Speciale Carnevale LE MASCHERE VENEZIANE

| 1 febbraio 2011

“Buongiorno Siora Maschera” Lungo le calli, per i canali e nei listoni erano banditi l’identità personale, il sesso, la classe sociale. Si entrava a far parte della grande illusione del carnevale.

Gli artigiani maschereri appartenevano alla frangia dei pittori ed erano aiutati dai targheri che dipingevano sopra lo stucco dei volti, anche ridicoli, con dovizia di particolari. La maschera era in uso dal giorno di Santo Stefano – che sanciva la data di inizio del carnevale veneziano – fino alla mezzanotte del martedì grasso. Ma veniva anche permessa durante i quindici giorni dell’Ascensione e, con particolari deroghe, fino a metà giugno. Inoltre, durante tutte le manifestazioni più importanti, banchetti ufficiali e feste della Repubblica, era consentito l’uso di tabarro e bauta. La Bauta era un travestimento con un manto nero detto tabarro, un tricorno nero che si indossava sul capo al di sopra del tabarro e una maschera bianca chiamata Larva, dal latino “fantasma” o anche “maschera”. Le donne indossavano la Moretta, maschera ovale di velluto nero, specie per fare visita alle monache. La moda della Moretta, importata dalla Francia, si diffuse velocemente, arricchita di veli, velette e cappellini a falde. La Moretta era una maschera muta poiché la si portava tenendo in bocca un bottoncino interno. Durante il carnevale, i veneziani si concedevano trasgressioni di ogni tipo e la Bauta o la Moretta erano utilizzate per mantenere l’anonimato e consentire qualsiasi gioco proibito. Il tabarro era composto da una mantellina che raddoppiava sopra le spalle, poteva essere di panno o di seta, bianco o turchino, scarlatto per un’occasione di gala, a volte decorato con fronzoli, frange e fiocco “alla militare”. Era molto usato anche dalle donne, scuro d’inverno e bianco d’estate. Il tabarro poteva essere utilizzato per nascondere armi: vennero emanati molti decreti per impedire alle maschere di utilizzare il mantello per scopi violenti. Le meretrici trovate in maschera venivano frustate da piazza San Marco a Rialto, poste in berlina tra le due colonne di piazza San Marco e bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica Veneta dietro pagamento di 500 lire alla Cassa del Consiglio dei Dieci. L’elenco dei decreti procede di pari passo a quello del Carnevale. Di volta in volta venne aggiunta una proibizione: vietato recarsi in maschera all’interno dei luoghi sacri, vietato mascherarsi in abiti religiosi, vietato ballare in pubblico al di fuori dei giorni stabiliti per la festa del carnevale, vietato portare maschere nelle case da gioco – espediente che, spesso, veniva utilizzato da quanti volevano mantenere l’anonimato o non farsi riconoscere dai creditori. Invece nel 1776 venne emanata una legge per proteggere “l’onore di famiglia” che obbligava le dame a recarsi al teatro con una maschera, proibita però alle fanciulle in attesa di marito.

Di: A.D.

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