Marco”. Notevoli le opere d’arte che la famiglia Pesaro vi aveva raccolto e che si potevano ammirare al suo interno: (…)“eccelenti pitture cosi antiche che moderne, fra le quali sono meravigliose una Samaritana di mano del Pordenone; un Adultera di Giorgione (…).” Nella seconda metà dell’Ottocento l’edificio venne frazionato in numerosi appartamenti con la conseguente creazione di nuove comunicazioni verticali ed orizzontali per ospitare circa 350 persone di umili condizioni. E’ quindi in uno stato di degrado e decadenza che Mariano Fortuny Madrazo, attratto da questa bellezza architettonica, vi entrava per la prima volta nel 1898 occupando una enorme stanza posta nel sottotetto dell’edificio e stabilendovi il proprio studio. Nel corso degli anni, acquisite altre parti dell’immobile, egli, pazientemente ma con costanza iniziò il lavoro di recupero dell’edificio. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1949 Il palazzo fu donato nel 1956 al Comune di Venezia per essere “utilizzato perpetuamente come centro di cultura in rapporto con l’arte”, com’è espressamente indicato nell’atto notarile. Aperto il Museo nel 1975, nonostante una serie di criminose spoliazioni degli arredi avvenute negli anni precedenti, questa vera e propria Casa-Museo si è caratterizzata nel corso degli anni come centro di attività espositive dedicate alle arti visive, conservando però intatte le caratteristiche di ciò che fu lo studio preferito al primo piano nobile di Mariano Fortuny. Cosi come intatta è la sua preziosa biblioteca ricchissima anch’essa di arredi, di oggetti e di preziosi volumi d’arte e di tecnica. Dalla raccolta dei dipinti, ai preziosi tessuti che rivestono interamente le pareti, alle celebri lampade, tutto è testimonianza della geniale ispirazione dell’artista tra sperimentazione ed innovazione nonché della sua presenza sulla scena intellettuale e artistica internazionale a cavallo tra ‘800 e ‘900. Il palazzo, che fa parte del circuito gestito dalla Fondazione Musei Civici Venezia, è aperto al pubblico in occasione di mostre temporanee. Chi dovesse trovarsi in città o avesse occasione di recarvisi nei prossimi giorni ha la bella opportunità di visitare questi ambienti grazie all’evento espositivo

“La bottega Cadorin. Una dinastia di artisti veneziani”, progetto nato dalla necessità di non disperdere uno straordinario patrimonio artistico e storico, testimonianza dell’intensa attività di almeno tre generazioni di artisti, architetti, musicisti e fotografi attivi a Venezia tra Ottocento e Novecento. L’albero genealogico di questa famiglia, degna erede delle grandi botteghe d’arte della Serenissima, è uno straordinario intreccio di vite poste sotto l’egida dell’arte. Vite indissolubilmente intrecciate, nonni, figli, cognati, nipoti, spose e mariti; vite dedicate all’arte in una città che con la sua bellezza ha saputo travolgerli, trasmettendo loro il senso della meraviglia. Architetti, scultori ed ebanisti, pittori, fotografi, restauratori, animatori dei più vivaci salotti artistici e culturali, i Cadorin, provenienti da Pieve di Cadore (città natale di un loro illustre predecessore, il grande pittore Tiziano Vecellio) ma già nel XVI secolo trasferiti a Venezia, per tre secoli erano stati una presenza costante nelle vicende d’arte della città lagunare; un protagonismo che pareva essersi interrotto nel 1848 quando venne chiusa l’ultima delle sette botteghe della Serenissima. Fu solo una parentesi: a riprendere la conduzione dell’atelier di famiglia, qualche decennio più tardi e fino al 1925, fu Vincenzo, grande scultore ed intagliatore formatosi all’Accademia di Belle Arti e presto a capo di un’impresa che contava oltre 40 maestranze, chiamata a lavorare per i Savoia e per D’Annunzio, per chiese, case e palazzi e partecipe alle esposizioni della Biennale sin dalla sua fondazione. Con Vincenzo e sua moglie Matilde, dalla casa-bottega di fondamenta Briati, ricomincia una storia posta sotto l’egida dell’arte che attraversa altre tre generazioni e tante diverse personalità – i figli Ettore e Guido Cadorin scultore e pittore, l’architetto Brenno del Giudice, il fotografo Augusto Tivoli e la figlia pittrice Livia, i liutai Fiorini – fino a Ida Cadorin in arte Barbarigo e a Zoran Music, uniti dalla vita e dalla passione per la pittura. Una storia intima e pubblica al tempo stesso, fatta di sentimenti, opere d’arte, avvenimenti storici e vicende culturali nella Venezia tra Otto e Novecento, che viene riannodata negli ambienti unici di Palazzo Fortuny seguendo il filo dei ricordi dell’ultima testimone e grande erede di questa dinastia e grazie alle emozioni trasmesse dai suoi racconti. Ida Barbarigo ha raccolto opere e testimonianze storiche della famiglia che sono in realtà uno straordinario patrimonio d’arte e conoscenza. Il percorso espositivo, comprensivo di oltre 200 opere che documenta non solo il fascino degli atelier di una dinastia di artisti, ma anche il vivace contesto intellettuale della città. Ecco l’odore dei trucioli del Cirmolo; quella frase ripetuta in famiglia “il talento pare che faccia vento”; i versi della “Mille e una notte” letti in francese dalla mamma Livia Tivoli o il giornale satirico che sbeffeggia la passione per le belle donne dello zio Ettore, sempre in giro per il mondo – “Il nostro corrispondente a Parigi sulle arti non possiamo trovarlo perché passa giorno e notte a osservare le gambe di Isadora Duncan, l’incomparabile danzatrice”. Eccoli gli amici di papà Guido che “sapeva fare di tutto. Le arti decorative, i mobili, i vetri, i tessuti, i mosaici ma soprattutto la pittura”: da Malipiero a Pirandello, dai pittori veneziani Nono, Ciardi, Favretto ed altri fino a Kokoschka. Ecco il nonno di Ida per parte materna, Augusto Tivoli – grande fotografo – e la nonna Irene appartenente ai Fiorini, grande famiglia di liutai bolognese tanto che fu il prozio Giuseppe Fiorini a donare, nel 1930, gli strumenti e gli archivi di Stradivarius al museo di Cremona. Eccolo infine il viaggio a Parigi con Zoran, la sognata Parigi. Su questo nuova trama si sono intrecciate altre memorie, prima fra tutte quella di Jean Clair, Accademico di Francia – chiamato a curare questa mostra nata da un’idea di Daniela Ferretti – che ha personalmente conosciuto Guido, Livia e Paolo e ancora Ida e Zoran di cui è stato grande amico, frequentandone le case e gli studi per più di quarant’anni. Sotto la sua magistrale supervisione le opere sono state puntualmente selezionate per documentare una straordinaria epopea artistica. Arrivano così in mostra dalla casa di Ida, a Palazzo Balbi Valier, dove erano appese alle pareti del grande salone o dello studio o sistemate nelle tante stanze della dimora, le opere del padre Guido Cadorin, disegni e dipinti: da quelli dei primi decenni del Novecento come “L’idolo” (1911), il “Ritratto del padre” (1910), il trittico “Carne, carne, sempre carne” (1914) oppure

