Padova – QUESTA E’ GUERRA

| 30 aprile 2015
VIETNAM. Quang Ngai. This was a village a few miles from My Lai.  It was a routine operation - troops were on a typical " search and destroy" mission. After finding and killing men in hiding, the women and children were rounded up.  All bunkers where people could take shelter were then destroyed.  Finally the troops withdrew and called in an artillery strike of the defenseless inhabitants. 1967

Cento anni di conflitti messi a fuoco dalla fotografia

Prendendo spunto dalle celebrazioni italiane dedicate al centenario della Prima guerra mondiale, Walter Guadagnini, apprezzato curatore di eventi espositivi, con particolare predilezione verso l’arte fotografica, racconta – attraverso circa 350 scatti – il rapporto tra fotografia e guerra in una mostra che non punta tanto all’estetica fotografica e ai grandi nomi di fotografi (anche se non mancano né l’una né gli altri), bensì a indagare i molteplici aspetti del “pugnare”, per raccontare le storie delle persone e dei luoghi, per fare propaganda, per denunciare. L’esposizione, allestita presso il Palazzo del Monte di Pietà raccoglie più di 350 scatti, testimonianze pubbliche e private, immagini celebri, ma anche fotografie rubate alla casualità e lavori che hanno cercato di scuotere un immaginario collettivo assediato da stereotipi e luoghi comuni. La storia diventa fermo-immagine, sintesi, seguendo una scansione cronologica, dalla Prima Guerra Mondiale ai conflitti in corso. L’ordine temporale, però, è solo formale: all’interno dell’intreccio e della narrazione, emergono i singoli punti di vista, l’approccio particolare, un ricercato distacco dal contesto, che fa della foto un documento ma anche uno strumento di riflessione. Si parte da una prima sala che ci introduce pienamente nel tema, con alcune foto che rappresentano la guerra civile americana (ma sono in realtà ricostruzioni recenti), una grande foto simbolica di due proiettili fusi, e un’altra foto che mostra una nuvola di fumo lontana in un paese del medio oriente. “Non è inverosimile che un racconto fotografico della guerra possa avere inizio in un ameno giardino fiorito”. Comincia così, con questa citazione, la prima sezione “Saluti dalla Grande guerra”, con le stereoscopie da osservare a distanza ravvicinata. Come attraverso un cannocchiale da vedetta, si guarda indietro nel tempo, i volti distesi degli ufficiali in riposo, tra cespugli di rose, ma anche la soddisfazione delle truppe che scortano i primi palloni aerostatici, l’espressione interdetta di chi è rimasto vivo davanti a un compagno morto. L’illusione della tridimensionalità dello stereoscopio bilancia l’inevitabile staticità delle foto che, dati i tempi lunghissimi di messa a fuoco, non raffigurano quasi mai un’azione ma tregue, pause, rarissimi attimi di calma, o il lustro delle nuove attrezzature tecniche, alle quali si accompagnano stormi di fidati piccioni viaggiatori. Accanto alle stereoscopie, anche le prime immagini Kodak fanno la comparsa in trincea, negli ospedali militari, come i preziosi scatti della principessa italo-russa Anna Maria Borghese, al fronte come crocerossina, immagini rimaste nascoste nel cassetto per decenni. La fierezza dei miliziani spagnoli della Guerra Civile verso la fine degli anni Trenta, i tacchi della soldatessa repubblicana immortalata da Gerda Taro, compagna di Robert Capa, inaugurano un’altra era: il reporter diventa parte stessa del conflitto e insegue i soldati, con apparecchi ormai pratici e maneggevoli, resiste al fronte. Sono gli anni in cui la rivista “Life” invia Capa e Margaret Bourke-White in Italia mentre William Eugene Smith scatta foto dal Giappone. È la prima vera e propria guerra mediatica, quella spagnola, una sorta di prova generale per l’imminente conflitto mondiale, un’esercitazione sul campo per lo stesso Capa, con la celebre foto del miliziano ucciso in guerra, ma anche per il francese Henry Cartier-Bresson, fondatore, con Capa, della celebre Agenzia fotografica Magnum. Incontriamo quindi i partigiani del secondo dopoguerra, immortalati dal leggendario Sandro Aurisicchio de Val, il cui nome è anch’esso un reduce di guerra, forse, storpiato dal passare degli anni, che prima di sparire affidò tutti i suoi rullini a Capa per pochi centesimi, nella speranza che potesse farne qualcosa. Per quella rimasta alla storia come “l’ultima guerra fotografica”, quella in Vietnam, vediamo della reporter americana Eve Arnold, che in North Carolina, documentò la costruzione di un finto villaggio vietnamita negli Stati Uniti, completamente accessoriato di vegetazione e fauna tropicale, utilizzato per addestrare le truppe prima di spedirle contro i vietcong. Quindi gli scatti di Jones Griffiths, autore di Vietnam Inc., reportage realizzato in cinque anni di vita in Vietnam, sul devastante impatto della presenza delle truppe statunitensi sulle popolazioni locali. Da qui in poi, la fotografia resta sul fronte ma si muta in espressione soggettiva, in strumento di riflessione, abbandona il contesto per dedicarsi al particolare e al punto di vista. Soppiantata da altri canali di comunicazione, primo fra tutti il video, inventa approcci inediti. Come i ritratti delle donne berbere della guerra d’Algeria, le torri di controllo americane, che diventano oggetti d’arte concettuale, o le opere dell’ultima sala, dove le immagini potrebbero quasi adattarsi a tutti i conflitti in corso, senza coordinate spazio-temporali. Ma non solo. Per contrastare il dramma tutto contemporaneo dell’assuefazione visiva, sembra che al reporter non resti che inventarsi nuovi linguaggi. E allora la guerra si riproduce in autonomia, senza neppure partire per raggiungerla, con immagini rubate ai satelliti degli avamposti americani in Medio Oriente o ancora negli scatti di Paolo Ventura, che ha ricostruito nel suo atelier newyorchese la guerra civile americana e il conflitto in Afghanistan.             Nelle ultime sale vediamo testimonianze fotografiche relative ai conflitti più vicini ai nostri tempi, nella ex Jugoslavia, in Congo, in Libano e in Ucraina. Si susseguono soluzioni e scelte fotografiche molteplici, ottimamente introdotte da pannelli esplicativi e descrittivi che preparano nella maniera migliore alla visione delle immagini nelle loro varie forme e nei loro numerosi significati.                      Questa mostra, prodotta ed organizzata con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio Padova e Rovigo, è corredata da un bel catalogo pubblicato da Silvana Editoriale, con diversi saggi critici.

Palazzo del Monte di Pietà – Piazza Duomo 14, Padova; Fino al 31 Maggio 2015; orari: feriali 9-19; sabato e festivi 9-20;                         chiuso i lunedì non festivi; martedì e mercoledì pomeriggio (14-18): ingresso a tariffa ridotta                                                       Informazioni e prenotazioni: Tel. 0425 460093 da lunedì a venerdì: 9.30-18.30; sabato: 9.30-13.30                                                        Sito Internet ufficiale: www.questaeguerra.it

Fabio Giuliani

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