UNA TORRE PER DESENZANO. UNA FAMIGLIA PER UNA TORRE

| 20 aprile 2007
oneta capolaterra consiglio pastorale 1974pastorale

Ad esempio il 17 febbraio 1801 le campane suonarono a festa per la conquista di Mantova da parte dell’esercito napoleonico, poi per l’incoronazione di Napoleone, per il suo matrimonio, per la nascita di suo figlio, per le diverse paci concluse dopo le campagne militari di questo generale e imperatore contraddistinto da grande attivismo. Ma le campane avvisavano anche di un pericolo locale come un incendio, assai temuto per fabbricati in gran parte di legno e riscaldati da camini più o meno efficienti. Ancora durante la seconda guerra mondiale, nel periodo in cui il Municipio non era dotato di una sirena, la campana a martello della torre avvertiva di bombardieri in arrivo. Nella vita quotidiana dei secoli precedenti l’ultimo conflitto, si segnalava dal Castello la fine del mercato, il mezzogiorno, una convocazione. Soprattutto le tre campane scandivano il rito della morte in una comunità dove tutti si conoscevano, vi era una sola parrocchia, una sola piazza. Se moriva un bambino, fatto non raro, c’era un rintocco gioioso della campana più piccola; se una donna un altro tipo di suono e un altro per un uomo. “Ambrogio piange, è morto un uomo” commentava la gente al suono della campana più antica e più grande. La durata dello scampanio dipendeva poi dall’importanza del defunto. Che le campane e il campanaro lavorassero lo dimostrano i bilanci annuali dell’Amministrazione comunale dove sempre si mettevano nelle previsioni di spesa le corde per le campane. Dai primi bilanci dell’800 sappiamo che tra i dipendenti comunali vi erano due campanari, uno per il campanile parrocchiale ed era Gaetano Berti, mentre Giobatta Grazioli era al Castello. Poi seguirono Gerolamo e Giuseppe, nomi ripetuti in questa famiglia, e via via di padre in figlio. Avevano diritto a un piccolo stipendio come campanari, a un sussidio come regolatori dell’orologio della torre e all’abitazione gratuita all’interno della torre. Non era una gran abitazione, si presentava modesta come del resto tutte quelle nel Castello fino ad allora costituito da casettine abitate da varie famiglie. Comunque nella torre la famiglia Grazioli disponeva di una cucina, di una camera, di una stanzetta per i conigli, della stanza delle corde e quindi del vano delle tre campane. I locali erano uno sopra l’altro con solette e scale di raccordo in legno. I Grazioli vi abitavano numerosi, quella di un Giobatta contava nove componenti; poiché, come usava a quei tempi, insieme abitavano i nonni e a volte le famiglie delle figlie. Era brava gente e visse con dignità le varie fasi della trasformazione del Castello durante quel secolo. Condivise la vita stentata delle tante famiglie che vi ebbero l’abitazione fino al 1880, ricettacolo di epidemie e di tutti gli inconvenienti di un quartiere molto affollato, ma povero. Rimasero anche quando le vecchie casette furono abbattute per far posto alla Caserma ‘Beretta’. Avevano un piccolo ingresso separato da quello dei militari e continuarono la professione di campanari della torre e regolatori dell’annesso orologio. Del periodo in cui in Castello vi furono battaglioni di bersaglieri, poi di cavalleria e poi di alpini, nel bagaglio dei ricordi della famiglia è rimasta la fila di persone che salivano ogni giorno a chiedere gli avanzi del rancio militare. Inoltre, poiché contemporaneamente nel bastione rivolto verso il lago era stata installata una stazione meteorologica, il Grazioli campaner, così soprannominato per distinguerlo dal Grazioli busmì, andava ad aiutare il professore di matematica e di fisica di turno al Liceo ‘Bagatta’, per raccogliere i dati relativi alla climatologia del giorno. Gli ultimi due Grazioli campaner nel ‘900 furono: Giovanni e Giuseppe. Il primo sposò una Bonatti di via Santa Maria, ma morì giovane a seguito dell’epidemia della spagnola del 1919, come pure due sue bambinelle e tanti altri desenzanesi. Il figlio Giuseppe invece, suo erede alla torre del Castello, si sposò giovane con una Zanetti, figlia di Settimo Zanetti, abitante in Vicolo degli Amori. Proprio perché già capofamiglia nell’anno della coscrizione di leva della sua classe, non era andato militare allo scoppio della guerra, ma aveva continuato a fare il campanaro alla torre e l’aiutante del professor Vischioni alla Specola meteorologica. In casa era arrivata l’acqua corrente e all’ingresso vi era un lavandino, poi presso la camera c’era una latrina, ma al piano di sopra si continuavano ad allevare i conigli, unica fonte di carne per la famiglia come per tante altre case di Desenzano, che quasi tutte avevano nella corte un piccolo pollaio con la conigliera. Purtroppo nel luglio del 1943 venne dato ordine di calare le tre belle campane, per necessità belliche, e fu in quell’occasione che sulla più grande si vide in rilievo il disegno di un vescovo, il sant’Ambrogio con il nome del quale in paese si era sempre chiamata la vecchia grande campana. La gente di via Castello con pena guardava il grande carro senza sponde che portava via le tre campane verso la Piazza e verso la fonderia. Non mancarono polemiche e più di uno è ancora convinto che avrebbero potuto essere salvate. Dopo, i fatti precitarono: Giuseppe Grazioli andò sotto le armi e finì in Sardegna; l’8 settembre 1943 i Tedeschi giunsero a Desenzano. Avanzando da Capolaterra, intravidero sulla torre del Castello luccicare delle armi e spaventati, spararono razzi incendiari, nonostante alcuni Alpini uscissero dal Castello con la bandiera bianca. Altri Alpini erano già fuggiti attraverso le aperture delle mura. La torre prese fuoco e i tre ragazzi Grazioli con la madre dovettero assistere all’incendio della loro casa e alla morte dei loro animaletti. Trovarono rifugio presso i nonni nel Vicolo degli Amori. La famiglia Grazioli sarebbe tornata in Castello solo dopo la fine della guerra nell’autunno del 1945 e soprattutto dopo l’arrivo del padre, che col cognato Ottolini era riuscito a sbarcare dalla Sardegna sul continente e si era fatto tutta la strada a piedi dal Centro Italia. La notizia del loro imminente arrivo fu data a Desenzano dal macellaio Isonni che li aveva incontrati a Castiglione d/Stiviere e li aveva preceduti sul suo sidecar. Tutta Capolaterra era andata loro festosamente incontro. Essi non poterono tuttavia rientrare nella torre semidistrutta. Fu loro assegnato l’appartamento già del maresciallo Fontana, condotto in Germania con gli Alpini della caserma nel settembre del 1943. Dalle finestre dell’ex zona ufficiali del Castello entrava freddo e un vento gelido, da cui solo nel 1949 la famiglia ebbe il permesso di ripararsi con ante in legno. In quel primo inverno del dopoguerra di lavoro se ne trovava poco e per sopravvivere ci si inventava le cose più strane. Attilio ed Emilio Berti avevano pensato di sfruttare il loro amore per la musica organizzando un’orchestrina di banjo, che andava suonando di osteria in osteria, di fiera in fiera, così da raggranellare qualcosa in monete o in prodotti mangerecci. Si erano rivolti all’amico e qua.

Di: Amelia e Pia Dusi

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