“Nudo e paesaggio fiorito” del 1920 e “Il canale del ‘21”, ai lavori degli anni Cinquanta e Sessanta come “Punta della Dogana” del 1956, “Piazzale Roma” del ’58, “Acque” del 1963 o il bellissimo “Donde un giorno nacque il miracolo di Venezia” del 1969, fino alle tele datate 1973. Arrivano le sculture di legno del nonno Vincenzo – una grande stele, la fioriera liberty del 1903, le sculture delle “Tabacchine”,         i suoi gessi e le terracotte; troviamo gli avori che mostrano la perizia tecnica di Ettore, le foto straordinarie di Augusto che ci svelano i volti di questa dinastia, le scene familiari, testimoniando anche le mondanità veneziane, gli interni di Palazzo Papadopoli, l’arrivo di Guglielmo II Imperatore o il crollo del campanile di San Marco del 1903. E poi Ida e Zoran. Lei con con i suoi sogni – “Caffè” (1956), “Jeu ouvert” (1961) – e le sue angosce: da “L’uomo di pietra” (1967) a “Le persécuteur” (1979), da “Demone o Saturno” (1997) a

“I terrestri” (2002). Zoran con i drammatici disegni ad inchiostro che fissano per sempre la visione terribile dei corpi straziati a Dachau, e con i dipinti: da quelli degli anni Cinquanta, “Estate in Istria” (1957), “Terre dalmate” (1958) – alle immagini di Venezia degli anni Ottanta come il “Canale della Giudecca” (1980) o “Il Mulino stucky”, ai “Ritratto di Ida” dell’83 e dell’86, per arrivare alle opere dell’ultimo periodo quando ormai la vista se ne stava andando: “Figura grigia seduta” e “La poltrona grigia”, entrambe del 1998. “Il papà ci diceva sempre: soprattutto, non fate gli artisti, è una cosa spaventosa!”

La mostra è accompagnata da un prezioso catalogo (Antiga Edizioni ) curato da Daniela Ferretti con diverse testimonianze: Laura Bossi Régnier (che ha raccolto i ricordi di Ida Barbarigo), Ester Brunet, Silvia Carminati, Jean Clair, Daniela Ferretti, Valerio Terraroli, Marco Vallora, Monique Veillon Cadorin.

Palazzo Fortuny – San Marco 3958, Venezia; fino al 27 Marzo 2017; Orari: dalle 10 alle 18; biglietti: intero 12 Euro, ridotto 8 Euro; ridotto scuole Euro 5 (la scuola deve presentare lista su carta intestata dell’istituto); la biglietteria chiude un’ora prima); www.visitmuve.it

Fabio Giuliani

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